Due superstizioni, almeno in parte l'una nata in reazione all'altra, mettono a rischio con e nel loro diffondersi "l’Europa vera, l'Europa cui tutti noi apparteniamo" (1): l'illusorio europeismo tecno-burocratico (relativista, economicista e politicamente corretto) e i nazionalismi di cartapesta dei populisti. Per uscire dal dominio delle superstizioni bisogna ridare protagonismo alla ragione (non illuministicamente ridotta) e al coraggio (non banalizzato a vitalistica reattività), occorre insomma dire con realismo "Sì all'Europa, per farla", come chiedono Carlo Costalli e Giancarlo Cesana nel loro appello proprio così significativamente titolato. Il documento, venerdì scorso, ha avuto la sua prima presentazione pubblica a Milano. In quell’occasione, con i due promotori, ne hanno discusso: Massimiliano Salini (Deputato al Parlamento Europeo – Ppe), Stefano Parisi (Presidente di “Energie per l’Italia”) e Antonio Tajani (Presidente dell’Europarlamento).
Proprio l’incontro milanese ha confermato come la sfida che si ha di fronte in vista dell’imminente voto europeo, senza ignorare il disagio dei cittadini rispetto a un Unione Europea sempre più lontana dalla visione comunitaria e politica dei suoi Padri fondatori cattolico-popolari, sia quella di compiere l’opzione possibile per ripartire nella costruzione di un destino comune e comunitario per “la nostra patria Europa” (2). La strada, ha indicato il presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, è quella del sostegno alle forze del popolarismo europeo: “Dobbiamo ricostruirne (dell’Europa, ndr) l’identità, recuperando le radici cristiane che l’hanno resa possibile. Oggi il Ppe non rappresenta il massimo, ma non c’è niente di più conservatore che attendere la perfezione. E’ tra alternative imperfette che bisogna scegliere”. Un “caso serio” che nel populismo, pur riconoscendo la bontà del sentimento popolare che riesce a intercettare, ha ben rilevato invece Giancarlo Cesana, “non ha una vera alternativa, poiché spesso incompetente e inconcludente”.
Non sono mancati tentativi di richiamare a un rinnovato impegno europeista, insieme a Stefano Parisi potremmo citare quelli Emmanuel Macron (con il suo manifesto per il “Rinascimento Europeo”) e di Carlo Calenda (l’iniziativa “Siamo Europei”), ma troppo spesso questi sono sterilmente retorici nella difesa dello status quo e in ultimo tesi a riproporre quella che è, come giustamente sottolineano Costalli e Cesana, l’errore che sta all’origine dello smarrimento odierno: l’omologazione di tutte gli europeismi (3), in un’indifferenza che finisce per giustificare la riaffermazione anche isterica delle specificità.
Nella concretezza politica, che non è opposta a un’autentica militanza per l’ideale ma ne è conseguenza, non si può non concordare con quanto Massimiliano Salini e Antonio Tajani hanno cercato di proporre a Milano, proprio partendo dalle stimolanti intuizioni dell’Appello, cioè la costruzione con tutti quanti non si rinchiudano nelle superstizioni che tratteggiamo in apertura, anche quindi con conservatori e sovranisti aperti all’orizzonte dell’Europa quale “comunità di destino” protagonista sulla scena globale, una risposta alle grandi sfide che il Continente ha di fronte a sé. Guardando come a un precedente positivo e replicabile alla maggioranza che si è costruita proprio per l’elezione di Tajani alla guida dell’Europarlamento.
In tutto ciò i cattolici italiani, sempre che vogliano, possono giocare un ruolo decisivo. Sempre che lo vogliano.
(1) Non a caso, ravvisandone l’armonia con l’Appello all’oggetto di quest’articolo, usiamo un'espressione della "Dichiarazione di Parigi" sottoscritta da Rémi Brague, Robert Spaemann, Roger Scruton e altri intellettuali
(2) Alcide De Gasperi. Discorso pronunciato alla Conferenza Parlamentare Europea il 21 aprile 1954
(3) “Liberali e popolari che hanno ceduto alla cultura socialdemocratica su temi fondamentali come il debito, la famiglia, i diritti. E questo ha provocato i populismi che però non sono la nostra storia, la nostra tradizione che invece affonda le sue radici nell’idea che serva più comunità e meno Stato” (Stefano Parisi)
Marco Margrita