Con la crisi generata dalla finanza globalizzata, lo spirito di solidarietà ha subito un contraccolpo durissimo. È venuto meno, nella percezione comune, un pilastro fondamentale della vita civile.
L’ansia di sottrarsi alla pena di un regresso generalizzato ha iniettato nelle arterie della società il veleno del populismo, paralizzando la funzione di gruppi o ceti dirigenti. Domina pertanto l’evocazione della sicurezza, persino nelle forme più irrazionali.
Ebbene si. Siamo giunti a questo livello: pensiamoci un attimo; lontani dall’Europa saremmo forse più sicuri? E lo saremmo agitando la bandiera del nazionalismo? Piuttosto, l’Italia ha bisogno invece di rintracciare nel suo carattere di nazione aperta e dinamica, capace di unire intraprendenza individuale e coesione sociale, una versione alternativa alla politica del riscatto immaginifico e velleitario, sostanzialmente alieno da ogni basilare principio di responsabilità.
Se invece guardassimo più al dentro della crisi potremmo scorgere e apprezzare il ritratto migliore della nazione. Contro il ripiegamento pessimistico che debilita il Paese, la fiducia nel binomio di solidarietà e creatività trova linfa preziosa nelle comunità locali. Se nella nostra storia i Comuni hanno aperto la via alla modernità, oggi restano il nucleo pulsante del corpo istituzionale repubblicano. Sono il vestito, per dirla alla maniera del sindaco La Pira, di una autonomia in senso pieno e autentico, che risiede e opera nel quadro di aggregazioni naturali antecedenti alla costituzione dello Stato. Essi, in sostanza, esprimono e rappresentano qualcosa, l’autonomia appunto, che qualifica l’identità comunitaria e ne struttura l’articolazione democratica.
Ed il MCL questo lo ha capito eccome, tanto da organizzare un Convegno il prossimo febbraio dedicato agli amministratori locali vicini al movimento. Vedete cari lettori, come la famiglia, anche la comunità incarna la proiezione sociale della persona umana. Qui è la concreta manifestazione del solidarismo possibile. Da ciò deriva il senso di “appartenenza plurale” che libera energie e promuove sintesi, facendo del civismo politico il substrato dell’unità della nazione.
Oggi più che mai le autonomie locali rappresentano l’ancora di salvezza rispetto alle spinte disgregatrici, che rischiano di riprodurre in scala i vizi e gli errori del centralismo statale, occorre giustapporre l’ipotesi di un amalgama virtuoso, generato dalla base della società, con l’unico accentramento amico dell’autenticità autonomistica: quello prodotto dal principio di solidarietà, a sua volta congiunto al principio di libertà. L’Italia, in definitiva, può uscire dal labirinto di frustrazione e declino anche riscoprendo la forza propulsiva del suo “cuore” comunitario locale.
Si tratta, allora, di affrontare il dibattito sulla ricostruzione del Paese con un comportamento più ricco di sensibilità e consapevolezza, volto perciò a contrastare il ricorso alla vuota retorica del cambiamento.
È ora che si attui un programma di rigenerazione dal basso di un’Italia sfiduciata e stanca. Non possiamo assistere inermi allo spopolamento delle aree interne e all’abbandono dei piccoli comuni di montagna. Sulla finanza e la fiscalità locale manca da troppo tempo l’affermazione di politiche improntate alla logica di perequazione, per avvicinare i più deboli ai più forti; quante volte lo ha detto il Presidente Costalli. I centri minori, con risorse scarse e basi imponibili ridotte, non possono essere lasciati ai margini di tutto. Anche la bellezza dei nostri borghi, vanto di un’Italia ammirata in tutto il mondo, non deve essere di pretesto a un’azione di propaganda. Ci vuole più gusto della complessità. Le grandi città oramai prigioniere di se stesse, quando nella loro genesi storica sono state un fattore d’integrazione del paesaggio e dell’economia rurale, si profilano come entità politiche avvolte in un manto di autosufficienza improduttiva, specie se ad esse si lega la rappresentanza del sistema autonomistico.
Perciò, in un quadro d’insieme, la formazione delle leggi risente della disarticolazione corporativa del mondo associativo degli enti locali. C’è la necessità, per altro, di correggere la distorsione provocata dalla cosiddetta razionalizzazione delle aziende a partecipazione comunale. Più in generale, il grande comparto del welfare locale richiede una formidabile rivisitazione sul piano organizzativo e finanziario, e questo si può attuare solo ascoltando le associazioni come il MCL.
L’evento di febbraio vuole aprire un dibattito tra gli amministratori per far si che si possa attuare una ristrutturazione di un modello politico di presenza e di collaborazione. Il Convegno darà voce a sindaci, assessori, consiglieri molto spesso non ascoltati. Insomma lo scopo è quello di dare vigore ad una rinnovata azione di tipo collegiale, nel tradizionale spirito unitario, per poter corrispondere adeguatamente alla domanda di un rinnovato protagonismo da parte di tutti gli amministratori locali: sindaci, assessori, consiglieri comunali, Presidenti di Municipio.
Il Convegno, in definitiva, vuole scrivere una pagina nuova per mettere al centro le autonomie e renderle ancora più forti nel contesto della società italiana.
Luca Cappelli