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09/12/2019
Enti inutili e corpi intermedi: burocrazia o clientele?
È dal 1956 che i governi hanno tentato almeno di chiudere quelli nati e cresciuti durante l'era fascista

Diceva Andreotti che i manicomi sono pieni di due categorie, quelli che si credono Napoleone e quelli che vogliono risanare le ferrovie. Potremmo aggiungere quelli che sognano di tagliare gli enti inutili e quelli che credono nella forza dei corpi intermedi. Eppure, se con magia, potessimo cancellarli tutti e subito, lo Stato risparmierebbe molti miliardi all'anno. Più di un terzo dell'attuale manovra economica, basterebbe per abolire le tante microtasse contenute nella legge di bilancio e dare una buona spinta agli investimenti. Sembra  un argomento tabù, ma il  caso più noto è quello del Cnel, pronto a risorgere dalle proprie ceneri come l'araba fenice; o le Province, date per morte e puntualmente rimaste al loro posto; o, ancora, i consorzi di bonifica, le comunità montane, i gruppi di lavoro, quelli di coordinamento, gli istituti che salvano gli asini e quelli che tutelano i gondolieri... È perfino troppo facile perdersi nella galassia degli enti inutili, una nebulosa fatta di sigle misteriose quasi quanto i bilanci disponibili e i relativi emolumenti per presidenti e consiglieri. Non si sa, con precisione, né quanti sono né quanto costano. È dal 1956 che i governi hanno tentato almeno di chiudere quelli nati e cresciuti durante l'era fascista. Ci sono voluti cinquant'anni e qualcuno è addirittura scampato al bisturi. Ma fra la Prima e la Seconda Repubblica, sono continuati a spuntare come funghi. Nel 2010  Roberto Calderoli, ministro della semplificazione, voleva bruciare in un unico falò leggi ed enti inutili, individuandone oltre 1.600, per la maggior parte addirittura «dannosi››, ma in Parlamento si arenò tutto.

Anche Mario Monti: ci mise le mani con  l'austerità del suo stile,  alle prese con una tesi di laurea, fece preparare un elenco di 500 sigle da cancellare. Tutto inutile. Negli ultimi cinque anni, solo una cinquantina sono effettivamente spariti, ma in qualche regione, come la Puglia, l'elenco è addirittura aumentato. Fra «enti sottoposti alla Tesoreria unica››, quelli «soggetti alle misure di razionalizzazione››, gli «enti pubblici ed economici» oppure quelli «pubblici sottoposti al controllo della Corte dei Conti» è davvero difficile non perdere l’orientamento. Solo così si spiega, come mai una potenza industriale come I'ltalia potrebbe fare a meno della Commissione tecnica per la salvaguardia dell'asino a Martina Franca? O, ancora meglio, dell'istituto veneziano per la conservazione della gondola e la tutela, ovviamente, del gondoliere? È da anni che sono nel mirino dei tagliatori degli enti inutili. Così come l'Unione Nazionale della lotta contro l'analfabetismo, nata nel 1947 e definita dal Senato «Ente di grande rilevanza socio-culturale», anche se ormai gli italiani hanno imparato a leggere e a scrivere (grazie al Maestro Manzi). Del resto è quasi sempre così. L'elenco degli Enti inutili di Monti si perde nelle secche del dibattito parlamentare. Una volta chiuso, ecco che un emendamento o un ricorso al Tar, e voilà: l'ente è pronto a riaprire i battenti come se nulla fosse. E, cosi resiste a qualsiasi colpo l'Unione Italiana tiro a segno o il Centro Piemontese degli studi africani, a Torino. Mentre non c'è stato verso di rinunciare all'lstituto incremento ippico della Sicilia. È andata meglio per l'ente nato per acquistare «stalloni›› o per il trattamento della «psoriasi» in Puglia, entrambi chiusi. Così come il gruppo di lavoro per lo studio «dell'alga››. Ma non c'è stato verso di tirare giù la saracinesca al «Comitato scientifico sui Tratturi›› o al centro studi transfrontalieri di Comelico e Sappada. Per non parlare dell'istituto culturale che studia le comunità dei ladini, le ville tuscolane o il gas petrolio liquefatto. Davvero potremmo rinunciarci? Macché. Del resto, una poltrona o un posto in qualche comitato è davvero difficile negarlo. Soprattutto per i politici della prima e della seconda Repubblica. Vedremo per quelli della terza.

In attesa della vera «spending review», cosa si aspetta a risparmiare 13 mld?.... se prendessimo per buono quanto guadagnano gli eredi di Totò Riina, come se avessimo le fatture di ogni bustina di droga spacciata; se calcoliamo al millesimo ciò che si evade ogni anno, come se conoscessimo gli evasori e i loro redditi, possiamo prendere per buono questo enorme sciupìo di risorse in enti di cui addirittura non conosciamo né la quantità né i contorni giuridici. Un terzo della manovra che il governo sta per varare condita da una pioggia di microtasse, ma se  aboliamo gli enti inutili, ci risparmiamo nuove imposte. Ma tra non riuscirci, come non ci sono riusciti tanti governi di buona volontà, e non provarci neppure, beh, c'è una bella differenza. Tra non portare a casa risultati anche parziali, e non mettere almeno il problema in agenda come si fa con il fantomatico recupero dell'evasione fiscale, un po' ce ne corre: è in pratica la conferma che abbiamo alzato bandiera bianca, che non si prova più nemmeno a risparmiare, a tagliare i tanti sprechi, ma di puntare subito alle tasche degli italiani. Oggi i moderni sistemi di protezione sociale sono istituzioni da sempre in continua trasformazione. Si spera che nel prossimo futuro le traiettorie dei sistemi di welfare si baseranno sempre più sul contributo del terzo settore e delle organizzazioni della società civile, consolidando una tendenza che negli ultimi venti anni è stata costante. Per il servizio sociale, ad esempio,  questo cambiamento aprirà una sfida epocale, e sarà chiamato a sviluppare una nuova consapevolezza e nuove competenze per lavorare in organizzazioni che, pur condividendo con il soggetto pubblico la mission del perseguimento di finalità sociali senza scopo di lucro, si differenziano da esso in modo sostanziale per caratteristiche strutturali, sistemi produttivi e finalità operative.

Per l’MCL il terzo settore è chiamato non solo a tutelare chi ha diritto a essere aiutato e sostenuto, ma anche a innovare e ampliare il perimetro degli interventi fornendo risposte a chi stenta ad averne. Ecco perché il valore dei corpi intermedi hanno le potenzialità che ci dovrebbero essere in virtù della natura privata del suo agire e delle motivazioni ideali che lo sostengono, ma anche l'ambizione a svolgere un ruolo di agente di cambiamento che corrisponde a uno dei principi e delle finalità costitutive delle varie  professioni sociali. La sfida di valorizzare il terzo settore come ambito di sviluppo ed espressione del servizio sociale ha dunque un importante valore strategico per il futuro del servizio sociale. Due  cose per concludere. La prima, giusti è ripresentare i principali tratti che contraddistinguono oggi il welfare sociale nel nostro Paese per poi esaminare gli interventi (tanto quelli realizzati, quanto le azioni mancate) che hanno contribuito a determinarli. La seconda, invece, mettere a fuoco le diverse strade che il welfare sociale italiano potrebbe intraprendere nei prossimi anni, nella direzione di un arretramento oppure in quella dello sviluppo, attraverso la valorizzazione dei corpi intermedi, discutere le opzioni che determineranno quale verrà effettivamente ed opportunamente  scelta, per garantire il bene comune. Se  il settore pubblico è garante del rispetto dei diritti e non si tenta di aggredire l'ingorgo di leggi, norme, scartoffie, clientele che tengono in vita ancora ad oggi tante assurdità, non rinunciando alla ricerca del rigore, dell'efficienza, del servizio e del sollievo ai cittadini.

Gilberto Minghetti

 

 




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