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09/01/2020
I rischi dei conflitti in Medio Oriente
I protagonisti del settore petrolifero stanno già mostrando più forza dell'indice di riferimento

Con le sempre più acute crisi in atto in Medio Oriente e in Libia rischiano di destabilizzare ulteriormente non solo la pace nel Mediterraneo, ma anche le premesse della ripresa economica innanzitutto in Europa, infatti, le tensioni e i conflitti possono avere forti conseguenze anche economiche non solo nei paesi in questione, ma più in generale nel mondo e in particolare per la vicinissima Europa. Innanzitutto, i prezzi petroliferi, che già danno segni di aumento, possono impennarsi in breve tempo, poichè il Medio Oriente e la Libia ne sono fra i maggiori produttori. E' quasi impossibile che crescano le tensioni e ì conflitti in quelle delicatissime aree senza che ne rìsentano le produzioni e le esportazioni. Ciò può avere più conseguenze proprio per l'ltalìa che è maggiormente dipendente da quelle fonti di approvvigionamento energetico. Ma quando i costi dell'energia crescono, o addirittura si impennano, influenzano tutto il quadro dei fattori economici. Il commercio internazionale può risentirne, soprattutto se non sarà libera e sicura la navigazione negli stretti medio orientali. Gli stessi tassi d'interesse, particolarmente e da lungo tempo infimi proprio in Europa, possono iniziare a riprendere a crescere: il prezzo del denaro è, finora, stato il principale incentivo per la ripresa nelle fasi di crisi o di stagnazione. Pertanto, occorre che le Istituzioni nazionali ed europee definiscano tempestivamente anche altre misure per favorire la ripresa dello sviluppo e dell'occupazione. Non basta, infatti, invocare la pace per ottenerla, soprattutto in aree già dilaniate da ormai cronici conflitti. Bisogna, quindi, affrontare con tempestività le possibili conseguenze anche economiche delle acute crisi in atto nel sud del Mediterraneo e in Medio Oriente per evitare che esse complichino le piccole possibilità di ripresa economica dell'Europa.

I protagonisti del settore petrolifero stanno già mostrando più forza dell'indice di riferimento e di altre blue chips, grazie al notevole sostegno arrivato dal forte rialzo dell'oro nero, infatti, le quotazioni del petrolio si confermavano prima dell’uccisione di Soleimani, già in deciso rialzo, fotografate negli ultimi minuti a 62,8 dollari, con un vantaggio del 2,65%.

Ad alimentare gli acquisti sul greggio sono state poi  le notizie arrivate la scorsa notte, relativamente al raid Usa a Baghdad che ha provocato l'uccisione del generale iraniano.

Le tensioni geopolitiche sono tornate così in primo piano, complici anche i timori crescenti legati alle possibili ritorsioni dall'Iran e tanto è bastato per far schizzare in alto i prezzi del petrolio.

Immediato il riflesso sui titoli del settore oil che hanno beneficiato di questo movimento ascendente, catalizzando degli acquisti in controtendenza anche  a Piazza Affari.

Ma nel caso di un conflitto aperto tra Iran e Stati Uniti a soffrire per gli impatti energetici ed economici non sarebbe l'Amerìca, ma l'Asia e l'Europa, in particolare l'ltalia inoltre, con l'uccisione del generale Soleimani e l'intervento turco in Libia si avvicinerebbe una tempesta pericolosa per i mercati energetici.

Tutto sommato c'è molta disponibilità, se non si arriverà a una guerra aperta è da escludere un aumento paragonabile a quello visto dopo gli attacchi alle raffinerie saudìte, quando mancarono, nel giro di 24 ore milioni di barili di petrolio: ma se qualcuno attaccasse militarmente il prezzo schizzerebbe anche a 100 dollari il barile. Ciò non sarebbe un grosso problema per l'America, che vede l'indipendenza energetica, e questo permette a Trump di essere molto libero nel suo complicato programma.

A pagarne lo scotto sarebbero innanzitutto l'Asia, che non vuole un conflitto con l'lran, e l'Europa, ma l’Italia soprattutto: dopotutto non importiamo più petrolio dall'lran, perché con il barile a 100 dollari, visto che importiamo il 77% dell'energia, perderemmo l'1% del Pil e andremo subito in recessione.

In secondo luogo, il 20% del petrolio che consumiamo viene dall'lraq e il 30% del petrolio che importiamo passa dallo stretto di Hormuz, orbene, l'lran certamente farà qualche mossa per rispondere all'America. E' molto probabile che tenti attacchi verso le petroliere che transitano nello stretto. Calcolando 100 milioni di barili al giorno l'eccesso di produzione è di un solo milione, e da Hormuz passano 15 milioni di barili al giorno, basterebbe per creare uno scompenso assai grave. Senza contare gli effetti sull'interscambio globale Italia-Iran. Noi siamo il primo partner europeo dell'lran, il cui interscambio valeva poco meno di 5 miliardi di euro (dati del 2018). Con le sanzioni successive si è ridotto, ma è ancora importante: quindi una guerra lo azzererebbe e, quindi altra brutta botta al nostro Pil. Il prezzo del greggio potrebbe salire fino a 80 dollari al barile, per gli analisti di Eurasia Group, secondo i quali l'Iran non punterebbe a colpire subito le infrastrutture petrolifere. Ora dovrebbe seguire un mese di scontri di basso livello, in attesa delle operazioni maggiori, ma l'obiettivo saranno con molte probabilità le petroliere che transitano sul Golfo.

Nonostante la situazione precaria al momento è da escludere che un intervento turco in Libia possa avere effetti anche sull'export petrolifero di quel paese. Infatti, sempre nel 2018, a guerra civile già aperta, la Libia ha avuto 18 miliardi di dollari dall'export di petrolio e gas, somma poi spartita fra Tripoli e Bengasì, questo lascia trapelare che nessuno dei due attori vuole rinunciare a questo flusso di valuta pregiata, quindi probabilmente nessuno attaccherà le infrastrutture petrolifere.

In conclusione non ci resta che rileggere il messaggio di speranza di papa Francesco per la giornata mondiale della pace del 2020, quel “bene prezioso” che costituisce da sempre una meta verso la quale tendere  nonostante gli ostacoli e le dure prove.

 

Gilberto Minghetti

 




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