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23/07/2019
Comuni e società partecipate, un’anomalia italiana
Alcune hanno il CdA ma senza un impiegato

E’ un quadro certamente in evoluzione ma ancora allarmante quello che l’Istat dipinge a proposito delle partecipate pubbliche, ossia delle società, degli enti o dei consorzi a diverso titolo controllati a livello azionario soprattutto da Comuni, ma anche da Province e Regioni.

L’obiettivo di tutti i governi è quello di ridurre il numero di queste imprese, che troppo spesso a livello locale sono state e sono un vero e proprio ricettacolo di sprechi finanziari e clientelismi ma a quanto pare così non è.

Intanto però, come accennato, l’Istat presenta un bilancio, aggiornato al 2015, che seppur evidenziando un numero di società partecipate in calo, fa registrare un preoccupante aumento dei dipendenti in esse occupati. Ma vediamole nel dettaglio queste cifre. Secondo i dati più aggiornati dell’Istat dunque, in tutto le partecipate a livello nazionale sono 9.655, in calo del 2,1%. Sale invece, come già ricordato, il numero di lavoratori alle loro dipendenze: sono 882.012 (+4,3%). In 2.000 di esse non ci sono occupati, poco più di mille addirittura risultano del tutto inattive. Per quanto riguarda poi lo scottante tema dei bilanci di esercizio, ebbene, bisogna fare i conti con un 23,5% di società che risulta in perdita.

Le partecipate generano comunque circa 54 miliardi di euro di valore aggiunto, ossia il 10% di quanto realizzato dal complesso delle imprese dell’industria e dei servizi. Un segnale questo che testimonia come, in questo ambito, non tutto sia da buttare, anche se bisognerà agire con rigore per riportare sotto controllo i conti di tante di queste partecipate.

Facciamo un raffronto con gli altri paesi europei: in Francia, per dire, ce ne sono un migliaio, e in Italia? La stima più accurata parla di 10mila, ma forse di più secondo un calcolo dell’ex Commissario Cottarelli. Una giungla, appunto, di società partecipate dagli enti locali (Comuni, Province, Regioni) che ingoia ogni anno oltre 26 miliardi di euro tra trasferimenti statali e locali. Dentro c'è di tutto. Società di servizi classici (acqua, gas, elettricità, trasporti, rifiuti), ma anche molto altro. Centocinquanta agenzie di viaggio, aziende che producono formaggio, vino, fiori, zucchero, ma pure surgelati e prosciutto.

È proprio indispensabile un'agenzia di viaggio comunale, un prosciuttificio regionale, con il loro bel consiglio di amministrazione, dirigenti, presidenti, collegi sindacali? Sono dei veri e propri poltronifici. Come ho detto in precedenza in ben 2.671 società ci sono più amministratori che dipendenti. Aziende, insomma, dove i direttori non sanno chi dirigere, perché sono più loro che gli addetti che dovrebbero eseguire le direttive. Un assurdo? Che dire allora delle 1.846 aziende pubbliche in cui non è impiegato neppure un solo dipendente? C'è il cda, ma non gli impiegati. Scatole vuote, utili per distribuire cariche (e stipendi) e mantenere i propri consigli di amministrazione. Tra quelle 1.846 società partecipate dagli enti locali più della metà (993) è in perdita, altre 240 hanno utili pari a zero.

Almeno 3mila partecipate ha meno di sei dipendenti, e almeno 1.300 hanno un fatturato inferiore a 100mila euro. Cosa vuol dire? Si tratta quindi di piccole società con il sospetto che molte siano state create principalmente per dare posizioni di favore a qualche amministratore o dipendente. Delle 220 aziende pubbliche che si occupano di «comunicazione», solo 11 fatturano più di 10mila euro, e una sessantina di loro non ha dipendenti, solo amministratori. Ma per «comunicare» cosa? Si tratta perlopiù di enti di promozione e sviluppo del territorio. Compiti che potrebbe svolgere qualche ufficio comunale, senza costituire una nuova società con nuove poltrone. Anche perché il risultato è spesso zero, o sottozero.

Il bello, si fa per dire, è che la maggior parte dei “poltronifici” pubblici dovrebbe essere chiuso. Ma proprio per legge, quella di Stabilità, in base a cui quasi 1.500 società andavano messe subito in liquidazione. L'ha fatto solo un Comune su cinque. Staremo a vedere.

Luca Cappelli

 

 




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