Il Comune di Salle, 283 abitanti, in Abruzzo, in Provincia di Pescara, alle falde del Parco Nazionale della Maiella, ha destato scalpore, restato senza dipendenti, dopo aver lasciato il servizio l’ultimo addetto. Il suggestivo borgo abruzzese (in verità non il più piccolo, con altri come Carapelle Calvisio con le sue 137 anime), alle pendici di quel monte Morrone che ospitò Celestino V, il Papa del “gran rifiuto”, narrato da Ignazio Silone, può essere considerato il paradigma della crisi acuta delle comunità montane italiane. Così il suo giovane sindaco, con la tipica tenacia abruzzese, non si è arreso, ma ha lanciato un appello alle Istituzioni tutte, alla ricerca di una soluzione risolutiva, garantendo comunque l’accesso ai servizi minimi essenziali( con personale a scavalco da altri enti locali), ma anche con il volontariato dei suoi rappresentanti. Un caso limite? Certamente , ma non isolato, con centinaia di comuni italiani prossimi al dissesto, che solo grazie a vere e proprie acrobazie riescono ad assicurarne la loro sopravvivenza, con pochi segretari comunali e ben sedici passaggi burocratici necessari per attivare tutte le procedure ed adempimenti di legge .Allora qui si evidenza il “mostro” burocratico, fuori controllo, che non solo terrorizza i cittadini, ma rende altresì difficile la vita stessa degli amministratori locali. Le Riforme “Bassanini” hanno prodotto una stratificazione normativa ed una sovrapposizione dei poteri politico-amministrativi e burocratici, con vere e proprie “zone grigie”, dalle norme dubbie, farraginose e complesse da attuare. Poi il legislatore italiano, negli ultimi anni, ha moltiplicato il contenzioso, con il tentativo dragoniano del Governo Renzi di sopprimere le stesse province, bocciato dal referendum del 2016, che ha costretto molte regioni ad intervenire per garantire comunque i servizi, prima gestiti in area vasta.
Questi in particolare, specie sulla viabilità minore e montana, nonché sulla manutenzione dei plessi scolastici risultano vitali proprio per i “comuni-polvere”, che non possono supplirvi con proprie risorse finanziarie ed umane, rispetto ai grandi centri urbani. Quindi quello che il Censis definiva “Piccolo è Bello” è solo un lontano ricordo, di una stagione da non rimpiangere con una spesa pubblica concepita, secondo rigidi parametri storici ed a ”piè di lista”. Per questo l’autonomia va strettamente collegata con la responsabilità e con la stessa solidarietà, specie verso le fasce più deboli della popolazione, a partire da quelle aree interne, la cui strategia di riequilibrio (Snai), non si può certamente definire un successo, privata di risorse adeguate e procedure amministrative semplificate. Pertanto l’appello “bipartigiano”, che ci sentiamo di sottoscrivere è di superare quest’eterna emergenza, assicurando stabilità e fruizione diretta delle prestazioni essenziali. La stessa Anci ha così sollecitato la “riforma delle gestioni associate dei servizi, con più coordinamento e rapidità, anche nell’apertura di partnership pubblico-privato con Poste Italiane, nonché con l’Istituto del Credito Sportivo, per combattere lo spopolamento di tali territori”, dovuto a carenze dei servizi vitali per le famiglie, a cui il ruolo dei soggetti di promozione sociale può risultare essenziale, accanto alle chiese locali, per presidiare queste aree marginali, ad elevatissimo rischio idro-geologico.
In conclusione l’agenda politico-programmatica del Paese deve essere aggiornata su queste priorità assolute, superando logiche meramente ragionieristiche , se non apertamente clientelari, che oggi anche con il confronto sull’autonomia differenziata delle regioni devono scampare il rischio mortale, di dividere la nostra Nazione sull’accesso ineguale ai servizi minimi essenziali, tra zone avanzate e quelle in ritardo di sviluppo, non solo lungo la tradizionale direttrice Nord-Sud. Una vera fase costituente, aperta anche a noi soggetti vitali del Terzo Settore, che dovrebbe rimodulare tutti gli elementi essenziali dei poteri centrali e periferici dello Stato, con il punto focale del principio della sussidiarietà, non solo decantato ma praticato, nel rapporto tra autonomia responsabile e federalismo solidale, che deve garantire a tutti i diritti di cittadinanza, ad li là di ogni latitudine. Quasi il passaggio da uno “Stato Sociale ad uno Stato Sussidiario”, rivedendo il disegno della stessa legge 112/98, che insieme con le cd “Leggi Bassanini” hanno inciso nel rapporto tra politica ed amministrazione locale, realizzando sì una netta separazione tra le due, che però anche per il declino verticale dei partiti e delle sue classi dirigenti, ha spostato tutto il potere reale su di una burocrazia autoreferente , opaca, ma soprattutto immobile, fedele solo a quella immagine che argutamente il nostro Ennio Flaiano, definì ironicamente la “Calata dei Timbri”, insieme all’invasione dei Goti e degli Unni di Attila.
Sergio Venditti