PRIMO PIANO
15/04/2020
Un buon pacchetto di misure
non risulta chiara la rotta intrapresa dal nostro Paese, quattro dei cinque strumenti messi in campo da Bruxelles altro non sono che titoli europei

Mentre nel nostro Paese ancora in tanti continuano a baloccarsi su quello che si sta facendo al di fuori dell’Eurozona, noi ci occuperemo di quanto accaduto finora nel suo interno. L’Unione Europea è stata molto più attiva rispetto alla crisi del 2008-2012, nella quale venne risvegliata dal torpore solo quando Mario Draghi prese il timone della BCE. Grazie al suo operato, l’attuale Banca centrale europea è potuta intervenire subito (nonostante il passo falso iniziale della Lagarde), varando un programma di acquisto di titoli di Stato da 750 mld di euro (senza tenere conto del “Capital Key”, cioè del vincolo di acquisto legato al peso del Pil dei singoli Paesi). Questo porterà, ad esempio, ad un acquisto maggiore di titoli italiani e spagnoli. La Commissione Europea, invece, sospendendo il rispetto dei parametri di Maastricht, ha dato la possibilità ai singoli Paesi di adottare politiche fiscali espansive. Ciò significa che il debito pubblico dei singoli Stati potrà aumentare, ma questi ultimi dovranno essere consapevoli del fatto, che oltre un certo limite, i mercati non saranno più disposti a comprare debito pubblico. Fino alla fine dell’anno non ci saranno problemi, a fronte dell’ombrello degli acquisti offerto dalla BCE, ma dopo potrebbero sorgere (se si esagera).

Ciò premesso, a nostro avviso non risulta ancora chiara la rotta intrapresa dal nostro Paese. Il dualismo tra Mes e Eurobond - alimentato dal Premier (e non solo) - nel breve periodo non esiste, visto che sono la stessa cosa: potrà sembrare a prima vista, ma nella sostanza è proprio così. Quattro dei cinque strumenti messi in campo da Bruxelles, infatti, altro non sono che titoli europei: stiamo parlando del SURE della Commissione Europea, dei titoli emessi dalla BEI, dei titoli emessi dal MES e dei Recovery Bond, che ancora sono in alto mare ma che equivalgono ai titoli europei. Nel lungo periodo tutti vorremmo che fossero codificati gli Eurobond: per farlo dovranno essere modificati i trattati europei e ogni Stato dovrà cedere parte della propria sovranità fiscale all’UE; il resto è soltanto retorica, o peggio ancora chiacchiera.

Veniamo all'accordo sul quale avevamo fatto delle previsioni in un precedente articolo. I pilastri dell’accordo sono cinque: 1) Il SURE (Support to Unemployment Risk in Emergency) è un pacchetto di prestiti garantito dal budget europeo del valore di 100 miliardi per far fronte alla crisi occupazionale. Una sorta di cassa integrazione comunitaria che potrebbe restare in vigore in altre forme anche dopo la crisi anche se negli atti si dice che cesserà ad emergenza passata; 2) la BEI (Banca europea degli investimenti) emetterà 200 miliardi di bond (garantiti da una dotazione specifica di 25 miliardi) per fornire liquidità alle piccole e medie imprese comunitarie; 3) il MES ha una dotazione di 240 miliardi e potrà essere attivato a richiesta dal singolo Stato membro. I prestiti saranno senza condizioni se gli aiuti saranno vincolati al settore sanitario. Un MES senza i denti o declassato come ha chiosato qualcuno. Il limite è il 2% del Pil 2019 (per l'Italia sono circa 36 miliardi di euro). Per il resto confermata la procedura precauzionale della linea di credito avanzata (ECCL). Una volta fatta la richiesta, il Board si impegna ad attivare il servizio entro due settimane. I titoli del MES restano lo strumento più facile da attivare, anche se ha capacità finanziarie limitate; 4) la vera novità dell’accordo è il Recovery Fund, fortemente voluto dagli italiani e dai francesi. Nessuno finora ne aveva parlato, anche se le informazioni rimangono frammentarie. Per quello che è dato sapere, esso dovrebbe avere una dotazione di 500 mld di euro. Al riguardo, l’Eurogruppo ha chiesto agli Stati membri di studiare i profili legali ed operativi di un fondo, da iscrivere nel bilancio europeo, il quale entrerebbe in azione nelle fasi successive della crisi da corona shock, con il compito di sostenere la ripresa. L’intento, da non sottovalutare, rientra in quella visione strategica che dovrebbe accompagnare ogni strutturazione di piani d’intervento; 5) fondi strutturali di coesione. Di questi non si è accorto nessuno. In realtà, i fondi strutturali potranno essere utilizzati senza condizionalità per far fronte ai problemi delle economie. Ammonterebbero per il nostro Paese a circa 10-12 miliardi.

Alla luce di quanto esposto, possiamo concludere che il pacchetto di misure messo in campo da BCE e UE sia positivo: ben strutturato e con una visione di breve-medio periodo. L’unica pecca è l’attuale consistenza: 540 miliardi rischiano di essere insufficienti e i Paesi con elevato debito - come il nostro - molto probabilmente dovranno ricorrere anche ad altre forme di indebitamento.

Marco Boleo
 




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet