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03/10/2019
Proporzionale corretto, una giusta rappresentanza elettiva
Un “proporzionale corretto” appare il metodo più idoneo per esprimere adeguati rapporti di consenso e favorire la governabilità, cioè, per una giusta rappresentanza elettiva.

Il “mantra” politico che ha accompagnato la nascita del nuovo governo è “stabilità, ma nel senso della continuazione della legislatura con altra maggioranza. La sopraggiunta “scissione” di Renzi, oltre a complicare i rapporti all’interno della coalizione, ha  resto  evidente il quadro politico-elettorale che si va costruendo .  Antonio Polito ha, infatti, fatto notare che tra “l’addio di Renzi” al Pd e legge proporzionale “c’è un rapporto di causa-effetto”,  rilevando  come lo stesso Goffredo Bettini  ne ha  “giustificato” la decisione  con “l’imminente riforma elettorale”. 

Insomma, come confermano autorevoli commentatori, dentro l’accordo Pd M5 Stelle, insieme alla riduzione del numero dei parlamentari, c’ è il ritorno al proporzionale puro, che avrebbe, anche e soprattutto, lo scopo politico di fermare un centrodestra che,  secondo le ultime elezioni e i sondaggi prevalenti,  poco lontano dal 50 per cento  dei consensi, potrebbe conseguire,  con l’attuale normativa , la maggioranza assoluta nelle due camere.

Troppo facile la polemica su questo ritorno ad un metodo che ha segnato l’intera esperienza della prima repubblica, rispetto alle dichiarate volontà di realizzare la “grande svolta”.   Più che altro, a segnare una inadeguatezza delle forze politiche, è il fatto che, ancora una volta, si ipotizza di cambiare la legge elettorale per contrastare la possibilità di vittoria dell’avversario politico. Come spiega il professore Ornaghi in un recentissimo articolo sullo “snaturamento della rappresentanza”: lo “scopo” di un “eccesso di proporzionalismo” sarebbe ”quello di avvantaggiare qualche partito o almeno ridurre o ritardare il calo numerico dei suoi esponenti parlamentari , penalizzando di converso (e soprattutto) quei partiti cui le intenzioni del voto popolare … assegnano le maggiori probabilità di avanzata o vittoria”.

Cambiamenti o , meglio, adattamenti della  legge elettorale dovrebbero, invece,  nascere dall’esigenza di ottimizzare la rappresentanza e la governabilità del sistema politico,  definito dalla Costituzione , in Italia,  come  democrazia parlamentare.   Non possono essere branditi come una clava nello scontro politico,  e presentarsi,  come scrive Ornaghi, finalizzati a  “regolare i rapporti e i conti fra coloro che ambiscono ad accedere al potere di governare da soli o con alleanze più o meno spurie”.

Le regole attualmente in vigore, anch’esse pensate a suo tempo  in funzione di impedire il successo del fronte avverso, sono state, comunque,  un  compromesso, con un rapporto tra proporzionale e collegi uninominali a favore del primo.       Però solo in parte  è stata superata  l’ubriacatura maggioritaria che era   caratterizzata dal rapporto opposto,  con la netta  prevalenza  dei collegi uninominali, di coalizioni obbligate e  del leaderismo politico.   Si era, infatti,  giunti al paradosso  per il quale anche forze politiche che non superavano il 30 per cento potevano conseguire  il controllo del Parlamento. E il confronto era tutto tra i candidati premier.  Pensata per assicurare la governabilità e per contrastare la corruttibilità del sistema delle preferenze,  la riforma maggioritaria, nelle sue varie formulazioni,  aveva di fatto ridotto la rappresentatività e  la partecipazione politica, con coalizione imposte di carattere elettorale su collegi uninominali nei quali non figuravano quelle candidature naturali che, invece,  ne avrebbero dovuto essere la sostanza positiva.

La reazione della Lega al supposto ritorno alla proporzionale pura è la richiesta di referendum per abolire, nell’attuale normativa, la quota proporzionale per un sistema interamente maggioritario di collegio. “Chi prende un  voto in più vince e governa”, con questa perentoria dichiarazione Salvini ha di fatto aperto una campagna politica in nome della governabilità contro gli “inciuci”. Ora, per la verità, questa modalità elettorale definisce i sistemi di tipo presidenziale, dove  gli elettori eleggono il governo. Questa linea politica non tiene conto del fatto che in Italia questa proposta –inizialmente pensata dal Partito d’Azione negli anni ’40  fino al centrodestra – non è stata mai attuata, a livello centrale, a motivo della particolare pluralità sociale, culturale e politica del Paese  che richiederebbe una serie di contrappesi sui quali non si è mai riusciti a trovare un accordo. Per cui la democrazia parlamentare e il sistema proporzionale, con le necessarie correzioni , restano le  prospettive più realistiche.

Ritornando alla legge attuale,  se è vero che  il ripristino per due terzi  del  proporzionale  ha corrisposto all’esigenza  di una maggiore corrispondenza tra consenso elettorale e rappresentanza parlamentare, con le liste bloccate  oltre che  con il gioco delle candidature uninominali in base alla prevedibile certezza o meno del collegio, si è cristallizzato un eccesso di potere delle segreterie dei partiti ( inefficaci sia le primarie che le piattaforme informatiche) e la complessiva impossibilità di scelta dell’elettore, in controtendenza rispetto  ai sistemi con preferenza,  in vigore per le elezioni comunali, regionali ed europee.

Rispetto ai problemi emersi a tutt’oggi  nelle regole elettorali,  quale modifica potrebbe recare beneficio alla rappresentanza e non mirare unicamente a regolare  i conti  tra le forze politiche?  Un “proporzionale corretto” appare il metodo più idoneo per esprimere adeguati  rapporti di consenso e favorire  la governabilità, cioè, per una giusta rappresentanza elettiva.  Nelle due versioni possibili: preferibilmente  con una soglia di sbarramento per evitare la dispersione del voto o, al limite,  con una quota di collegi – inferiore all’attuale – per favorire alleanze naturali, cioè presentabili all’elettorato. Prevedendo anche   la possibilità di esprimere, nel proporzionale, una preferenza o due di genere che, tra l’altro, eviterebbe quei cambi di casacca con assicurazione di rielezione che favoriscono un rigoglioso, quando indecente, trasformismo. Andranno, tuttavia, considerati gli effetti dell’imminente riduzione dei seggi parlamentari rispetto alle regole elettorali.

A questo proposito una ultima notazione che poco emerge nel confronto politico. La drastica riduzione dei parlamentari, sollecitata  da un giustificato discredito su aspetti criticabili  della classe  parlamentare, comporta, come  conseguenza,  con l’ampliamento dei collegi,  una ancora maggiore rarefazione del già limitato rapporto tra elettore ed eletto.   La spinta dei 5 stelle su tale argomento appare in linea con la introduzione della “relazione informatica” a sostegno di una improbabile democrazia diretta, ma   rende più difficile un corretto   rapporto di intermediazione alla base della democrazia rappresentativa.  Non è certo questa la strada per il  necessario contenimento di ogni radicalizzazione ideologica.

Pietro Giubilo

 

 

 




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