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06/08/2019
La laicità di De Gasperi
Era un idealista, ma in lui vinceva il pragmatismo e, non di rado, la convinzione quasi assoluta di essere nel giusto.

Talvolta in noi accade di immergersi nel ricordo di una persona scomparsa e sentir affiorare nell’animo atteggiamenti, modi di essere, caratteristiche, episodi di quella esistenza con una tale vivacità, che si è presi, realmente, dall’emotività suscitata da tante sensazioni: come si fossero vissute ieri. E accade anche di stupirsi al pensiero che non è solo una tua memoria, una «cosa» tua, ma storia che appartiene a tutti, storia per sempre, incancellabile. Ecco, questo io credo che senta in sé chi quella  realtà abbia voluto riscoprire per farne partecipi gli altri, a quei tanti amici che hanno condiviso un ideale attraverso l’analisi storica della vita dello statista facendo scattare una  partecipazione nuova di quegli anni di De Gasperi statista con l’intensità che sola poteva essere suscitata da persone che gli hanno vissuto al fianco e, quello che conta, hanno saputo trasmettere come maestri  a quei giovani soprattutto che vedevano in lui un modello da imitare per l’esempio di serietà e passione politica.

De Gasperi era già un leader al tempo del Partito popolare, poi durante la clandestinità, poi al sorgere del nuovo Stato, la testimonianza - fittissima di eventi, talvolta troppo, che qualche aspetto si poteva tralasciare per approfondirne altri – a una attenta rilettura, risulta di grandissimo interesse. Si pensi solo, per dire della statura dell’uomo, che Ruini lo paragonò a Cavour, che avversari, come la lotti, lo definirono statista eccezionale, che Saragat lo giudicò «il maggiore esponente politico dell’Italia repubblicana», che Togliatti lo temeva proprio perchè lo stimava superiore a tutti; e che, incredibile, persino Mussolini intuì - secondo una precisa testimonianza - che era l’unica persona in grado di prendere in mano le sorti dell'ltalia.

L’ultimo viaggio trionfale della salma da Sella di Val Sugana, dove mori nell’agosto 1954, fino a Roma, con tantissima gente accorsa alle stazioni ferroviarie per l'ultimo saluto al «Presidente»,  un fatto riportato dalla prima pagina del Corriere della sera  “L’Italia onora in Alcide De Gasperi  l’artefice della ricostruzione  nazionale” esattamente quindici giorni prima si leggeva una notizia  “Gli Italiani sulla vetta del K2 - unanime  ammirazione per la straordinaria impresa”: da una emozione all’altra!

La nota  più appariscente era  che mai in Italia vi è stata una simile manifestazione di stima e di affetto. Ma se sono evidenti i motivi della stima, qualcuno potrebbe stupirsi dell’affetto. De Gasperi non concedeva niente alla popolarità. ll suo carattere era intransigente, severo, autoritario, spigoloso, rude, a seconda dei casi. Il rafforzamento dello Stato era in cima ai suoi pensieri. L’asprezza del suo carattere si manifestava spesso in circostanze legate alle difficoltà di realizzare disegni che giudicava indispensabili e urgenti. Era un idealista, ma in lui vinceva il pragmatismo e, non di rado, la convinzione quasi assoluta di essere nel giusto. Nessuno, nel partito e fuori, potè mai mettere in dubbio la sua superiorità di leader politico. Quando estromise i comunisti dal governo aveva dietro di sè una Democrazia Cristiana tutt’altro che compatta. Si giudicava il passo pericolosissimo, e lo era. De Gasperi considerò i pro e i contro. Poi decise, assumendosi tutte le responsabilità. Stessa cosa, pur in circostanze del tutto diverse, per il Patto Atlantico.

La sua fede non ostentata, ma proclamata senza remore, come quando alla Carnera, con riferimento a Marx, citò «un altro proletario» che aveva dettato agli uomini, a tutti gli uomini, una legge universale di amore e di giustizia. Era certamente questo coraggio di essere sempre se stesso, «la sua illuminata capacità di sacrificio politico» (Gobetti), la sua non sopportazione di tutto ciò che potesse essere volgare meschino, indegno dell’uomo. che - forse inconsapevolmente - la gente sentiva: e che sentivano moltissimi italiani come di persona a cui si deve grandissimo rispetto, ma anche amore, tenerezza, riconoscenza.

E' proprio dalla concezione laica della politica che Sturzo, De Gasperi ed altri, hanno ricavato una coerente idea di partito autonomo anticipata anche da Rosmini.  C'è stato un serio dissenso tra Dossetti e De Gasperi a questo proposito, ma il contrasto non era insanabile  e lo dimostrano gli incontri chiarificatori successivi.

De Gasperi insiste sul fatto che in democrazia il  mandato è controllato durante la legislatura, sì dall’opinione pubblica, ma più direttamente dai partiti, che sono le associazioni, i “corpi intermedi” veri i quali hanno assunto dinanzi al corpo elettorale la responsabilità delle candidature e perciò sentono anche il diritto del controllo e dell' “orientamento”, cioè della direttiva generica. “I partiti sono oramai un organo della democrazia politica”. La loro legittimità nasce dalla corresponsabilità al mandato e al suo esercizio».

La difesa fatta da De Gasperi  in tempi in cui non tutti i cattolici si riconoscevano nella Dc - del ruolo del partito, del suo radicamento elettorale, non della fuga verso movimenti che rifiutano di essere partiti per consentire ai loro capi “carismatici" di sottrarsi ad ogni controllo, è assai chiara, anche se riferita ad un contesto diverso. Il partito, (ribadito ancora al congresso di Napoli) è lo strumento indispensabile per operare in politica da parte di credenti che «impegnano se stessi e non la propria Chiesa». Ecco un'altra concreta prova di laicità correttamente intesa.

Gilberto Minghetti

 




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