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20/01/2020
Augusto Del Noce, maestro del pensiero cattolico
tra i piĆ¹ eminenti pensatori del Novecento

Il 30 dicembre scorso vi è stata una celebrazione importante: il trentennale del congedo da questo mondo (era il 1989) del filosofo Augusto Del Noce. Per non far cadere nel dimenticatoio tale evento ma celebrarlo adeguatamente, vorrei provare a individuare i frutti del suo operato; preziosi, poiché in grado di corroborare la cultura cattolica contemporanea assai abbacchiata a causa di antichi e nuovi avversari.

Ora, inizia l’esplorazione biografica. Del Noce nacque a Pistoia nel 1910; si trasferì a Torino già allo scoppio del primo conflitto mondiale. Nel capoluogo sabaudo svolse tutta la sua carriera di studi, trovando un ambiente culturale e formativo ricco di stimoli, svolgendo: dapprima presso il noto liceo D'Azeglio, poi all'università di Lettere e Filosofia, dove si laureò con il filosofo e suo relatore Carlo Mazzantini, nel 1932, con una tesi su Malebranche. Insegnò Storia della Filosofia Moderna e Contemporanea presso l’Università di Trieste e Storia delle dottrine politiche e Filosofia della Politica presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Nel 1978 iniziò anche la collaborazione continuativa con il settimanale Il Sabato e nel 1983 fu tra i fondatori della rivista 30 giorni. Ricoprì per una legislatura la carica di Senatore della Repubblica (1984).

Che tipo di “amante della sapienza” era? Un “filosofo attraverso la politica”, come amava definire la propria riflessione. Il contributo essenziale di Del Noce consiste in una reinterpretazione della storia della filosofia che si fa reinterpretazione filosofica dell’intera storia moderna e contemporanea. La critica delnociana vede nella modernità un processo incessante di secolarizzazione, come corsa verso un immanentismo radicale. Non contesta che tale processo si sia verificato, ma ritiene che esso non esaurisca la modernità; e dimostra l’ambiguità del pensiero di Cartesio, il vero iniziatore della filosofia moderna, da cui si dipanerebbero due linee di pensiero: quella della secolarizzazione (da Cartesio a Nietzsche), e una seconda linea che la costeggia reagendo a essa (da Cartesio a Rosmini), che ha i suoi momenti essenziali nella filosofia religiosa della Riforma cattolica, di Pascal, di Malebranche, di Vico, e giunge fino al presbitero Rosmini. In questa seconda linea non si ha soltanto una reazione alla prima, ma una vera e propria riaffermazione della tradizione, che non è semplice ritorno a essa, ma un suo reale approfondimento.

Dunque, al centro del suo pensiero vi era l’investigazione del cartesianesimo, specialmente nel suo ruolo di generatore del pensiero moderno. A ciò vanno aggiunte: la critica del marxismo, in quanto religione secolare che tende a sostituirsi alla tradizione cattolica; la critica del progressismo cattolico di Franco Rodano e Felice Balbo, in quanto equivoco radicale della tradizione marxista e di quella cattolica.

Non a caso, Del Noce è noto anche per aver previsto la fine dell’ideologia comunista, come testimonia una delle sue opere più celebri Il suicidio della rivoluzione, assieme a Il problema dell’ateismo. Nella prima ha dimostrato che la realizzazione del marxismo ha coinciso con il suo fallimento, nel senso che il suo esito ultimo, consumatosi il momento dialettico–rivoluzionario, si è risolto nell’estensione senza limiti di quello materialistico, di quella concezione “espressivistica” del pensiero e dei valori in genere che è alla base della società tecnocratica; con la seconda che l’ateismo a cui il processo della secolarizzazione mette capo non è il destino dell’Occidente, ma solo il suo problema. Alla base dell’ateismo vi è il razionalismo come negazione gratuita del mistero e del soprannaturale, sicché la critica dell’ateismo deve farsi critica del razionalismo, il quale cela l’ineliminabile carattere di scelta a esso sotteso, aprendo la via alla scommessa pascaliana.

E non solo. Egli intravide, attraverso uno studio approfondito della rivoluzione antropologica del ‘68, l’imporsi di un’altra dittatura, più subdola dei regimi totalitari del XX secolo, perché apparentemente meno violenta e dal volto umano; ossia “la dittatura del desiderio”, frutto dell’alleanza mortifera tra materialismo consumistico, gaio nichilismo, relativismo, erotismo e tecnoscienza; la quale sta svuotando dall’interno le democrazie occidentali, dalla caduta del muro di Berlino ai giorni nostri. Un’alleanza che si presenta come alternativa alla visione religiosa, soprattutto della Chiesa cattolica, al pari del marxismo.

Minaccia ascrivibile soprattutto a un nemico plurisecolare della Chiesa, la gnosi. Del Noce è stato, assieme ad altri autorevoli studiosi, come Eric Voeglin ed Emanuele Samek Lodovici, attento studioso di tale problema. Tutti e tre hanno dimostrato che la gnosi caratterizza la modernità; difatti si trova nella visione materialista marxiana e nella visione materialista e libertaria della borghesia capitalistica. Inoltre, erano perfettamente consapevoli che la gnosi moderna, quella hegeliana, si impose perché il pensiero cristiano moderno, in una singolare assonanza con lo gnosticismo antico, ha perso il rapporto con la storia. Elemento di verità che trova riscontro nell’operato dei già citati Balbo e Rodano, autori del ponte tra cattolicesimo e comunismo.

Per riuscire ad aderire alla realtà in modo così profondo, la riflessione delnociana fece affidamento sull’apporto di un prezioso alleato, il “tomismo agostiniano” dell’amico e collega Étienne Gilson. Con lui Del Noce condivideva l’idea che, nel rapporto tra fede e ragione, «il processo deve andare dalla fede alla ragione, perché il Dio della fede non è il Dio della ragione più qualcosa. C’è un salto perché tutte le conoscenze filosofiche su Dio messe insieme non possono farci raggiungere il Dio redentore. In ragione di ciò, anziché parlare di una fede che si sovrapponga alla conoscenza razionale, bisognerà parlare di una fede che salva la ragione liberandola dall’idolatria di sé stessa, dal razionalismo» (A. Del Noce, Gilson e Chestov, in Esistenza, mito, ermeneutica, 2 voll., Cedam, Padova 1980, vol. I, p. 316).

Daniele Barale 

 




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