Dopo tre anni di amministrazione del Comune di Roma è giusto fare un bilancio dell'operato della giunta pentastellata di Virginia Raggi, bilancio estremamente facile da stilare ma certamente impietoso. Basta girare per le strade di Roma e parlare con i cittadini romani per verificare che quello che mostrano le televisioni è perfino inferiore alla realtà. Roma sommersa dai rifiuti, le strade di Roma piene di buche e gli autobus che prendono fuoco, non sono esagerazioni giornalistiche per mettere in cattiva luce Virginia Raggi che, ereditando una situazione catastrofica sta "eroicamente" lavorando per migliorare i servizi. La realtà è che i problemi di Roma sono peggiorati e dello sforzo grillino i cittadini romani non vedono neanche l'ombra.
Ma al di là delle "impressioni" dei cittadini sono le stesse cifre di quelli che sono i servizi minimi che un comune ha il dovere di garantire ai suoi cittadini, a certificare il sostanziale fallimento della sindacatura Raggi.
Ad esempio per quanto riguarda il trasporto pubblico all'inizio dell'avventura grillina, perché cosi si dovrebbe giustamente definire, il parco mezzi del Comune di Roma contava 2082 autobus, oggi questi sono 1911, le vetture metro erano 102 mentre oggi se ne contano 96, infine i mezzi del servizio ferroviario regionale erano 72, oggi sono ridotti a 62. Ma quello che è più significativo è il livello del servizio sceso a 144 milioni vetture chilometro rispetto agli iniziali 149,4. Gli investimenti poi sono scesi da 24,5 milioni del 2016 (erano 33,8 nel 2015) a 23,6 milioni. Investimenti che, inoltre, i cittadini romani non hanno assolutamente percepito, poiché 70 mezzi sono stati presi a noleggio in Israele senza rendersi conto che non possono circolare sulle strade romane in quanto non sono a norma per quanto riguarda le norme sulle emissioni inquinanti. Altri 227 acquistati in Turchia sono ancora fermi misteriosamente a Bologna in attesa di immatricolazione. Facile l'ironia pensando a quello che era il titolo del paragrafo delle linee programmatiche dedicate al trasporto pubblico locale: "la città in movimento".
Altrettanto negativi sono i numeri per quanto riguarda i rifiuti. Al di là della "toppa" messa in atto in questi giorni la situazione dell'immondizia è ancora drammatica e diventa ogni giorno più tragica. Era il 2016 quando, di fronte ad una ennesima crisi dei rifiuti, Virginia Raggi si scagliava contro l'AMA, promettendo entro dicembre "un progetto impiantistico, funzionale al programma del M5S verso l'obiettivo rifiuti zero"! Teniamo conto che la differenziata, iniziata con la sindacatura Alemanno, era nel 2016 al 41%; ad aprile dello stesso anno il piano rifiuti prevedeva di portare la raccolta differenziata al 70% entro il 2021. Autentica utopia: nel 2018 la differenziata era scesa sotto il 44% contro il 44,3% del 2017. Queste le cifre, inoltre il "no" dei cinquestelle a inceneritori e termovalorizzatori si è sovrapposto a una crisi impiantistica enorme per la carenza di impianti TMB. E qui la Raggi le colpe le condivide ampiamente con Zingaretti. Vi è infine una critica a cui la Raggi non riesce a rispondere, l'assoluta mancanza di una visione strategica sullo sviluppo di Roma. Le categorie produttive le contestano ancora il "no" alle Olimpiadi e la vicenda tragicomica dello stadio di Roma (con l'inchiesta che ha investito il costruttore Parnasi ma, fatto gravissimo a carico del Comune di Roma dell'allora Presidente Acea Lanzalone e del presidente del consiglio comunale De Vito).
Chi ha votato la sindaca Raggi alle elezioni del 2016 lo ha fatto fidandosi nel "vento del cambiamento", fidandosi del programma elettorale del 2016 in cui era scritto "Roma Capitale, le sue istituzioni e aziende devono tornare interlocutori credibili per tutti". Ecco oggi la delusione più cocente per chi ha eletto la Raggi è che questo passo di cambio non c'è stato, e questa delusione rende Roma una preda più che appetibile per le opposizioni, e quasi indifendibile per Luigi Di Maio.
Roma, per sè e per quello che rappresenta in quanto Capitale d'Italia, ha bisogno di una proposta seria per le prossime elezioni, non di promesse e di programmi improvvisati volti solo a "rapinare" voti. Oggi, doppiata ampiamente la boa del mezzo mandato, è dovere delle forze politiche preoccuparsi seriamente delle prossime elezioni. Ma, a quanto pare, nessuno sta pensando e progettando il futuro di Roma partendo da un credibile candidato Sindaco. Comprensibile la stasi per i cinquestelle, che sanno di avere pochissime chance per il futuro. Il PD di Zingaretti dovrebbe essere cosciente che se vuole davvero risalire la china dall'attuale situazione di irrilevanza, il passaggio delle elezioni comunali di Roma del 2021 è cruciale. Fallisse anche quello, come le regionali passate, la risalita sarebbe improba. Il PD sconta, alla pari delle altre forze, la mancanza di un nome credibile espressione del partito territoriale, quello che però dovrà evitare assolutamente è una operazione come quella di Marino, inventarsi cioè "un marziano". Le due debolezze, quella del M5S e del PD, potrebbero indurre entrambi a fare di Roma un laboratorio, più o meno simulato pensando al ballottaggio, di una alleanza tra di loro. Alleanza estremamente pericolosa se fatta alla luce del sole, estremamente scorretta nei confronti degli elettori se fatta clandestinamente.
Il centro destra, che a livello di numeri parte nettamente favorito, ha il problema di esprimere un candidato unitario e credibile, onde evitare quanto successo nel 2016 che indecisioni, spaccature e tatticismi non gli fecero raggiungere il ballottaggio. Ad oggi la situazione è ancora in alto mare, ed il centrodestra questo non può permetterselo. Archiviata sostanzialmente la pratica Forza Italia romana, non esistono i presupposti per una quarta via alla Marchini. Resta il problema del candidato Sindaco. Salvini spinge fortemente Giorgia Meloni a ripresentare la Sua candidatura, ma ha i suoi interessi. Innanzitutto sa che a Roma il partito della Meloni si è notevolmente rinforzato e questo pone comunque un freno all'espansione della Lega. Salvini sa di non avere un nome credibile per Roma, la candidatura Meloni aprirebbe la via al suo vero obiettivo: la conquista della Regione Lazio con il sottosegretario Durigon. Infine avere la Meloni impegnata in Campidoglio significherebbe una maggiore libertà a livello nazionale.
Per la Meloni il problema è che una, a questo punto abbastanza probabile, vittoria alle comunali di Roma, comporterebbe un serio ostacolo alle sue ambizioni nazionali. La storia dei Sindaci di Roma insegna che il ritorno alla politica nazionale, dopo aver fatto il Sindaco di Roma, non è mai riuscito. D'altra parte Fratelli d'Italia ad oggi non ha altri nomi spendibili.
In queste condizioni si aprirebbe una prospettiva unica, praticamente irripetibile: la possibilità di una candidatura espressione della società civile, ad esempio quei corpi intermedi tanto evocati, chiaramente posizionata nel centrodestra. Se poi questo candidato provenisse dal mondo cattolico Roma, capitale del cristianesimo, ne avrebbe tutto da guadagnare. Ma probabilmente un nome associabile a queste caratteristiche non esiste, e se esiste a tutto pensa escluso che candidarsi a Sindaco della Capitale d'Italia. il farsi sfuggire questa occasione dovrebbe far meditare tutti coloro che dichiarano di voler restituire rilevanza ai cattolici in politica.
Giancarlo Moretti