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10/09/2019
Basta citare il Papa, si faccia politica
Deve cessare l’impero degli ignoranti. E’ necessario quell’ascolto che i gesuiti pongono alla base del discernimento

Ignazio di Loyola, nei suoi celebri esercizi, invitava ad ascoltare mente e cuore, e soprattutto il secondo, perché quel sentire interiore, fatto di pensieri e sentimenti, che chiamiamo cuore rappresenta secondo i gesuiti l'unità della persona. E’ l'organo in grado di riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita. Negli Esercizi spirituali non c’è nessuna istruzione invece ad affidarsi alla pancia e alle orecchie. Il Santo Padre è un gesuita e ha ben presente la differenza tra gli organi del sentimento e quelli della percezione. Con la pancia sentiamo le paure, con le orecchie le parole dei saggi e quelle degli imbonitori. Senza mente e cuore non padroneggiamo le prime e non distinguiamo tra le seconde. Fine del pippone. Torniamo alla politica.
Molto spesso, in questi mesi, le parole del Papa sono state brandite contro la Lega sia da chi sostiene una visione evangelica della politica, sia da chi lucra sulle tragedie delle migrazioni. Altrettanto spesso, la Lega ha usato le parole e i simboli della fede contro Bergoglio e la Chiesa, alimentando quelle fazioni che sognano le dimissioni di papa Francesco oppure uno scisma. Lasciamo perdere il non trascurabile dettaglio che mentre la Lega ha un ampio consenso popolare ed usa strumentalmente la religione per galvanizzarlo, quelle fazioni, cui idealmente si riconduce Salvini, contano come il due di picche quando la briscola è fiori. Non avranno mai il sostegno dei ratzingeriani, pure numerosi, perché questi ultimi riconoscono nelle parole di  Bergoglio l’esercizio legittimo e sincero del magistero petrino e la traduzione del Vangelo secondo una sensibilità autenticamente cristiana. Ma una cosa è Bergoglio, un’altra i suoi interessati corifei. Una cosa è la lectio divina e un’altra certi affarucci da sagrestia.  
Ecco perché siamo partiti col pippone sul discernimento. Perché anche in questa stagione politica servirebbe un esercizio spirituale fondato sull’ascolto, allo scopo duplice di selezionare le posizioni politiche cui dare consenso e di far crescere una classe politica degna di questo nome. E’ comprensibile, ma non del tutto condivisibile nei modi, che nel marasma che si è creato dopo il 4 marzo la Chiesa italiana abbia dichiarato guerra a un governo e abbia sostenuto il ribaltone di questi giorni. Forse con eccessivo entusiasmo, senza chiedere né ricevere reali garanzie che il nuovo governo, oltre a riaprire i porti, attui politiche per l’integrazione dei migranti, la redistribuzione dell’accoglienza in Europa, e poi per la famiglia, la parità scolastica e la bioetica, cioè su tutti i fronti “cattolici”. Comprensibile, tuttavia, perché Salvini ha minato le basi del dialogo sociale (non quelle della democrazia, minate da tempo e da altri), incistando nelle istituzioni il germe della secessione sociale. Il primo dovere di un governante – in ciò risiede il famoso senso dello Stato – è quello di trasformare i nemici della propria parte politica in amici delle istituzioni, di ricomporre i dissidi e lavorare per la coesione sociale. Salvini ha fatto esattamente il contrario e ciò non è antidemocratico: è impolitico. E quando cresce un leader che ha l’obiettivo di incendiare la società, la Chiesa sta dall’altra parte. Punto.
Ora che Salvini è stato sconfitto da se stesso, diventa però più chiaro anche l’uso strumentale delle parole del Papa da parte di chi, detronizzato il “nemico”, continua a brandirle per legittimarsi come governante e, in tal ruolo, farsi gli affarucci suoi. La tentazione di smantellare la politica del salvinismo senza un accordo con l’Europa che vada oltre le concessioni finanziarie porta dritto a fare dell’Italia una terra di ghetti, in cui masse di diseredati del Sud del mondo offrono le loro braccia a basso costo e al miglior offerente.  L’adesione acritica della Chiesa a un governo che si qualifica come l’Angelo Sterminatore del Salvinismo espone i vescovi e i fedeli, al di là delle intenzioni, all’accusa di aver interessi da difendere, segnatamente nella gestione dell’accoglienza, esattamente come la stessa adesione acritica fu tributata all’esecutivo Berlusconi per ottenere i finanziamenti alla scuola paritaria, peraltro male incassati. Ciò che ci si attende dalla Chiesa è la moral suasion per smuovere le istituzioni italiane ed europee ad “abbassarsi” come ha indicato a Senigallia l’Arcivescovo Matteo Zuppi, per ascoltare i cittadini e trovare insieme a loro una via nuova. Per restare all’ambito dei migranti, è illusorio pensare che gli italiani cambino idea su Salvini se la politica del Conte bis sarà semplicemente quella di riaprire i porti e i centri di accoglienza.
La crisi economica in corso impone un ripensamento radicale. Impone, per dirla tutta, di mettere a reddito la migrazione, creando un sistema di contratti di lavoro e previdenza differenziati per gli stranieri allo scopo di offrire loro non l’accoglienza gratuita ma l’integrazione possibile: i doveri oltre i diritti. Anche, in prospettiva, il diritto alla piena cittadinanza. Serve creatività, non odio. Serve un patto con gli italiani e con Bruxelles per governare economicamente la migrazione e, magari, trasformare l’Italia (e la Spagna) in un grande centro di formazione professionale per il collocamento degli stranieri nelle manifatture europee. Per fare questo, però, non basta la sussidiarietà: per evitare che tutto si risolva in una mangiatoia, e quindi nel risorgere del calvinismo, occorre un pieno coinvolgimento delle istituzioni pubbliche nell’accoglienza e nell’integrazione degli stranieri, magari attraverso gli enti locali, perché la delega al sistema Prefetti-privato sociale, ammettiamolo, ha fallito e ha fallito in quanto per governare il fenomeno non basta un’ordinata accoglienza ma è necessario istruire dall’arrivo dello straniero un percorso per l’integrazione professionale. O il rimpatrio.
Per raggiungere questi risultati, tuttavia, deve cessare l’uso delle parole ripetute dai social alla tv, deve cessare l’uso strumentale delle parole del Papa e dei leader politici. Deve cessare l’impero degli ignoranti. E’ necessario quell’ascolto che i gesuiti pongono alla base del discernimento. Ascolto che la politica non pratica più da decenni e che l’italiano medio non esige, illudendosi di contare con un like. Forse la prossima, più acerba, crisi economica di primavera lo costringerà a riflettere e a pretendere dalla politica un salto di qualità. Oppure lo condurrà a fare l’ennesimo ed ultimo salto nel vuoto.

Stefano Giordano




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