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23/01/2020
Il processo senza fine
Il movimento Cinque Stelle cerca di fare cassa elettorale a discapito della Costituzione

Un’imponente ombra è stata gettata, dal primo gennaio 2020, sui processi penali italiani: la loro durata diventa infinita rischiando di creare con ciò quasi una sorta di nuova categoria sociale, quella dell’imputato a vita. Così come concepita, infatti, la smisurata dilatazione “sine die” dei tempi processuali comporterebbe che la sentenza definitiva possa arrivare dopo decenni rispetto al compimento dei fatti, così come l’eventuale sanzione ad essa relativa. Sia che l’imputato sia condannato o assolto in primo grado, egli rischierebbe così di restare sotto la spada di Damocle del processo per un tempo indefinito, anche quindi, val la pena sottolinearlo, quando la sua assoluzione venga impugnata dalla Procura, con la conseguenza che un’eventuale condanna in appello possa sempre travolgerlo ad anni di distanza e senza alcun limite di scadenza. Per non parlare delle conseguenze che porterebbe un processo senza fine non soltanto all’imputato, ma anche alle parti civili, ossia le eventuali persone offese dal delitto, le quali aggiungerebbero al danno la beffa del tempo.

I processi in Italia , si sa, durano già  molto, troppo, e la riforma  voluta dal Ministro di via Arenula, Bonafede, prevede che dalla sentenza di primo grado in poi non ci sia più la possibilità che il reato si prescriva. Conseguentemente il processo può durare un numero imprecisato di anni senza nessun rischio che il processo si concluda con la prescrizione.

Una riforma che è, quindi ben lungi dal velocizzare i processi, come, invece, chiedevano da tempo sia i cittadini che gli addetti ai lavori.

Infatti, se il pm e il giudice non hanno più tempi da rispettare non avranno alcuno stimolo ad accelerare il lavoro (e lo Stato stesso non ha più ragione di fornire i mezzi affinché i processi si possano fare rapidamente). Al più i magistrati saranno stimolati dagli avvocati che hanno il cliente in galera, a scapito di altro tipo di processi (che saranno pretermessi) in cui non basta una sentenza, in cui serve una sentenza definitiva per farsi risarcire i danni subiti.

Per velocizzare i processi occorre intervenire sulle regole procedurali, sulla fornitura dei mezzi e di personale. Bisognerebbe  quindi puntare ad una vera riforma del processo penale che lo renda più rapido e forse puntare anche a considerare per reati minori altre misure, pecuniarie ed interdittive, che sono altrettanto o più efficaci. Oppure metodi penali, come il giudizio abbreviato e il patteggiamento. Senza intasare, inutilmente, il processo penale.

La riforma così come è oggi è ben lontana dal raggiungere la certezza della pena, infatti, siamo all’assurdo ora mancherà anche la certezza del processo.

C’è da precisare ancora una cosa, questa norma era  stata votata dalla Lega e dai Cinque Stelle, la precedente maggioranza, ed era condizionata a una riforma del processo penale che consentisse l’effettiva accelerazione dei processi. Riforma che era condizione imprescindibile per l’abolizione della prescrizione. Ma con il cambio di partner di governo i Cinque Stelle hanno tralasciato o accantonato il discorso più ampio e corposo della riforma del processo penale e hanno  imbracciato con sprezzante coraggio la spada della giustizia incassando intanto l’abolizione della prescrizione.

Certo ora la nuova maggioranza sta cercando una soluzione che soddisfi anche i nuovi alleati, ma speriamo che non sia una toppa più piccola del buco, perché ora la questione è davvero complessa.

Dietro questo strenuo cercare l’abolizione della prescrizione una ragione c’è: assecondare e carezzare le pulsioni emotive sottostanti all’idea di punizione. È l’ossessione di punire, punire, punire. Quell’inclinazione che porta a dire “mettiamolo in galera e buttiamo la chiave”. Ma questo lo si può dire impunemente all’osteria, dando sfogo alla propria irresponsabile indignazione, non può essere la posizione del legislatore, per ragioni di civiltà giuridica e di principi costituzionali da rispettare, a cominciare dalla ragionevole durata dei processi.

Già perché è chiaro che la norma, così come è fino ad oggi concepita, oltre a ledere l’art. 27 della costituzione italiana che sancisce l’innocenza  dell’imputato fino a condanna definitiva, si scaglia, anche, contro il principio del giusto processo regolato dall’art. 111 della nostra Costituzione ed il principio della ragionevole durata del processo regolato altresì dall’articolo 6 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo europea, il quale afferma che il processo deve avere una ragionevole durata; ragionevole durata che la Corte di Giustizia Europea ha fissato in un massimo di sei anni complessivamente, ossia tra I, II e III grado di giudizio.

La prescrizione, poi, ha ragioni serie per esistere. Il passaggio del tempo riduce fino ad estinguerla l’esigenza punitiva. Dopo vent’anni la persona che si dovrebbe processare non è più la stessa. L’interesse dell’ordinamento per la repressione sfuma fino a ridursi nel nulla.

Già perché la teoria liberale e garantista accolta dagli orientamenti giuridici odierni prevede che la pena non sia inflitta per vendetta ma per rieducare il reo.

Ma c’è di più, la norma rischia di essere  quasi inefficace, se non come mera pubblicità, già perché 374 dei processi si prescrive ben prima della sentenza di primo grado, la maggior parte si estingue davanti al GIP o al GUP e altri davanti al Tribunale o Giudice di Pace prima della sentenza.

Il rimedio potrebbe anche esserci, per evitare l’ingiustizia e lo spreco derivanti dalla prescrizione penale, ad esempio cambiare la regola della decorrenza della prescrizione, il momento in cui s’inizia a calcolare il tempo che passa, facendo decorrere la prescrizione non dal momento in cui il reato è stato commesso, ma dal momento in cui il reato ha un autore, dal momento in cui viene individuato il possibile responsabile.

Ma della questione del momento di decorrenza della prescrizione non si è sentito dibattere sulla grande stampa. E d’altra parte occorre riconoscere che il criterio con cui è stata scelta la proposta di riforma dal Movimento 5 Stelle non è quello della ragionevolezza bensì quello della risonanza, dell’impatto sociale, la ricetta più semplice e di grande effetto, anche se dannosa ed inutile.

I reati si prescrivono? Eliminiamo la prescrizione!

È a tutti evidente l’efficacia di un messaggio che dica: basta con la prescrizione! A  fronte di un messaggio che dicesse: cambiamo la decorrenza della prescrizione e diamo più tempo a chi deve istruire il processo.

Insomma, siamo alle solite: populismo, demagogia. Che danneggiano la nostra civiltà giuridica lasciando una persona sotto un processo pendente “sine die”, e neppure risolvono il problema. Ma, si può obiettare, le regole attuali sulla prescrizione, che sono diverse in ragione della gravità del reato, sono troppo favorevoli all’imputato, prevedono prescrizioni troppo brevi. Non è neppure vero questo.

Per l’omicidio senza aggravanti, per cui la pena prevista è in tutto trent’anni anni, la prescrizione può essere dai 24 ai trent’anni. Per il sequestro di persona a scopo di estorsione, 37 anni e mezzo. Per la rapina aggravata 25 anni, per la violenza sessuale quindici anni, per il furto pluriaggravato dodici anni e sei mesi. Per i reati di corruzione, a secondo i tipi di corruzione, le pene variano da otto a vent’anni. E altrettanta è la durata della prescrizione. Per gli omicidi colposi, che spesso si prescrivevano, le pene sono state aumentate e quindi sarà più difficile la prescrizione.

Se con queste durate il nostro sistema giudiziario non riesce a giungere alla sentenza definitiva, è lì che bisogna intervenire, non eliminando la prescrizione.

Fausta Tinari

 

 




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