PRIMO PIANO
22/07/2019
Salvini e l'Europa
Il capo della Lega ha tentato, in questi mesi, di aprirsi alcune vie diplomatiche per aggirare il “recinto” europeo.

Alcuni passaggi politici, dopo le elezioni del 26 maggio, inducono a tentare di mettere a fuoco la questione del rapporto tra il leader del partito più votato in Italia e l’Europa.

Innanzitutto occorre rilevare che l’impostazione “scettica” della Lega nei riguardi delle istituzioni europee, tradizionalmente interpretata, si è dimostrata, nei fatti, inadeguata, in quanto tale, a costruire il quadro dei rapporti con Bruxelles. Sia come componente dell’attuale governo, sia come possibile partito guida di una ipotetica coalizione di centrodestra - qualora si andasse a elezioni con gli attuali livelli di consenso - la strategia di minimizzare il peso dell’intelaiatura e dei percorsi  istituzionali europei, conduce in un vicolo cieco.    Le politiche di bilancio, la cogenza dei trattati firmati, la partecipazione o meno alle istituzioni  governative dell’Europa, costituiscono componenti  fisse e ineludibili della politica italiana. Occorre che la Lega prenda atto che si tratta di un limes invalicabile, la cui deroga, modifica o presenza può avvenire solo attraverso vie costruttive di rapporti politici e  diplomatici.

Il capo della Lega ha tentato, in questi mesi, di aprirsi alcune vie diplomatiche per aggirare il “recinto” europeo.

Con i viaggi e gli incontri a Washington e a Mosca, ben oltre la sua funzione di ministro degli Interni, Salvini ha tentato di aprire spazi per rapporti di politica estera, mostrando, tuttavia, scarsa valenza e respiro strategico. Il progetto di approfittare, per uscire dalla “gabbia” europea, della linea di Tramp, volta a realizzare rapporti bilaterali con i Paesi in funzione di isolamento della Cina, mentre un proprio sottosegretario si fa promotore di un memorandum con Pekino, ne mostra il carattere contraddittorio e velleitario. In questo modo si ottiene qualche pacca sulle spalle e nient’altro.

L’approccio verso Mosca appare ancora più pasticciato. La vicenda degli incontri al l’Hotel Metropol, al di là dei suoi inquietanti intrecci di presenze poco qualificate e di possibili ingerenze di servizi, anche in assenza di reati, evidenzia l’inadeguatezza di personaggi che ruotano intorno al leader leghista. Basterebbe ricordare, per marcare le enormi differenze con il passato, come, procedessero, pur in un quadro di “guerra fredda”,  gli intelligenti distinguo di Fanfani e i rapporti economicamente utili con Mosca portati avanti da Enrico Mattei. Questo non per riportarci, nostalgicamente, a fasi storiche lontane e irripetibili, ma per far capire come la politica estera, fondamentale per un Paese come l’Italia (pensiamo allo stesso compimento del Risorgimento), va condotta, anche a livello partitico, con prassi di dignità e di intelligenza adeguate, pena la totale inutilità, o peggio, il danno. 

Ritornano ai rapporti con le istituzioni europee, Salvini sembra non aver compreso gli spazi che si sono aperti  con  la composizione del nuovo Parlamento di Bruxelles,  dopo le elezioni che hanno reso impraticabile la tradizionale sufficienza  politica e numerica  della coalizione tra Ppe e socialisti, quest’ultimi, peraltro, divisi.  La prova si è avuta con la elezione, per stretta misura, del nuovo Presidente della Commissione, l’esponente dei popolari Ursula von del Leyen, con soli nove voti in più della maggioranza  necessaria. Votazione a cui sono mancati una settantina tra assenti e “franchi tiratori”.  E’ vero che la candidatura è stata il frutto di un accordo al quale non hanno partecipato i gruppi cosiddetti sovranisti, - quindi della Lega,  che ha scelto questo ristretto spazio partitico -   ma la conferma parlamentare, proprio per i limiti e la fragilità degli accordi, poteva rappresentare  un ambito  nel quale  rendere agibile una iniziativa di partecipazione e di confronto.

La dimostrazione di queste possibilità   è stato il comportamento dei parlamentari dei 5 stelle, oltre che dei conservatori polacchi, disponendo, entrambi, di voti che si sono dimostrati determinanti per la elezione, alla prima votazione, del nuovo Presidente. Peraltro, nel suo discorso di investitura il nuovo leader della Commissione, pur offrendo motivazioni per ambientalisti e sinistre, aveva dichiarato di voler cambiare i trattati di Dublino e di voler contrastare l’immigrazione irregolare, due punti necessari, che sono in sintonia con quanto intenderebbe ottenere la Lega di Salvini.

L’ultimo passaggio in questa fase è rappresentato dalla nomina di un componente italiano nell’ esecutivo che, secondo le indicazioni,  spetterebbe alla Lega. Si tratterà di vedere se Salvini indicherà un personaggio adeguato non solo dal punto di vista della qualificazione e preparazione, ma soprattutto che si dimostri capace di lavorare, oltre che sul suo spazio istituzionale, anche a livello della costruzione di migliori rapporti politici con Bruxelles.

La Lega, nata dalle esigenze dei ceti medi produttivi dei territori, diventata con Salvini il più forte partito nazionale, appare sempre più condizionata, nel suo ruolo politico, dalla capacità di comprendere le logiche della politica estera. Ma, come recita un antico detto: Hic Rhodus, hic salta.

Pietro Giubilo

 

 

 

 

 

 




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet