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27/04/2019
Tra Lega e 5 Stelle ci si mette la “questione morale”
E’ vero: tra Lega e 5 Stelle si litiga su tutto o quasi. Ma questa volta è diverso.

E’ vero: tra Lega e 5 Stelle si litiga su tutto o quasi. Ma questa volta è diverso. Mentre sui temi contenuti nel “contratto di governo”o in altri, meno previsti, si può trovare sempre un compromesso - tanto è vero che era stata codificata una procedura per arrivarci -, sugli effetti devastanti del giustizialismo no, perché interviene una “questione morale” che non ammette transazioni. O di qua o di là. O si vince o si perde la faccia che, nella politica-immagine è tutto o quasi.
E, poi, la questione morale è micidiale. Per parlare di storia, il senatore e filosofo comunista Mario Tronti la ritiene, oggi, propedeutica a quella “via giudiziaria al socialismo che fu avviata da Berlinguer”. L’evocazione della questione morale – ha scritto di recente – ha trasmesso al ceto dirigente post-berlingueriano una riduzione a rivendicazione etica, del pensare e dell’agire politico, che ha fatto perdere, anche per questa via, una presa diretta sulla realtà”. Per la cronaca, peraltro, la classe dirigente della Prima Repubblica venne spazzata via proprio perché incapace di svincolarsi dalla “camicia di Nesso” del discredito morale.
Salvini, che è un animale politico, ha capito subito dove si andava a parare. L’immediata presa di posizione dell’altro vice premier nel richiedere le dimissioni di Siri, senza un passaggio politico, insieme al ritiro delle deleghe, li ritiene come un “colpo sotto la cintura”, tanto micidiale, quando inibente di una difesa convincente o di una risposta forte, cioè l’apertura della crisi, perché sarebbe difficile da parte leghista spiegare all’elettorato che si cancella un governo e si va ad elezioni perché un sottosegretario indagato non si dimette.
Da animale politico, come detto, il leader della Lega ha reagito d’istinto: difesa di Siri e risposta sulla prima cosa che gli è capitata a tiro. Questa che può essere ritenuta una capacità utile nel ring della politica di immagine e degli slogan, nei passaggi difficili, dove bisogna elaborare una linea oltre l’immediatezza, può far agire troppo subitaneamente, quindi, fuori del giusto tempo. La reazione di Salvini che ha bloccato le parti più consistenti dei provvedimenti su Roma, a prescindere dal merito, ha, in eccesso, il sapore della rappresaglia e risulta poco efficace.
Salvini non può tenere a lungo una posizione difficile sulla quale gioca con spregiudicatezza Di Maio. La stessa polemica produce dei rimbalzi sui media non favorevoli alla Lega. Tanto è vero che il vice premier ha comunicato di essersi imposto una “fase zen”, cioè passiva, di meditazione. Nella misura in cui, però, sarà costretto a cedere su Siri, ne conseguirà la necessità politica di reagire su più versanti, di aprire, cioè, più fronti. Forse meditando gli verrà in mente che “la vendetta è un piatto che si serve freddo”, che non era solo il titolo di un film western del 1971 a lui congeniale, ma anche, a volte, un modo di regolare i conti politici nella Prima Repubblica.
E’ prevedibile, di conseguenza, che il terreno sul quale si trova il sentiero del governo diventi  un terreno minato. Un nuovo focolaio di divisioni, alimentato dalla necessità di “risposta” della Lega al blitz dei 5 Stelle sul sottosegretario indagato.
Così un avviso di garanzia entra, ancora una volta, nelle cronache della politica e, come in tante altre occasioni, produce una prima di altre onde, come quando si lancia un sasso nell’acqua. Quello che la dottrina giuridica definisce una “ garanzia per l’indagato”, riguarda una indagine, però, che spazia tra Roma e Palermo, dai contorni indefiniti e per ciò stesso ampliabili a dismisura. E’ un terreno scivoloso sul quale confluiscono varie notizie collegate – Giorgetti e l’assunzione del figlio di Arata, ad esempio - che producono altri echi sismici. Non importa se ci sarà un processo, se interverranno a suo tempo assoluzioni o condanne, la spinta è partita e il macigno rotola sul piano inclinato. A prescindere dal “ronzio” di garantisti e giustizialisti, prevale il boato della frana, fino a quando non avrà trascinato a valle tutto ciò che troverà sulla sua strada.
Le imminenti elezioni europee diventano, anche in conseguenza di questo scenario, ancora più decisive. Il Parlamento europeo formato, soprattutto, da famiglie politiche importanti, come quella del Ppe, è, in quanto tale, un riferimento chiarificatore. La politica italiana sembra avvolgersi sempre negli stessi problemi. Si proietta continuamente uno stesso film nel quale la trama e le scene finali sono scritte e sceneggiate dalla stessa mano. Non se ne può più del tempo dei veleni. Non si parla d’altro in questa ennesima campagna elettorale “deviata”. C’è, invece, bisogno di più Europa politica e di più Parlamento europeo, di valori da tutelare e del lavoro da difendere come, con tenacia, i cattolici impegnati nel sociale di Costalli e Cesana, autori del manifesto “Si all’Europa, per farla”,  continuano a ripetere in tutta Italia.

Pietro Giubilo
 




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