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30/07/2019
Boris Johnson a Downing Street, cosa cambierà per l’Europa
Johnson sicuramente attuerà dei piani che possono dare stimolo all’economia inglese

L’indomani della elezione di Boris Johnson come Primo Ministro del Regno Unito la borsa di Londra ha aperto poco mossa e la sterlina si è mossa a malapena. Gli investitori avevano previsto questo risultato, motivo per cui il pound era sceso sui livelli minimi da inizio del 2017, e prima ancora del voto stavano già ipotizzando a quale tipo di Brexit il Paese andrà incontro. Per il momento il premier non si è espresso in merito all'uscita dall'Ue, limitandosi a dire che la porterà a termine.

Come sostiene Azad Zangana, senior european economist e strategist di Schroders: "Johnson dovrà fin da subito guidare un partito profondamente diviso e una maggioranza sempre più ridotta in Parlamento. Nel corso della sua campagna ha promesso di utilizzare l’uscita no-deal dall’Unione Europea come una minaccia reale per fare leva sui negoziati. Tuttavia, in questo modo ha isolato gli europeisti all’interno dell’attuale Governo, molti dei quali si dimetteranno o verranno sostituiti".

Secondo Zangana il Parlamento rimarrà in una situazione di stallo. "Anche se per certi versi a Johnson fa gioco utilizzare la minaccia del no-deal come strategia di negoziazione, l’errore fatale è che la matematica parlamentare non è cambiata e non offre sostegno a tale strategia. È chiaro che non c’è una maggioranza per l’attuale accordo di recesso, e che una maggioranza significativa è contro il no-deal. Infatti ci aspettiamo che coloro che si oppongono alla Brexit presentino con successo delle mozioni che costringano il governo a richiedere una proroga, in assenza di un accordo approvato dal Parlamento".

Capite bene che la probabilità di successo di una rinegoziazione è pressoché inesistente, infatti l’esito più probabile in vista della scadenza della Brexit è quindi quello di un altro posticipo. La promessa di Johnson “do or die” durante la sua campagna manca semplicemente di credibilità. Alla fine potrebbero essere indette le elezioni generali nel tentativo di sbloccare lo stallo", sarà vero?

Johnson sicuramente attuerà dei piani che possano dare stimolo all’economia inglese. Dopo anni di austerity, Johnson terrà fede alle sue promesse della campagna per allentare la politica fiscale. 

Tristan Hanson, gestore multi-asset di M&G è sicuro che: "il nuovo primo ministro valuterà se potrà negoziare delle modifiche al deal di Theresa May e, nel caso, proverà a far approvare un nuovo accordo in Parlamento, entro il 31 ottobre. In caso contrario, sia a Johnson sia al Parlamento resteranno le stesse opzioni disponibili sotto la leadership di May. Il rischio di un’uscita del Regno Unito senza accordo potrebbe essere cresciuto, ma ci si attende che il Parlamento proverà a contrastare un risultato del genere. Sono anche cresciute le probabilità di elezioni generali. Insomma, il percorso davanti a noi resta incerto e imprevedibile. Alla fine dei conti, a prescindere dai passaggi intermedi, le opzioni restano le stesse con qualunque primo ministro e con qualunque partito al Governo: uscire dall’Ue con o senza accordo, oppure rimanervi”.

Comunque tutti gli economisti sono concordi sul fatto che c’è una possibilità che Johnson proverà a creare uno stimolo economico finanziato da un maggiore indebitamento del governo o da minori tasse. Quindi, Brexit o no Brexit, l’outlook sui Gilt per i prossimi anni è pericoloso dati gli attuali livelli molto bassi dei rendimenti, anche nel caso in cui la Bank of England dovesse tagliare i tassi di interesse e far ripartire il Qe. Riduzione delle tasse e maggiore spesa pubblica costituiscono la ricetta per una prosecuzione dei guadagni dei listini azionari, ma la direzione della sterlina e gli sviluppi su Brexit avranno un ruolo altrettanto importante da giocare.

Per quanto riguarda l'impatto sulla sterlina, gli economisti affermano che date alcune forti similitudini tra Donald Trump e Boris Johnson, quest’ultimo potrebbe essere positivo per la sterlina come Trump lo è stato per il dollaro. La verità è, tuttavia, che il dollaro oggi si è apprezzato solo dell’1% dall’elezione di Trump. L’idea che Boris sia di spinta alla sterlina potrebbe essere allo stesso modo scorretta.

Entrambe le economie hanno avuto una performance relativamente positiva e le loro banche centrali hanno alzato i tassi di interesse. Entrambe, però, hanno anche enormi deficit commerciali. Le similarità finiscono qui. Qualunque la si veda, il governo statunitense è stabile e intraprende politiche economiche coerenti, al contrario della caotica situazione britannica che vede in Johnson la sua manifestazione piuttosto che la sua cura. Gli Usa sono la prima economia mondiale, hanno la valuta di riserva globale e sono sempre più autosufficienti a livello energetico. Il Regno Unito è invece più legato alla generosità degli altri e con un outlook esterno particolarmente incerto, specialmente con l’Unione Europea.

Questa storia, insomma, si racconta quasi da sola. La concatenazione con gli States però porta con sé una domanda: cosa succederebbe al Regno Unito se, dopo un rilancio economico strutturato con il benestare e la complicità di Trump, quest’ultimo dovesse perdere le presidenziali del 2020? Joe Biden e gli altri sono sostenitori di un mondo commerciale sconfinato, che è l’esatto contrario della dottrina sovranista.

Luca Cappelli

 

 




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