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10/06/2019
Il premier Conte fra due fuochi
Conte vorrebbe ballare da solo perché il suo governo ormai balla troppo

Il presidente del Consiglio fa la voce grossa. Anzi, scopre di avere una voce. Alla vigilia del primo vertice di governo dopo gli scontri, ha tuonato: “Se si deve vivacchiare, io lascio”. Evidentemente, le tensioni e le spinte leghiste sono fortissime ma la novità è che il M5S non controlla più il premier e, per quanto il capo politico, Luigi Di Maio, possa sbraitare la propria leadership, il presidente del Consiglio continua a intestarsi una posizione diversa, una linea sempre più filoeuropeista e un ruolo da grand Commis d’Etat. Abbiamo letto tutti il Corriere della Sera, dove Conte è tornato ad avvertire il resto del governo: servono “unità di intenti e chiarezza di obiettivi” perché “attenzione a sfidare la Commissione Ue sulla procedura. Se viene aperta davvero, farà male all’Italia” e “rischiamo di andarcene tutti a casa. Di certo me ne vado io”.

Non sono parole già udite. Anzi, di Conte finora si conoscevano più i silenzi che le parole. I più hanno interpretato queste intemperanze come la relazione al dato elettorale, una sorta di pensiero civetta del M5S per stanare l’alleato leghista. Ma non è così, come dimostrano le sempre più frequenti precisazioni di Di Maio.

Il presidente del Consiglio vuole ballare da solo. Che sia una strategia ordita dalla Casaleggio e Associati, per trasferire il format del poliziotto buono e del poliziotto cattivo - su cui finora si era organizzato il governo nei rapporti con il Paese dividendo la rappresentanza tra il buono Di Maio e il cattivo Salvini -, oppure una pensata tutta sua, fatto sta che la linea del premier sta divaricandosi da quella dell’esecutivo. Ed avviene su un punto dirimente: l’Europa.

Conte è stato chiaro: "Lo dico agli alleati - ha dichiarato - ma anche al Paese: una procedura per debito eccessivo va evitata. Esporrebbe l'Italia a uno spread difficilmente controllabile; e a fibrillazioni dei mercati finanziari che, in caso di declassamento da parte delle agenzie internazionali di rating, renderebbero più difficile al governo collocare il nostro debito sui mercati. Ecco perchè occorre unitarietà di intenti e chiarezza di obiettivi. Non posso e non voglio assumermi la responsabilità' di esporre il sistema-Paese a rischi inutili". Il punto è: perché una uscita isolata, quasi un ultimatum, nel momento in cui il governo sta accelerando nella ricerca di una soluzione al debito e il rischio di una sbandata è più alto?

Evidentemente, il premier ha tutt’altro che la situazione in mano e tenta una carta disperata: trasformarsi da avvocato degli italiani in improbabile leader di un populismo moderato, sempre arrabbiato e deluso nei confronti del sistema ma anche impaurito e meno propenso alle avventure. Insomma, Conte vorrebbe ballare da solo perché il suo governo ormai balla troppo, ma non ha la statura dello statista e neanche l’esperienza e le relazioni del commis d’Etat. È un presidente del consiglio che cerca una via di fuga, per sopravvivere politicamente, e la cerca dove c’è, ossia al Quirinale, sotto la cui ala si sarebbe già posto. Dal punto di vista di Mattarella, Bruxelles val bene un Conte, ma lo spessore politico del premier è quel che è.

Il presidente del Consiglio in carica ci ricorda un suo illustre predecessore ed è il compianto Giovanni Goria, figura di mediazione tra Craxi e De Mita. Come sappiamo, Goria fini politicamente stritolato tra i due vasi di ferro in una Prima Repubblica in cui il potere era saldamente in mano alla partitocrazia. Oggi il potere è di chi gode della fama di uomo forte, a prescindere dal fatto che lo sia. Ci pare che Conte speri di smarcarsi e costruirsi una immagine di forza tranquilla, una sorta di populismo 5.0. Anche Goria però tentò, per salvarsi, di costruirsi una corrente tutta sua, il che non fu sufficiente. Ad oggi, Giuseppe Conte assomiglia dunque al primo Goria, quello che Forattini raffigurava come una barba senza volto. E Conte non ha neppure una barba su cui contare.

Stefano Giordano




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