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04/11/2019
“Restiamo a Roma per aiutare la nostra città”
Non dimentichiamo che la formazione della classe dirigente non può essere disgiunta dal ripristino di grandi valori di onestà e chiarezza

Pubblichiamo l’intervento che Pietro Giubilo, già Sindaco di Roma nel 1988 - 1989, ha effettuato al convegno “Dai mali alle idee: Proposte per Roma”, dal titolo Roma: regime speciale, innovazione, decentramento urbanistico, le sfide di oggi (Il Domani d’Italia).


Intervengo in qualità di vicepresidente della Fondazione Italiana Europa Popolare chiamata a collaborare con il MCL di Roma per l’organizzazione di questo Convegno. Per i temi e le proposte che illustrerò, in particolare, per gli aspetti normativi di Roma Capitale e quelli urbanistici sono debitore di quanto elaborato dal Comitato Scientifico della Fondazione. Le considerazioni che seguiranno sulle sfide per la Città, hanno radici nel terreno fertile del lavoro associativo, svolto nell’ambito del Movimento Cristiano dei Lavoratori per la sua opera al servizio di chi ha bisogno.
Sentiamo tutti, come sia necessaria ed impellente la ripresa di un discorso su Roma. Non si può più essere indifferenti di fronte al degrado della sua condizione amministrativa, urbana e sociale ed accettarlo con rassegnazione.
Barbara Barbuscia, prima di me, ne ha illustrato efficacemente, gli elementi di maggiore evidenza.
Prima di ogni formulazione programmatica va riaffermato, una volta per tutte, che, sul piano normativo, Roma non può continuare ad essere considerata, come lo è da decenni, un comune come tutti gli altri, nell’ambito di una città metropolitana come le altre.  Le sue funzioni reali, primarie non possono rientrare in quelle di un semplice ente locale anche a carattere metropolitano.
Il presupposto da considerare è che il programma degli investimenti e il livello di offerta dei servizi per Roma Capitale costituiscono una questione di interesse nazionale.
Ben vengano, dunque, gli impegni che auspicano la conclusione di un lungo percorso politico e parlamentare fatto di dibattiti, proposte, provvedimenti, purtroppo mai giunto ad una soluzione definitiva e soddisfacente.
Ci si è limitati troppo a lungo ad una visione di mere esigenze di bilancio o con un limitato ritaglio di competenze, non operando per una necessaria, compiuta costruzione.
Sotto il profilo di un coinvolgimento più ampio di responsabilità, per gli obbiettivi di qualificazione e crescita della Città, si dovrebbe, innanzitutto, recuperare ed andare oltre il senso della legge 396 del 1990, denominata, appunto, “Interventi per Roma, Capitale della Repubblica”. Venivano tracciati, allora, gli obbiettivi considerati di “preminente interesse nazionale” e “funzionali all’assolvimento da parte della città di Roma del ruolo di Capitale della Repubblica”.  Indicazioni più ampie, rispetto a quanto previsto dalle normative intervenute successivamente.
Tra questi: la conservazione e la valorizzazione del patrimonio monumentale  archeologico e artistico, dall’area centrale dei fori ai parchi urbani e suburbani; la tutela dell’ambiente  con riferimento ai fiumi Aniene e Tevere e la riqualificazione delle periferie; l’adeguamento e la dotazione dei servizi e delle infrastrutture per la mobilità urbana e metropolitana, la navigabilità del Tevere, la riorganizzazione delle attività aeroportuali, il potenziamento del trasporto pubblico in  sede propria , sotterranea e in superficie; la qualificazione delle università e dei centri di ricerca; la costituzione del polo europeo dell’industria, dello spettacolo e delle comunicazioni e la realizzazione del sistema fieristico ed espositivo; l’adeguata sistemazione degli istituti internazionali operanti in Italia. Interventi affrontati, in seguito, solo parzialmente. Un articolo a parte era dedicato alla realizzazione del Sistema Direzionale Orientale, per il cui progetto direttore, nell’anno precedente, la giunta, da me guidata, aveva incaricato tre personalità di grandissimo rilievo: Kenzo Tange, Gabriele Scimemi e Sabino Cassese, oltre che avere predisposto una struttura ad hoc. Con esso, come recitava il progetto, si sarebbe anche ottenuta “la riqualificazione del settore orientale della città e… la trasformazione delle periferie in una parte integrante della città”.
La realizzazione degli interventi, proposti da una commissione che coinvolgeva le tre istituzioni (Comune, Provincia e Regione), in rapporto con l’Ufficio del Programma per Roma Capitale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, si sarebbe avvalsa di accordi di programma e conferenze di servizio, con la utilizzazione del silenzio assenso. Erano previsti finanziamenti adeguati e ricorrenti.
Aspetti e procedure in parte rimasti con la normativa per la Città metropolitana, intervenuta successivamente, ma con un profilo più interno ai ministeri competenti, rispetto ad una logica complessiva di governo.
Insomma, finalmente, con il provvedimento di allora, lo Stato interveniva per Roma, non dall’alto, ma coinvolgendo le istituzioni locali, non per tappare i buchi del bilancio, ma per la realizzazione di progetti finalizzati al ruolo della Capitale. Tuttavia, alle buone premesse non corrispose una sufficiente operatività. Emblematica fu, poi, la rinuncia del Comune, nel 1995, a realizzare il punto più qualificante del programma previsto dalla legge del 1990, cioè lo SDO. Finiva la vera grande speranza per la modernizzazione di questa Città, sulla quale avevano puntato la migliore cultura urbanistica e le più qualificate energie imprenditoriali, ostacolata da pesanti interessi conservatori. 
Occorre, oggi, chiarire definitivamente che – pur consapevoli delle difficoltà e dimostratasi l’inefficacia di un diverso orientamento – le competenze normative da attribuire alla Capitale devono comprendere una eccezione costituzionale, cioè poteri oltre le limitate attribuzioni regionali o provinciali.
Infatti, con la legge sulle Città metropolitane del 2014, che ha ridisegnato anche il quadro normativo della Capitale, Roma non va oltre i poteri di una grande provincia. La Regione Lazio, oltretutto, non si è voluta privare di propri ambiti, disattendendo anche la possibilità prevista dalla legge 42 del 2009, per l’istituzione di un tavolo interistituzionale per il trasferimento organico di funzioni amministrative alla Capitale: urbanistica, trasporto pubblico locale, commercio, rifiuti, fondi europei.  Abbiamo ben presente il caos di sovrapposizioni di competenze tra Regione, Città metropolitana, Provincia e Comune di Roma.
Ricordo soltanto che uno status speciale per Roma Capitale comporterebbe – ne accenno soltanto – la definizione di due  ambiti elettivi di governo, uno metropolitano, con competenze normative, programmatorie e amministrative, non solo di area vasta, ma con poteri di più alto livello, indispensabile per amministrare adeguatamente gli elementi fondamentali per lo sviluppo ed un secondo piano con la trasformazione delle attuali municipalità in comuni metropolitani, che consentirebbe più partecipazione e più responsabilità. 
La mancata approvazione di una normativa speciale, di profilo costituzionale, per Roma, costituisce il principale elemento che condiziona e rende difficile il suo futuro.
Un futuro a cui nessuno guarda, presi dalle incombenze di un presente caotico, dalla ritrosia di pensare e scegliere in grande, nell’affanno di una difficile navigazione a vista.
Esempi significativi di questa ritrosia l’abbiamo visti   nella rinuncia a candidare Roma per le Olimpiadi e, forse, ancor più grave, nel rifiuto del “tavolo” proposto, a suo tempo, dal Ministro Calenda per i progetti di “Sviluppo Capitale” o definiti, meno brillantemente, “Fabbrica Roma”, nei settori delle concessione di credito, innovazione e ricerca, rilancio del turismo, l’aerospazio e la ricerca tecnologica, l’utilizzo delle ex caserme. Si trattava, peraltro, di una iniziativa con un aspetto di estemporaneità fuori da un rapporto organico e funzionale come era stato previsto, appunto, dalla legge del 1990.
Roma, del resto, dovrebbe essere chiamata a svolgere adeguatamente la sua funzione di Capitale, costantemente, ogni giorno, proprio per le opportunità che le derivano dalla stessa realtà attuale che la vedono grande vetrina internazionale, meta di un turismo attratto da un patrimonio unico al mondo, centro di sedi amministrative, universitarie, di ricerca, di opportunità nel campo della comunicazione e della creatività.
Dobbiamo a questo proposito, avere il coraggio di indicare un connotato nuovo, cioè un percorso per rendere possibile uno sviluppo economico e produttivo della Capitale che poggi sull’ innovazione e sul digitale. La città amministrativa è stata vista per troppi decenni, come motore di sviluppo edilizio a iniziare dalla costruzione dei quartieri intorno a piazza Vittorio e proseguendo fino all’intensa urbanizzazione del secondo dopoguerra.
In particolare le attività industriali e produttive, evolutesi in settori della tecnologia avanzata e della ricerca (in particolare Spazio, Digitale e Information Technology, Farmaceutica), collegate, oltre che con il terziario direzionale, con le attività culturali e artistiche, con il turismo, con la cinematografia e la televisione, l’alta moda, l’editoria, costituiscono direttrici di sviluppo, suscettibili di nuove espansioni.
Si dice che Roma è in declino, ma il turismo cresce più che in tutte le altre metropoli d’eccellenza in Italia. Dobbiamo però migliorare Roma e il Lazio puntando sull’ accoglienza e l’ospitalità, rimuovendo i grandi macigni che rallentano la Città: pulizia e decoro, ambiente, strade. Non è impossibile, le altre capitali lo hanno fatto: percorsi pedonali, parcheggi interrati e mezzi pubblici elettrici nel centro storico; trasformare il rifiuto da costo a risorsa e produzione di energia.
  Dobbiamo far ritornare Roma a farsi desiderare dagli stranieri.
Come?
Alleggerendo i pesi che incombono ed avviando due progetti seri per farci apprezzare dai nostri visitatori:
• la realizzazione di un’App –  da aggiornarsi continuamente – che, in formato molto facile ed amichevole, consenta ad ogni persona di orizzontarsi in questa città, li indirizzi su percorsi ottimali, i mezzi pubblici continuamente disponibili, l’accesso migliore al buon cibo, ai nostri musei, alle nostre antichità, ai nostri divertimenti, agli acquisti di specialità;
• incentivare le imprese a diventare digitali 4.0 per adeguare  le loro fabbriche e la loro organizzazione per produrre prodotti migliori, apprezzabili dai potenziali clienti, ed avviare un sistema di logistica smart e di commercio on line,  per affrontare nuovi mercati lontani e vicini , migliorando l’immagine delle imprese e quello della Città. Qualificando la logistica ed affrontando la gestione digitale del traffico si fa un gran regalo all’ambiente.
Oggi l’innovazione digitale rappresenta una grande opportunità che dipende in buona parte da scelte a livello europeo e governativo, ma dobbiamo fare i conti con i giganti del Web del Nord America e dell’Asia Orientale; l’Europa se ne è accorta, ma pure l’Italia deve farsi rispettare e far pagare le stesse tasse a chi vende in Italia, ma hanno la testa e le strutture nei paesi a tassazione ridotta.
Le amministrazioni locali devono porsi come elemento dinamico e di iniziativa. Non basta attribuire a tale possibilità l’obbiettivo di una semplificazione procedurale nell’ambito dell’amministrazione comunale; vi sono altre opportunità degne di grande attenzione.  Ed è la politica urbanistica unita ad un input politico di risoluzione degli aspetti burocratici che possono sollecitare, con adeguate previsioni infrastrutturali, gli investimenti in questo settore. 
Dobbiamo invertire una tendenza negativa. Sono, infatti le condizioni di abbandono del quadrante est che hanno tarpato le ali ad un progetto importante, voluto dalla Camera di Commercio, come il Tecnopolo Tiburtino. La Tiburtina Valley negli anni ‘80 e ’90, trainata da insediamenti nel settore spaziale e della difesa, aveva visto crescere un ampio indotto di piccole e medie imprese che poteva rappresentare un ulteriore sviluppo di nuova imprenditorialità.
La scelta coraggiosa di BNL di insediarsi alla stazione Tiburtina, con il degrado che la circonda, risulta una cattedrale nel deserto, in quanto non innervata in un sistema complessivo infrastrutturale che i collegamenti di viabilità pubblica non risolvono. La stazione che ospita il più importante hub dell’Alta Velocità è circondata da un degrado costituito da dormitori all’aperto e condizioni igieniche indescrivibili. Il piazzale antistante all’ingresso, principale accesso alla Città per turisti e uomini di affari, è un campo di sbandati che costituisce nelle ore serali un reale pericolo.
Dobbiamo riflettere su quanto ha scritto all’inizio del mese il professor Antonio Preiti, consulente strategico del CENSIS: “Se oggi un’azienda importante, magari globale, i cui manager per consuetudine girono il mondo, volesse a Roma uffici attrezzati, parcheggi comodi e ambienti curati, avrebbe enormi difficoltà a trovare gi edifici giusti. Roma ha una carenza enorme d’offerta immobiliare sull’edilizia direzionale, poiché si tratta di una tipologia che, oltre ad avere necessità degli spazi, deve incorporare intelligenza costruttiva, stile e funzionalità”.
Ma dobbiamo valorizzare le novità.  Va segnalata l’iniziativa a sostegno delle startup, supportate dalla Università Luiss.  Si tratta di un modello virtuoso che ha unito una università e un fondo di investimento privato nel quale, successivamente è entrata una società di capitali, costituita da una fondazione bancaria. Giovani, idee e capitali in una location significativa: la stazione Termini. Assente è solo il comune di Roma.
Nel campo dell’innovazione, in sostanza, dobbiamo invertire una tendenza che vede incrementare la distanza tra Milano e Roma, con la prima che si afferma anche grazie al modello fondato proprio sulla partnership pubblico/privato.
In sintesi i fatti dimostrano che debbono esserci tre interlocutori a dialogare in modo armonico e proficuo per fare sistema: l’ente territoriale, gli imprenditori e le università. Su questo modello Roma deve riappropriarsi della leadership. La Città, non dimentichiamolo, possiede un patrimonio unico al mondo: la presenza di San Pietro. Occorre impostare la visione della Capitale come una grande officina di innovazione per il rilancio di una città Smart. E’ sede delle più importanti società di telecomunicazione e del settore Energia: la collaborazione di queste con il territorio e con il mondo accademico potrebbe generare innovazione per cambiare la città attraverso progetti di mobilità sostenibile e, come abbiamo indicato, applicate al turismo.
Senza contare che occorrerà intervenire, tentando di ottimizzarne l’attività, sullo stato fallimentare delle strutture espositive che ha visto localizzazioni tutte sbagliate: da Fiumicino per la Fiera, alla “nuvola” per i congressi all’Eur, passando per la vela di Calatrava.  
Desidero, a questo punto, indicare brevemente, quale possa essere la modalità più adeguata per la complessiva politica urbanistica della Capitale. 
Si tratta di procedere, nell’area metropolitana, con un modello policentrico, già ipotizzato nell’abbandonato Piano Territoriale Regionale, tuttora in vigore (redatto da una commissione presieduta dal professor Sabino Cassese), attraverso un efficiente sistema viario e di trasporto pubblico.
Roma non può sopportare ulteriori edificazioni, soprattutto dopo la pur parziale applicazione degli articoli 11 della legge 493 e le iniziative del policentrismo direzionale, interno al Comune, sparso casualmente che ha fatto seguito all’abbandono dello SDO.  Si è giunti alla saturazione del tessuto urbano. 
Il decentramento urbanistico deve segnare il futuro di questa Città, resa invivibile da scelte sbagliate e da una visione attenta solo a incrementare le edificazioni del suo ambito consolidato e delle periferie, con troppo scarsi interventi strategici.
La città moderna consolidata dovrà mantenere la struttura urbanistica attuale, salvo interventi necessari per motivi funzionali, ma coerenti con l’ambiente urbano esistente. Nelle periferie dovranno essere trapiantati dei “cuori”, cioè dei centri di quartiere e recuperarle   attraverso il completamento di infrastrutture, servizi e verde pubblico e , ove possibile, integrate fra loro – non solo con i troppi e troppo grandi centri commerciali – consentendo attività artigianali e di servizio  che potrebbero essere trasferite dalle altre aree urbane.
Su tali prospettive dovrà misurarsi la creatività imprenditoriale. Questo settore produttivo, che è fonte di occupazione, deve mantenere un valore importante, mentre la crisi ha pesanti, insopportabili, conseguenze sociali.
Oltre a quelle centrali, rese più sicure nell’apertura al pubblico, deve essere prevista una tutela integrale per le aree archeologiche e ambientali esterne alla città consolidata, un vero e proprio vallo verde e della memoria della Città.   La loro sistemazione deve essere un elemento di recupero identitario per le periferie rispetto alle quali vanno collegate con percorsi e itinerari fruibili.
Un cambiamento di modello è necessario, poiché, per decenni,  la Città ha vivacchiato con gestioni urbanistiche limitate a soluzioni e operazioni episodiche  e locali , legate a richieste edificatorie , spesso in deroga, non collocate e sostenute da un quadro normativo  complessivo adeguato alle sue problematiche. Addirittura, al fine di giustificare la marmellata urbana, si è coniato un linguaggio che tentava di nobilitare questo indirizzo: dal “pianificar facendo”, all’“urbanistica contrattata”.
L’ultimo elemento da prendere in considerazione per una prospettiva nuova della Città, esula dagli aspetti normativi ed urbanistici, per entrare nelle ferite sociali che Roma oggi presenta.
Intendo far riferimento a ciò che le autorità ecclesiastiche cittadine indicarono al tempo dell’ultimo grande evento che ha interessato la Città, alla vigilia, cioè, del Giubileo straordinario del 2016.
Si   trattò di un intervento, allora non adeguatamente compreso e colto dalle forze politiche di una Città desolata e distratta che, proprio in quei giorni, assisteva all’inizio di quel processo che, allora, venne definito di “mafia Capitale”, mentre l’impegno amministrativo e i provvedimenti operativi per l’evento giubilare sarebbero naufragati nella illiceità e nella inefficienza. Proprio per tale disattenzione di allora, ci sembra doveroso riproporne i contenuti. 
L’allora Cardinale Vicario, nella Basilica di San Giovanni, a novembre 2015, indirizzò un “appello” alla Città, conscio che la crisi di Roma rivestisse anche un valore simbolico e riguardasse l’intero Paese.  La sua difficile condizione, affermò il Vicario, avrebbe richiesto “un supplemento d’anima per essere all’altezza della sua vocazione e delle nostre attese di speranza”, rendendo la Città “più attiva, più partecipe, più unita”. 
Si parlò allora di “cinque sfide” ma che possiamo tutte compendiare nella necessità di un atteggiamento attivo rispetto alle realtà della Città e di un richiamo alla consapevolezza di dover intervenire.  Un invito a costruire la città della solidarietà.
Recentemente, anche il nuovo Vicario ha chiesto di costituire le “équipe pastorali”, supportate dalla Diocesi, che, ascoltando il “grido della città”, possano “prendersi cura del cammino di tutti, custodendo la direzione comune e animando concretamente le diverse iniziative”. 
Vallini, insisteva nella richiesta, innanzitutto, di affrontare “le vecchie e nuove povertà”. Questa esortazione ecclesiale invita sia ad operare sul versante dello sviluppo, per creare più offerta di lavoro,  sollecitando le realtà sociali e produttive, per le quali l’amministrazione dovrebbe realizzare un luogo di permanente verifica dei programmi e delle realizzazioni, sia  contrastando l’isolamento e dell’abbandono di chi è emarginato , attraverso l’intervento delle realtà territoriali del terzo settore presenti e diffuse largamente nelle zone periferiche.
Poi la questione “dell’integrazione e dell’accoglienza”, che non è solo quella dell’immigrazione, con la realizzazione di strutture adeguate, attraverso interventi di edilizia pubblica, esterni alla città consolidata, anche in accordo con i privati costruttori; con programmi di riscatto degli alloggi che alimenterebbero un fondo per nuovi investimenti. Recentemente il SICET ne ha fatto un puntuale inventario.  La Città ha bisogno di relazione anche rispetto alla questione degli immigrati. A questo proposito il terzo settore ed il volontariato sono indispensabili. 
Veniva intravista anche la necessità di intervenire nell’ambito educativo, attraverso “la scuola, l’università e gli enti di formazione professionali, così numerosi a Roma” al fine di “promuovere il senso etico e civico, educare alla legalità, al rispetto reciproco e all’accoglienza di ciascuno”. Affinché Roma, che sempre ha dimostrato generosità e solidarietà, non fosse sospinta, dall’asprezza dei problemi sociali, verso forme di rancoroso egoismo come hanno dimostrato alcuni episodi, soprattutto nella periferia est.
Non poteva mancare, anche a proposito di quanto detto adesso, un invito ad una “vera e corretta comunicazione … per promuovere contenuti che investano il rapporto media-famiglia-cultura-solidarietà-giovani”. Anche questo invito del cardinale Vallini rappresentava una necessità di cambiamento, poiché nella comunicazione prevalgono quelli che anche il cardinale definiva “interessi economici e di parte”. Ben vengano confronti e proposte sulle quali gli organi di informazione coinvolgano le forze vive della Città. Dare voce a chi opera a servizio degli altri è un dovere di una corretta comunicazione.
Infine veniva segnalata un’ultima sfida che andava al cuore della crisi di rappresentanza della Città, la necessità di “formare pazientemente la classe dirigente di domani”. E’ un invito a riprendere, da parte dell’associazionismo, di ispirazione cattolica, quell’ impegno sociale, fondato sulla dottrina sociale della chiesa, base indispensabile   di una politica di servizio. I seminari di formazione del MCL riguardano anche agli aspetti amministrativi e legislativi delle comunità e degli enti locali, sollecitando i giovani a voler intervenire nelle attività dei municipi, prossimi alle problematiche del vivere quotidiano.
Non dimentichiamo che la formazione della classe dirigente non può essere disgiunta dal ripristino di grandi valori di onestà e chiarezza nell’espletamento delle diverse funzioni della amministrazione pubblica, contrastando decisamente la diffusa corruzione in atto.
Complessivamente l’appello del Cardinale e le sfide mostravano un elemento comune: quello di invitare i corpi intermedi a intervenire per la salute della Città, per il suo sviluppo, per risanare ferite inferte da troppi anni di inadeguatezza politica ed amministrativa. 
“Roma – si disse allora – ha bisogno di una forte riscossa spirituale, morale, sociale, civile, con la cooperazione di tutti. Non aspettiamo che comincino gli altri: ciascuno nel suo ambiente si faccia protagonista di buone idee, di proposte, di dialogo, di azione”.
Ed è il motivo di questa iniziativa che intende passare dalla denuncia dei “mali” alle idee e ai progetti per questa Città che un eminente poeta inglese chiamava “città dell’anima”.
Il suo carattere particolare è stato evidenziato nella recente, importante, ricerca, coordinata dal professor Domenico De Masi. In essa Roma è definita “città-mondo”. Ritengo, tuttavia, che più che un carattere cosmopolita essa abbia, a fondamento, una segno universale. Mi sia consentito: non è la stessa cosa. Non si può confondere l’universale con l’indistinto. 
Concludo con una gustosa citazione da un articolo del 1954 di Silvio Negro, un giornalista vicentino, vissuto fino alla soglia degli anni ’60, intelligente ammiratore della nostra Città, della quale scrisse “non basta una vita”, per conoscerla nel profondo. 
“Visto e considerato – scriveva il cittadino Umbricio a Giovenale milleottocento anni fa – che qui a Roma non c’è più posto per i lavoratori onesti il cui stipendio è praticamente nullo, e poiché la situazione di oggi è peggiore di quelle di ieri e quella di domani sarà più nera di quella di oggi, io ho preso la decisione di tornarmene a Cuma. Restino pure a Roma, caro Giovenale, quelli che hanno l’abitudine di ingannare il prossimo vendendo fumo; ci restino tutti coloro per i quali è un gioco da ragazzi ottenere appalti per costruzioni edili, per sbancamenti fluviali, costruzioni di porti e bonifiche, restino pure a Roma gli strozzini delle pompe funebri: ci restino quelli che non esitano a vendere l’anima al miglior offerente. Io me ne vado”.
Che il cittadino Umbricio avesse ragione allora e forse anche oggi, potrebbe essere una facile constatazione.
Ma noi abbiamo un’altra scelta: restare a Roma per aiutare questa nostra Città.

Pietro Giubilo




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