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11/06/2019
Cosa resta vivo ed attuale nel pensiero di don Sturzo?
A Bologna si è ricordato il centenario del I Congresso dei Popolari

E' ancora possibile, attraverso le sue pagine e le sue battaglie, trovare indicazioni valide nel quadro dei problemi politici, sociali, economici e istituzionali che agitano il nostro paese?

Indubbiamente esiste sempre un rischio, sul piano del metodo storico, nel voler attualizzare e trasferire nel tempo un pensiero elaborato e costruito alla luce di una realtà storica diversa a lontana. L'Italia di oggi non è più il paese che Luigi Sturzo aveva di fronte negli anni delle sue lotte politiche e sociali dalla fine dell'Ottocento al fascismo. Non è più neanche l'Italia del secondo dopoguerra, nella quale Sturzo tornò dopo il lungo esilio, l 'Italia della ricostruzione, nella quale non si scorgevano ancora chiaramente i segni della successiva rivoluzione industriale, tecnologica e sociale con trasformazioni mai prima conosciute, con profondissime modificazioni nel costume, nella mentalità, nel modo di vivere degli italiani. Una rivoluzione che era ai suoi primi passi quando Sturzo mori nel 1959; come ai primi difficili passi era il processo di integrazione economica europea.

Ma, pure in uno sfondo storico, sociale ed economico cosi profondamente modificato, in una realtà cosi diversa da quella prevalentemente rurale su cui Sturzo fondò molte delle sue analisi, non possiamo non trovare ancora alcuni punti fermi nel suo pensiero, su cui soffermare la nostra attenzione, cui riferirci come indicazioni ancora valide ai fini dello sviluppo di una società libera e democratica. Non possiamo non cogliere in molti dei suoi giudizi una sorta di profetico ammonimento, anche per gli uomini del nostro tempo.

Non va dimenticato che il pensiero politico e sociale di Sturzo nacque e maturò sia nella diretta partecipazione ai problemi della vita italiana, nelle battaglie durissime condotte in anni difficili per la storia del nostro paese e del -movimento politico dei cattolici, sia sulla base di una elaborazione sociologica e robusta  che coglie la società nelle sue complesse   articolazioni e nel suo complesso di crescita di lente e dolorose conquiste, di continui adattamenti  una società nella quale interagiscono un pluralismo di forze che tende alla ricerca di sempre nuovi equilibri.

Una concezione sociale che è intimamente connaturata con l 'idea della libertà e della democrazia, che rifiuta il totalitarimo e monismo sociale, che è l’antitesi dello Stato-Moloch che tutto assorbe e controlla, arrestando il dinamismo naturale del processo di evoluzione sociale.

Nasce anche da questa teoria della società il culto della libertà che animo Sturzo, il rifiuto di ogni integralismo, I'idea stessa della laicità della politica, interpretata come conquista fondamentale per il movimento cattolico italiano, ma anche e soprattutto la sua passione per le autonomie locali, la difesa della libera esplicazione dell'attività dei corpi intermedi, la liberta dell’insegnamento e della scuola: battaglie durissime, condotte contro le concezioni accentratratrici del liberalismo prima e contro l’autoritarismo e il totalitarismo fascista poi. Insomma, l’autorità politica non può avere, secondo Sturzo - la totalità dei poteri». Lo Stato non è la fonte dell'autorità, è solo un garante, con il compito di tutelare e coordinare le esigenze lizzare un vero sistema di democrazia sostanziale.

«Non si nega – affermò Sturzo - che con l'intensificazione della vita associata, nazionale e internazionale, sorgano e possano sorgere problemi che impongano nuove soluzioni. L'importante è che si mantengano i limiti di competenza fra le finalità e i mezzi di una sana politica e quanto è sacro patrimonio della personalità umana e civile dei singoli e dei liberi nuclei associati.

Emerge qui l'antitesi, sempre viva in Sturzo, tra Stato e statalismo, il primo inteso come «ordine necessario al vivere civile», il secondo distruttore «di ogni ordine istituzionale e di ogni morale amministrativa».

Alla base di questa concezione vi è soprattutto un problema di libertà, in campo politico come  in campo economico. In questa visione di uno Stato garante delle libertà dei cittadini e dei gruppi sociali si inserisce la concezione sturziana della vita economica, che potremmo inquadrare in una forma di liberismo, filtrato, però, attraverso una concreta aderenza ai problemi reali della società.

Insomma, Sturzo non è un liberista puro. Il liberismo è per lui un'idea non una religione.

E' nota la dura polemica che caratterizzò i suoi ultimi anni di vita, nel secondo dopoguerra. I suoi ammonimenti accorati. Quando prevaleva la teoria che «l'individuo è per lo Stato e non lo Stato per l’individuo» veniva a crearsi inevitabilmente - secondo Sturzo - «la divisione tra dominatori e dominati, che in altri termini

possono chiamarsi padroni e schiavi». Definì questa sua insistente polemica una battaglia per la libertà intesa come «espressione di verità e di ordine».

Una battaglia che toccava non solo il problema dell'interventismo statale in economia, del peso crescente della mano pubblica nei processi di sviluppo economico, ma investiva il problema del ruolo dei partiti, legandolo intimamente alla questione della moralità nella vita pubblica.

Fu tra i primi ad alzare la voce contro la «partitocrazia», intesa come «partecipazione e sovrapposizione dei partiti negli affari dello Stato, nell'amministrazione della cosa pubblica, nella legislazione parlamentare, come corpo che decide senza responsabilità, lasciando al parlamento e al governo niente altro che l'esecuzione delle formalità legali e qualche volta anche la scelta del momento opportuno».

Sturzo si era contrapposto sistematicamente ai disegni politici di Giolitti. non lasciandosi sfuggire una sola occasione in quell`arduo rincorrersi di convegni di studio, riunioni e dibattiti, tenendosi sul crinale difficile dell`obbedienza alla Chiesa, senza rischiosi scivolamenti, fino al termine del pontificato di Pio X, per molti versi il più disomogeneo al suo approccio all`autonomia, alla rottura dei fìancheggiamenti elettorali cattolici, alla definizione di un impianto teorico e programmatico, ch`egli potesse incontrare.

Ma nel 1914, con la morte di Pio X e l'avvento di Benedetto XV, con la guerra mondiale e la fine della lunga stagione giolittiana. gli si era aperta dinanzi una nuova prospettiva. Nel 1918, era stato chiamato a Roma per assumere la carica di segretario della Giunta centrale dell`Unione popolare e, in più, dell'Azione cattolica. Pur non schierandosi con le correnti interventiste, non aveva nascosto d`essere, fin dall'inizio, d'accordo con l’intervento. Aveva suscitato molta sorpresa questa sua posizione. così scopertamente distante da quella di Benedetto XV, ma i fatti gli avevano dato ragione, e di li. si può dire. Egli aveva cominciato a mettere mano alla fondazione di un partito ispirato alle premesse ideologiche e programmatiche del discorso di Caltagirone del 1905, nel momento in cui si trattava di restituire autorità al Parlamento, fiducia allo Stato e saldezza a una Chiesa liberata dagli intralci della questione romana.

Poiché anche a quello era servita la guerra: a dar prova della solidarietà dei cattolici, del contributo offerto, con drammatico spargimento di sangue, alla causa comune e alla salvaguardia dello Stato.

E adesso non mancava nulla, neppure la disponibilità del Pontefice, per dar vita a un partito di ispirazione cristiana non più in contraddizione con quell`itinerario della storia nazionale su cui avevano pesato scomuniche, reiezioni insanabili e i dispositivi del non expødit.

Di qui la convocazione del 23-24 novembre 1918 di un gruppo di amici presso la sede dell’Unione romana, in via dell’Umíltà, per gettare te basi di un nuovo partito, la costituzione di una «piccola costituente» che si era messa al lavoro per formulazioni più precise. la fondazione del Partito popolare italiano e l`approvazione e diffusione dell`appello A tutti gli uomini liberi  e forti (18 gennaio l9l9).

Entro pochi mesi, con l`approvazione delle tesi autonomistiche del l° Congresso di Bologna (14-l6 giugno) e il successo clamoroso, riportato nelle elezioni politiche del 16 novembre1919, con la conquista di 100 seggi parlamentari, Sturzo portava a coronamento un`iniziativa  da attribuire esclusivamente a suo merito, alla determinazione con cui aveva agito lungo anni difficili, alla chiarezza ed efficacia di una leadership abile e disincantata, fissata sui problemi e sulle prospettive di avanzamento della democrazia e lasciando in secondo piano i temi tuttavia di grande importanza della revisione complessiva delle relazioni Stato-Chiesa e dell`attuazione vera delle libertà fondamentali, nella società e nella difesa dell`istituto famigliare, nei campi dell`assistenza e dell`educazione. preferendo gettarsi, fin dal Il Congresso di Napoli (8-11 aprile 1920) sui temi del riordino delle campagne e sulla risoluzione dei problemi della società contadina, intraprendendo, fin dal maggio del1920, la via della partecipazione diretta al governo.

Sturzo non nega la validità del partito come portavoce di istanze e di ideali politici, sociali e civili, come tramite tra la societá, le classi, le categorie sociali e le istituzioni. Del  resto, era stato tra i primi, attraverso lotte aspre e dure contro la vecchia concezione elitaria del potere della classe dirigente liberale, a far sentire nella vita politica e parlamentare del nostro paese il peso e il ruolo che i partiti dovevano svolgere nella determinazione della politica nazionale.

Sturzo non rinnegò mai queste battaglie e queste convinzioni. La sua non fu una polemica contro il sistema dei partiti, ma contro quella che apparve a lui una progressiva degenerazione di questo sistema.

Fu accusato di conservatorismo, di essere incapace di cogliere i fermenti e le nuove realtà politiche e sociali emergenti nel secondo dopoguerra, cristallizzando si nelle sue vecchie idee. Ma ci sono nei suoi articoli di quegli anni, nei suoi giudizi, nelle sue analisi e diagnosi sulla realtà politica e sociale  ed economica nel nostro paese, indicazioni che avrebbero meritato maggiore attenzione.

Concludendo, la lezione di Don Sturzo oggi è significativamente la pienezza di quel senso di democrazia naturale dei cattolici che fatto di discernimento civile, di capacità di scelta e di assunzione di rischi. 100 anni fa siamo stati capaci di fare il movimento cattolico, oggi più colti, più incisivi e più motivati saremo mai inferiori ai nostri nonni? E  questo è un popolo che non scherza in politica, perché ha la democrazia nel suo DNA e quando sa esprimersi, non fa disastri, ma sa stabilire i limiti tra politica e società: questa è un'eredità preziosa di fronte alle sfide del futuro. Il  radicamento nella concretezza che rende l'ispirazione cristiana singolarmente attrezzata a fronteggiare situazioni, qualunque ne sia il colore e l’entità,  non dovrà trovare posto la stanchezza, l'emozione pura e semplice, l’effimero, la privatizzazione come rifugio estremo nel particolare, perché i valori del credente sono la base della odierna società italiana.

Gilberto Minghetti

 




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