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08/07/2019
Il compromesso europeo
Le istituzioni rappresentative, in situazioni straordinarie, come in parte si presentano oggi in Europa, si trovano a volte a dover cercare un compromesso

Nelle condizioni date non era possibile ottenere altro. Con ciò non ci riferiamo a quanto ì portato a casa dal nostro Paese, oltre il presidente del Parlamento europeo con Sassoli, con il  previsto  “commissario economico”, certamente più necessario dell’Alto rappresentante del’Unione per gli affari esteri ricoperto dall’Italia  nell’  esecutivo Junker.  Il gap rispetto all’assetto precedente riguarda soprattutto il vertice della BCE che passerà da Draghi alla Lagarde . Peraltro, per restare in questo ambito, l’istituto Centrale non è un organo politico e di conseguenza non può classificarsi in appartenenza nazionale; quello che si dovrà verificare sarà la disponibilità dell’ex direttore del FMI ad intervenire e funzioni che il suo predecessore ha svolto con qualche forzatura sullo statuto e cioè un “quantitative easing” ed un contrasto alla speculazione sui titoli pubblici degli stati “whatever it take to save the euro”. Una politica monetaria della quale l’Italia ha beneficiato non poco.

Il compromesso a cui intendiamo riferirci riguarda il rapporto tra il voto e le decisioni sugli assetti: i vertici della Commissione,  del Parlamento,  del Consiglio degli stati e le altre cariche connesse.

Per la verità, su come arrivare alle nomine si sono confrontate sin dall’inizio  due strategie diverse: quella dei popolari e quella dei socialisti collegati ad altre forze politiche , interpretate a lungo da Merkel e da Macron.  Per i primi occorreva, per la Commissione, restare fedeli al principio dello spitzenkandidat e, per il Parlamento,  contenere l’ingerenza del Consiglio europeo. Ciò avrebbe visto Weber alla  Commissione, avendo il Ppe ottenuto più voti, e,  per il  Parlamento, procedere con   il metodo  che aveva portato alla presidenza Tajani, cioè una votazione  aperta e indipendente,  con una guida che, proprio per tale modalità di elezione,  come  sottolineato  dallo stesso Tajani , “ non ha piegato la testa  né alla Commissione, né al Consiglio”. Ha giocato contro queste prospettive una irremovibile contrarietà  francese. Ci sarebbe da riflettere, in particolare,  sul  senso  dell’ostilità di Macron   per il candidato bavarese, forse troppo popolare e portatore di una visione di economia sociale poco digeribile dalla finanza d’oltralpe.

Nella condizione nelle quali giace l’assetto europeo, lo “scontro” tra il presidente francese e il cancelliere tedesco è, comunque, finito in una conferma dell’asse franco-tedesco ed è un dato politico che mantiene l’Europa intrappolata in una Costituzione materiale intergovernativa. Anche su questo punto il presidente uscente è stato drastico: “gli stati membri hanno troppa influenza e l’egemonia della trazione franco-tedesca non è accettabile, bisogna vedere più protagonisti sul palcoscenico”.  E non si tratta, per l’Italia, di una diffidenza giustificata dalle pulsioni euroscettiche dell’attuale esecutivo, in quanto l’ostracismo politico risale ormai da oltre venti anni e confermato nei riguardi di tutti gli ultimi governi.

Esaminati con qualche perplessità gli esiti della trattativa sotto il profilo di questi aspetti di principio, il risultato, comunque, presenta alcuni elementi sui quali si possono fondare le speranze di una ripresa di ruolo politico dell’Europa su temi che potrebbero qualificare un percorso costruttivo di questa legislatura, soprattutto per contenere le sollecitazioni euroscettiche.  In particolare, la Commissione  di Ursula  Von der Lynden  si potrebbe impegnare su due progetti di particolare rilievo politico,  il sociale e la difesa, sui quali  la presidente tedesca appare preparata e sensibile. Di Christine Lagarde si ricorda il suo ripensamento sugli effetti delle ricette monetarie  del FMI nella crisi greca e , di conseguenza , non sembrerebbe aliena ad interventi che evitino le scorribande speculative che si accendono  nei riguardi degli stati in difficoltà.

Insomma, da questo passaggio europeo, si può trarre un convincimento democratico e cioè che  le istituzioni rappresentative , in situazioni straordinarie, come in parte si presentano oggi in Europa, si trovano a volte – soprattutto quando mancano condizioni e leadership politiche forti -   a dover cercare un compromesso. Quello raggiunto a Bruxelles nei giorni scorsi non sembra essere di basso profilo.  Va guardato, come ha sottolineato Costalli, con “ottimismo”, auspicando che la “concretezza possa essere di nuovo al centro della politica europea”.

Pietro Giubilo

 




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