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26/07/2019
Il problema della bassa crescita in Italia
La povertà si riduce incentivando il lavoro e non elargendo sussidi come nel caso del reddito di cittadinanza

Nell’ultimo quarto di secolo l’economia italiana, come più volte ricordato, ha sperimentato una bassa crescita del Pil: la produzione lorda di beni e servizi generata in un anno solare, che ha contribuito ad un ristagno del reddito pro-capite. Per capirne le ragioni e per suggerire qualche ricetta di politica economica conviene partire da una identità: Prodotto interno lordo (Pil) = (Quantità di lavoro) x (Produttività del lavoro). Per far crescere il Pil pertanto occorrerebbe agire su entrambe le variabili ma questa volta per ragioni di spazio ci occuperemo solo della prima: la quantità di lavoro. Un buon punto di partenza sarebbe quello di andare ad escludere gli interventi che si sono susseguiti, visto che non hanno generato gli effetti sperati ed elencandoli potremmo catalogarli nella categoria: come non si dovrebbe intervenire! I cinque errori marchiani di politica economica compiuti negli ultimi anni sono stati i seguenti: 1) l’erogazione di sussidi distorsivi: il cosiddetto reddito di cittadinanza; 2) gli interventi temporanei: vedi la decontribuzione Renzi; 3) i prepensionamenti e gli incentivi ad uscire dalla forza lavoro: quota 100; 4) la tassazione distorsiva: l’erogazione degli 80 euro ha, infatti, generato un’aliquota marginale dell’80% a 26mila euro (un esempio di trappola della povertà) ed infine 5) la spesa pubblica per generare lavoro. Tutti interventi che hanno contribuito nel tempo a rendere il sistema fiscale italiano sempre più iniquo ed inefficiente ed hanno concorso ad accrescere i disincentivi alla crescita.

Le scelte di politica economica, ed in particolare quelle inerenti la tassazione, sono state dettate dall’ottenimento del consenso nel breve periodo (cortotermismo) piuttosto che il risultato di un’analisi sui benefici generati nel medio-lungo termine. A nostro avviso per porre fine alle iniquità ed alle inefficienze del sistema fiscale italiano bisognerebbe: i) ridurre e rimodulare le tasse per bassi livelli di reddito, inclusi i contributi sociali; ii) eliminare il più possibile le trappole della povertà; iii) generalizzare la detrazione per coniuge a carico; iv) portare avanti delle detrazioni per lavoro dipendente; e v) ridurre  in via permanente i contributi sociali.

Naturalmente questa non è una riforma radicale del nostro sistema fiscale poiché per attuarla avremmo avuto bisogno di ingenti risorse che per ora non sono disponibili visto che potrebbero essere reperite solo attuando riduzioni della spesa pubblica che non sono all’orizzonte. La nostra proposta minima che riprende delle idee elaborate dal prof. Sandro Brusco della Stony Brook University di New York si concentra invece sui cinque punti ricordati in precedenza. La riduzione delle tasse, secondo il professore americano, va indirizzata sulle fasce di reddito più basse allo scopo di stimolare la partecipazione alla forza lavoro delle famiglie più povere. La povertà, infatti, si riduce incentivando il lavoro e non elargendo sussidi come nel caso del reddito di cittadinanza. Nello specifico servirebbero cinque provvedimenti: 1) abolire la detrazione per coniuge a carico, sostituendola con un aumento della detrazione per lavoro dipendente o autonomo.

Questo perché la partecipazione al mercato del lavoro delle donne sposate è crescente con il reddito del marito, ossia le donne coniugate con mariti che hanno un reddito basso tendono a restare fuori dalla forza lavoro per usufruire della detrazione per coniuge a carico. Eliminando quest’ultima aumenterebbe quindi la partecipazione alla forza lavoro; 2) abolire la detrazione degli ‘80 euro’, sostituendola con un aumento della detrazione per lavoro dipendente. In questo modo la riforma sarebbe a costo zero per l’erario, senza grosse conseguenze redistributive ma eliminerebbe il disincentivo all’offerta di lavoro; 3) consentire l’utilizzo delle detrazioni per reddito dipendente non godute negli anni passati. Questo perché se un lavoratore resta disoccupato o decide di restare fuori la forza lavoro per un anno non pagando imposte perde la detrazione. In questo modo si recuperano quando si ridiventa lavoratori attivi; 4) ridurre i contributi sociali. Un provvedimento che abbassa il costo del lavoro e concentra lo sgravio fiscale su misure in grado di favorire l’occupazione. 5) ridurre tutte le deduzioni e le detrazioni diverse da quella per lavoro e trasformarle in detrazioni per lavoro dipendente e autonomo. Questo perché alterano le scelte di consumo e di investimento e beneficiano le famiglie più agiate, visto che le famiglie con reddito basso non pagano abbastanza imposte per usufruirne. Anche in questo caso ne risulterebbe incoraggiata l’offerta di lavoro. Questi cinque provvedimenti insomma contribuirebbero ad aumentare l’offerta di lavoro, le entrate fiscali via l’aumento del Pil  e rafforzerebbero la struttura dell’economia italiana.

Marco Boleo

 

 




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