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11/04/2020
La nostra fede non è in quarantena
a Pasqua torneremo tutti ad abbracciarci virtualmente con la stessa intensità spirituale e forse anche con un maggiore apprezzamento per quei riti che il coronavirus ci ha rubato

La Domenica delle Palme nessuno di noi è andato in chiesa. Non abbiamo potuto rallegrarci per l’entrata di Gesù a Gerusalemme o scambiarci un ramoscello di ulivo o una palma, riassumendo in quel gesto il nostro   sentimento di pace e di amore. E non abbiamo neppure potuto abbracciarci o scambiarci una stretta di mano, come abbiamo sempre fatto in tutti gli anni della nostra vita.

Immagino che anche a voi che leggete queste righe sia capitato di mandare in giro abbracci virtuali. I social erano letteralmente impazziti. E quello scambio di sentimenti ha trovato altre strade. A me (scusate la citazione personale) è capitato di assistere a un abbraccio spontaneo e imprevisto della nipotina di 4 anni via tablet.  L’ho vista avvicinare il volto allo schermo, cingerlo e gridare entusiasta “ti abbraccio”.

Ecco, in quel gesto spontaneo e affettuoso mi è parso di intravvedere non solo il segno della condizione di isolamento che la pandemia da coronavirus ci ha imposto, ma soprattutto un formidabile rimando a quella dimensione spirituale (sempre relazionale) alla quale ci chiama questa Pasqua virtuale. Sì, ci sono stati tolti tutti i gesti della Settimana Santa con la sua ritualità impegnativa ed evocativa, dalla contemplazione del Santissimo alla morte in croce di Gesù, al lungo silenzio che precede la sua Resurrezione e la gioia sconfinata della Pasqua. Una liturgia ricchissima di Parola e di Segni. Con una dimensione strettamente materiale, direi carnale (pensate alla lavanda dei piedi), che è propria della nostra religione che ha nell’incarnazione del figlio di Dio la sua unicità. E la cui ricchezza forse solo oggi, che ci viene impedita per cause di forza maggiore, possiamo apprezzare in tutta la sua forza salvifica, comunitaria e antropologica.  Non è infatti un caso che noi siamo il Popolo di Dio, di un Dio che si è fatto carne per salvare e riscattare l’umanità dalla propria condizione di debolezza e di imperfezione.

Ma quell’abbraccio virtuale della bambina mi ha confermato nella convinzione, maturata anche attraverso i gesti e le parole di papa Francesco (ricordiamo la sua preghiera solitaria in Piazza San Pietro come un segno memorabile di vita e di comunione spirituale), che questa prova alla quale siamo sottoposti, ha comunque un senso. Quello di ritrovarci nudi dinanzi al mistero della morte di Gesù e di poter partecipare, come possiamo, al suo destino. Una unione spirituale che, nella più assoluta povertà che contraddistingue la nostra natura umana, nessuno ci può impedire: nessuna autorità superiore, nessun potere costituito, nessuna ideologia, nessuna costrizione materiale. Ho pensato che quella che stiamo vivendo, fatte le debite proporzioni, è la stessa condizione di assenza e impossibilità sperimentate dai cristiani prigionieri dei gulag o vittime dei regimi totalitari e atei, comunque perseguitati a causa delle fede. Nessuno è mai riuscito a impedire loro la comunione spirituale. E di attendere e sperimentare la misericordia di Dio, anche nella condizione di più misero abbandono.

Pensiamo al teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer, impiccato dai nazisti nel campo di concentramento di Flossenburg o al cardinale vietnamita Nguyen Van Thuan, incarcerato per tredici anni, confortato da una misera croce di legno portata al collo con un filo di ferro rimediato da un secondino, e liberato solo nel 1988. Due autentici martiri della fede cristiana che certamente hanno vissuto, in comunione spirituale, tanti anni della propria vita. Anche per rispetto verso di loro e dei tanti a cui è stato impedito di vivere la liturgia pasquale, abbiamo il dovere di affermare che non sarà la quarantena sanitaria a mettere in quarantena la nostra fede. Perché la misericordia e la tenerezza di Dio non ci abbandoneranno in questi giorni preziosi per la Chiesa e per il Popolo di Dio.

Ecco, a Pasqua torneremo tutti ad abbracciarci virtualmente ma con lo stesso slancio che abbiamo avuto quando abbiamo potuto confessarci, inginocchiarci dinanzi al Santissimo, avvicinarci all’eucaristia, cantare l’Osanna al figlio di David, il Gloria e l’Alleluia. Con la stessa intensità spirituale e forse anche con un maggiore apprezzamento per quei riti che il coronavirus ci ha rubato. Ma la cui forza spirituale, di comunione e relazione autentica, non può e non potrà soffocare. Come quell’abbraccio spontaneo della mia nipotina.

Domenico Delle Foglie

 




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