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11/10/2019
Una non manovra
Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose

Il giornalista americano Sydney J. Harris ci ricorda che: “un idealista è convinto che il breve periodo non conta. Un cinico crede che il lungo periodo non importa. Un realista crede che ciò che viene fatto o non fatto nel breve periodo determina il lungo periodo”.

L’attuale Ministro dell’Economia, lo storico Roberto Gualtieri, definitosi keynesiano in una recente intervista al Corsera (va molto di moda farlo nelle nostre latitudini), pensa invece che i problemi dell’Italia si possano risolvere nel breve periodo visto che le politiche che propone non guardano oltre un trimestre. Ma i problemi che affliggono l’Italia sono di lungo periodo e tutte le politiche di breve messe in atto almeno nell’ultimo quarto di secolo non hanno prodotto alcun risultato.

Albert Einstein amava ripetere che non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose ma in Italia abbiamo continuato imperterriti. Le tre zavorre che frenano il Belpaese sono: 1) il Mezzogiorno che dagli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso ha smesso di convergere con il Centro-nord, continua a ricevere trasferimenti, e presenta nello stesso periodo una disoccupazione strutturale elevata; 2) il tasso di crescita nazionale a partire dagli anni ’90 è pressoché stagnante; e 3) la produttività mostra lo stesso andamento.

Riguardo al Mezzogiorno però vanno fatte delle precisazioni. I dati ufficiali indicano: un reddito pro-capite del Sud pari a circa il 56% di quello del Nord, una spesa per i consumi delle famiglie pari al 75% di quella del Nord, un valore aggiunto per unità di lavoro che viaggia all'81% di quello del Nord, e un rapporto fra redditi di lavoro dipendente per unità di lavoro dell'89%. Con il tasso di occupazione che è tra i 2/3 ed i 3/4 di quello del Nord e la quota di valore aggiunto generato dal settore pubblico è del 50% maggiore di quella del Nord. Questi dati indicano che considerandoli assieme a quelli dell'evasione fiscale, delle attività illecite, e della distribuzione regionale della spesa pubblica, il problema del Mezzogiorno va visto sotto una nuova prospettiva e non come intende fare l’attuale governo giallorosso.

Quello che serve al Belpaese è una redistribuzione del reddito dal settore pubblico a quello privato della nostra economia. Riducendo la spesa pubblica di almeno un 6% sul Pil e con le risorse create praticare degli sgravi fiscali, lasciando intatti gli accordi fiscali europei e non attingendo alla flessibilità che ci è stata concessa, ma questo non accadrà sempre, per stimolare dal lato dell’offerta l’economia. Nell’attuale fase della globalizzazione servono i vantaggi assoluti per attirare fattori produttivi e l’inefficienza della nostra pubblica amministrazione non ci aiuta. Per usare delle parole forti: occorre “ridistribuire reddito e lavoro dal pubblico al privato ridistribuendolo dai parassiti (protetti dalla concorrenza internazionale) al settore produttivo seminando il germe della concorrenza in ogni settore per contribuire ad eliminare le rendite di posizione che in pochi godono.

Il primo intervento andrebbe fatto sul cuneo fiscale, con una riduzione della tassazione sia sul lavoro che sulle imprese. Per trovare le risorse, visto che bisogna coprire il vuoto di gettito provocato da questo intervento bisognerebbe ottenere una riduzione della spesa pubblica visto che il maggior deficit si tramuta in debito pubblico. Questo intervento si può fare anche senza snaturare la struttura del nostro sistema di welfare che andrebbe indirizzato verso una nuova concezione. Noi abbiamo una spesa sociale in proporzione al Pil che è in linea con quella degli altri Paesi europei. Però abbiamo uno squilibrio nella suddivisione delle voci. Circa il 50% di essa viene dedicato alla spesa pensionistica. Come conseguenza spendiamo molto poco per altre voci, come per esempio per le politiche attive per il lavoro, o per l’assicurazione contro la disoccupazione. Serve urgentemente un cambiamento d’indirizzo. Negli anni passati s’è fatta assistenza con la previdenza ed oggi ne paghiamo le conseguenze.

Ora per avere le risorse per un welfare dinamico che aiuti le persone a muoversi e a riallocarsi nel mercato del lavoro abbiamo bisogno di avere delle risorse da dedicare al workfare. Nel giro di almeno dieci anni bisognerebbe poi intervenire sulle modalità con le quali il sistema dei sevizi e delle istituzioni vengono offerti dal settore pubblico. Con l’obiettivo finale di ottenere un aumento della produttività totale dei fattori: cruciale nella stagione che stiamo vivendo. Una riduzione drastica del cuneo fiscale, che incentivi l’occupazione e gli investimenti delle imprese, dovrebbe essere ottenuta mettendo mano sulle esenzioni e sui contributi sociali, ma soprattutto riducendo in modo sostanziale l’IRPEF e riducendo l’IRAP. Esistono in letteratura delle stime che suggeriscono come una riduzione del cuneo fiscale di 13 punti percentuali (che porti il nostro Paese sulla media dei Paesi OCSE) potrebbe condurre ad un aumento di oltre il 10% nelle ore totali lavorate, con un incremento del tasso di occupazione di almeno 4 punti percentuali. Servirebbe nell’arco di dieci anni una riduzione dell’IRPEF di almeno il 30% per i redditi medio bassi trovando le coperture attraverso una rimodulazione e riqualificazione della spesa pubblica che nel nostro Paese ha raggiunto quasi i 900 mld di euro.

Questo Governo, invece, al pari dei precedenti cerca di galleggiare facendo delle manovre omeopatiche (quella dello scorso anno) o finte manovre come quella in discussione che non intaccano la struttura economica del nostro Paese. Dicevamo che quella in essere è una non manovra visto che è costituita per il 48% dalla flessibilità concessaci da Bruxelles e per il 24% dalla lotta all’evasione fiscale con risultati tutti da verificare. Ma così facendo si tira solo a campare restando in balia degli eventi che non saranno sempre di segno positivo.

Marco Boleo




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