Ormai la rivoluzione industriale 4.0 non c'è stata; anzi, la produzione è tornata indietro dell'1,3% e di fatto si è tornati a dove si era sei anni fa. Tante parole, ma zero fatti. Curiosamente, poi, si salva solo l'industria alimentare. Tutto il resto arretra. Ed è quasi inutile chiedersi perché accada tutto questo. La congiuntura mondiale non è brillantissima, ma l'ltalia ci mette del suo. Una serie di governi con l'aria di essere sempre provvisori o di passaggio e una certa diffidenza di fondo nei confronti dell'attività produttiva. Le incertezze sull'llva di Taranto, non ancora risolte e chiarite e una serie di atteggiamenti legislativi tali da scoraggiare gli investimenti esteri, ai quali va unito una sorta di nuovo dirigismo industriale, che nemmeno negli anni Cinquanta si verificava; proprio Piero Bassetti, dirigente industriale ed ex parlamentare (che ha lasciato volontariamente), una volta disse: nel dopoguerra noi democristiani non siano stati bravissimi, ma abbiamo semplicemente lasciato le briglie lunghe al sistema: e le imprese hanno fatto il miracolo. A questo si aggiunga, e non è un dettaglio, che ogni anno vengono elargiti alla popolazione almeno una ventina di miliardi a titolo gratuito e solo per il fatto di esistere: nulla è più contrario a motivare la gente a intraprendere e a fare. Dopo la guerra eravamo una nazione di contadini, semianalfabeti e con il paese semidistrutto, ma abbiamo saputo risollevarci e siamo diventati la sesta potenza industriale del mondo. Adesso, siamo istruiti, abbiamo tutto quello che ci serve, ma andiamo indietro invece che avanti. E la situazione non sembra destinata a cambiare nei prossimi anni, la crescita complessiva sarà molto bassa e anche quella industriale.
Mi chiedo se esistono rimedi, se non uno solo: liberare gli 'spiriti animali' che pure esistono nel sistema italiano, ritornare a quelle briglie lunghe alle quali si riferiva Piero Bassetti. Togliere un po' di vincoli e lasciare le imprese libere di correre. E, magari, smetterla di distribuire denaro (che non abbiamo nemmeno) come se qui fosse sempre Natale: niente è più diseducativo dei soldi dati gratis a chi sta sul divano in attesa degli spaghetti. Il made in Italy è stato un marchio vincente per almeno vent'anni, può esserlo ancora: basta lasciarlo andare per il mondo. Insomma, i politici facciano i politici (se ci riescono) e il resto lo lascino fare agli esperti. Sarà pure colpa dei ponti e delle festività di fine anno, «particolarmente lungo rispetto alla consuetudine››, come si è affrettato a spiegare il ministero dell'Economia. E sarà sicuramente vero che 'a mettere nei guai' l'azienda Italia ci ha pensato la pesante congiuntura internazionale, con la guerra dei dazi Usa-Cina, ma resta il fatto che un crollo così marcato della produzione industriale italiana non si vedeva dal 2013. E, nei prossimi mesi, il trend potrebbe addirittura peggiorare scontando gli effetti dell'epidemia del Coronavirus. I numeri diffusi ieri dall’Istat sono da allarme rosso. Intanto a dicembre il calo, rispetto allo stesso periodo del 2018, è stato del -1,3%. Era dal 2013 che l'indice non era preceduto da un segno meno, poi in caduta libera alcuni dei settori trainanti del made in Italy: quello dei beni strumentali e quello dell'automobile (-13,9%). Unici settori in controtendenza sono stati quelli dei beni di consumo e di energia, troppo poco per risalire la china. E l'Ufficio parlamentare di bilancio ha portato la crescita dei 2019 dallo 0,5 allo 0,2%. La verità è che io scivolone dell'industria italiana è stato costante e coerente per tutto l'anno.
Solo nel l° trimestre 2019 si è registrato un aumento. Poi, per il resto, il copione è rimasto lo stesso, con tre flessioni continue. Se si guarda a dicembre, il trend in termini tendenziali si attesta sul -4,3%: l'effetto trascinamento per i primi mesi del 2020 è assicurato. Dal ministero dell'Economia si getta acqua sul fuoco, evidenziando il dato della Germania, addirittura peggiore del nostro e sulla stessa scia di quello francese. La fase più acuta della crisi si sarebbe interrotta già a gennaio, con un «significativo miglioramento della produzione industriale». Ma, a interrompere sul nascere la nuova ripresa, potrebbe essere il virus cinese. Solo quando sarà superata «la fase più acuta dell'epidemia››, potrebbe cambiare il verso dell'industria italiana. Il governo vuole accelerare «sul fronte degli investimenti pubblici, la modernizzazione e la manutenzione delle infrastrutture». Tuttavia, la guerra commerciale, la frenata della locomotiva tedesca e adesso l'emergenza Coronavirus è quanto basta per far suonare più di un campanello d'allarme in casa Confindustria, dove il Centro Studi ha sentenziato per l'industria italiana il 2019 un anno nero. ln primo luogo ci sono state le guerre commerciali, innescate da alcune scelte dell'amministrazione Usa. Il risultato è che per la prima volta da 10 anni a questa parte, la crescita del commercio internazionale potrebbe essersi fermata. Una situazione che ha pesato negativamente su un Paese esportatore come l'ltalia. Non solo ma c'è stato anche un rallentamento dell'economia europea nel suo complesso. Tutte cose che, messe insieme, hanno determinato il peggior risultato della produzione industriale dopo la crisi del 2008. Non bastasse questo pure ha pesato anche l'instabilità politica.
Certo, gli investimenti hanno sicuramente risentito dell'aumento dello spread, che ha reso più oneroso l'indebitamento delle imprese, ma hanno pesato anche le incertezze e i cambiamenti nella governance europea, a cominciare dalla Bce. E ora, bisognerà fare i conti con l'epidemia del Coronavirus. Il rallentamento dell'economia cinese, che rappresenta il 18% del Pil mondiale, avrà sicuramente effetti a cascata, non solo sulle esportazioni italiane, ma anche sulle catene del valore internazionale, soprattutto in alcuni comparti chiave, dove c'è forte integrazione con l'industria cinese». Dobbiamo rassegnarci purtroppo ad un ulteriore rallentamento del Pil; forse a gennaio la produzione industriale dovrebbe aver registrato un rimbalzo più consistente, ma ora bisognerà fare i conti con le nuove incertezze dell'economia internazionale e con l'eredità piuttosto pesante del 2019 e adesso, nessuno è in grado di fare previsioni davvero attendibili. Se l'effetto coronavirus cominciasse a declinare in tempi stretti, potremmo avere un rimbalzo positivo già in primavera. Infine, dalle rilevazioni della Consob sulla ricchezza degli italiani, emerge che quasi il 30% dei risparmi è ancora parcheggiato come liquidità sui conti correnti, senza alcuna remunerazione. Ciò significa che i consulenti finanziari e gli operatori del risparmio gestito hanno ancora una prateria da conquistare, un potenziale mercato di circa 1.500 miliardi di euro al giorno di risparmi infruttuosi, che potrebbero spostarsi verso polizze finanziarie, fondi comuni e gestioni patrimoniali. La vera sfida, allora per gli addetti ai lavori consiste dunque nel convincere a cambiare strada milioni di italiani che ancora guardano con diffidenza al mondo dell’asset management, spesso spaventati dall’altalena delle borse o dalle oscillazioni dello spread Btp/Bund, il differenziale d'interesse tra i titoli di Stato tedeschi e quelli del nostro Paese. Potrebbe essere uno stimolo a fare per risalire la china! Ma la spinta principale potrebbe arrivare dall'Ue. L'Europa allora sarebbe ora che dimostrasse più coraggio sul fronte della crescita, cominciando, ad esempio, ad attivare quel piano di investimenti pubblici necessario per realizzare effettivamente il Green new deal.
Gilberto Minghetti