Questa iniziativa formativa promossa dall’Efal, che mi onoro di presiedere, dall’EZA ben rappresentato dal co-presidente Piergiorgio Sciacqua, dal sindacato autonomo albanese SAUATT presieduto da Bilbil Kasmi e che vede particolarmente impegnato il Movimento Cristiano Lavoratori, ha voluto porre in rilievo l’importanza fondamentale del dialogo sociale in Europa, indispensabile proprio per le difficoltà che stiamo attraversando. Le organizzazioni dei lavoratori hanno una particolare responsabilità poiché il tema del lavoro costituisce, in tutta Europa, il tema più delicato per la necessità di una tutela di fronte all’inasprirsi delle condizioni del mercato e di una economia che tende a privilegiare il peso della finanza rispetto all’economia reale.
E’ stato altresì sottolineato il ruolo della comunicazione al fine della necessaria partecipazione di cittadini e lavoratori alla vicende sociali e politiche.
La connessione tra comunicazione e partecipazione è ormai un elemento essenziale delle nostre democrazie, in quanto, come ha anticipatamente indicato Papa Francesco nel Messaggio per la 53° giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebrerà il prossimo 2 giugno: “In virtù del nostro essere creati ad immagine e somiglianza di Dio, che è comunione e comunicazione-di-sé, noi portiamo sempre nel cuore la nostalgia di vivere in comunione, di appartenere a una comunità”.
Questa affermazione mi agevola nell’intento di contribuire a questa tavola rotonda che conclude il lavoro delle nostre 5 giornate. Infatti la questione storica, istituzionale e politica che oggi preme sul futuro dei Balcani occidentali è quella dell’integrazione europea, dei suoi problemi e delle sue prospettive.
La domanda che, complessivamente, l’Europa, oggi, si pone e che, indirettamente, riguarda anche i Balcani, è se essa debba continuare a considerarsi una comunità di popoli e se questa condizione debba essere rafforzata, oppure, se stiamo assistendo ad un declino di quello che è stato definito il sogno europeo.
Che questo rapporto tra i Balcani e l’Europa abbia un forte carattere storico è di tutta evidenza. Queste terre fanno parte da sempre del destino dell’Europa. Se volgiamo indietro lo sguardo alla storia di Roma e al formarsi della grande separazione, prima politica e poi religiosa all’interno della stessa cristianità tra oriente ed occidente; se ricordiamo i grandi conflitti tra Islam e Cattolicesimo; se andiamo con la memoria alle cause più immediate dello scoppio del lungo, tragico, conflitto europeo del XX secolo dal 1915 al 1945; se, infine , ricordiamo gli anni più recenti della ferita europea tra est e ovest, dobbiamo affermare che un percorso che avvicini sempre più le nazioni balcaniche all’Europa rappresenta l’unica strada per costruire un futuro che superi definitivamente le difficili eredità del passato. Da esso proviene la lacerazione che va sanata, attraverso il compimento di una svolta storica che darebbe stabilità, pace e sviluppo a terre e popolazioni a cui, l’Europa nel suo insieme, deve offrire un diverso destino.
L’ultimo, speriamo, grande dramma di quelle terre è stato il conflitto in Bosnia Erzegovina tra il ’92 e il ’95, proseguito nel Kosovo tra il ’96 e il ’99. Con tutta sincerità, dobbiamo ammettere che l’Europa dei 27, come entità unitaria, non è stata nelle condizioni di intervenire con adeguate iniziative diplomatiche per limitare tali guerre. Ogni Paese ha agito per proprio conto. Sui conflitti si sono esercitati interessi di carattere mondiale che hanno soffiato sul fuoco di una tensione, religiosa ed interetnica. Alimentata anche dai traffici di droga dall’Oriente all’Occidente. Ciò è avvenuto anche perché, sotto il profilo politico e della difesa, l’Europa è fragile avendo abbandonato quella visione iniziale che, negli anni ’50, aveva intravisto la costruzione di una politica estera e di difesa comune.
Va riconosciuto che rispetto a quelle epoche storiche ed ai recenti conflitti, si sono compiuti importanti passi in avanti.
Dopo la fine della guerra in Bosnia Erzegovina, eredità del dopo Jugoslavia e nel Kosovo, nei Balcani, infatti, si è andata sviluppando una prospettiva nuova. Ci si è resi conto – a partire dai Paesi dell’Europa occidentale - che l’elemento principale per costruire una possibilità diversa era rappresentato dalla concreta realizzazione di elementi di coesistenza e di miglioramento delle condizioni di vita. Ciò poteva avvenire attraverso uno schema di cooperazione comune tra i paesi balcanici e l’Unione europea.
In primo luogo occorreva introdurre la consapevolezza della funzione essenziale dei valori di pace e di democrazia, in un’area da sempre teatro di conflitti religiosi e, soprattutto nel secondo dopoguerra, di influenze ideologiche, oltre che, naturalmente, di pressioni geopolitiche.
Nel 1999 si è approvato il Patto di Stabilità per l’Europa sud orientale, poi diventato, nel 2006, Consiglio di Cooperazione Regionale, con il quale oltre 40 Paesi stabilivano l’impegno politico di sostenere i Paesi dell’Europa Sud Orientale nell’impegno per sviluppare la pace, la democrazia e il rispetto dei diritti umani e della prosperità economica. La questione aveva un carattere prioritario e, nel successivo passaggio, si realizzava una necessaria maggiore responsabilizzazione dei paesi balcanici.
Con il Consiglio di Cooperazione venivano messe sul tavolo, più propriamente, le questioni dello sviluppo economico e sociale, delle infrastrutture, della giustizia e degli affari interni, della cooperazione per la sicurezza, del rafforzamento del capitale umano e, non ultimo per importanza, sul piano politico, della cooperazione parlamentare.
Parallelamente si è dato vita ad un processo di stabilizzazione e di associazione che ha visto tutti i paesi dell’area aderirvi tra il 2001 e il 2016.
Questo percorso si innesta sulla questione dell’ulteriore allargamento dell’Unione europea che, tuttavia, ha, come parallelo riferimento, la condizione economica, sociale e politica dei paesi che intenderebbero aderirvi, considerato anche sotto il profilo del rispetto dei diritti e della qualità della democrazia in sede istituzionale e politica.
Ad oggi la situazione delle adesioni dei paesi balcanici alla Ue appare, sostanzialmente, ferma. Nel 2019 si procederà ai negoziati per l’Albania e la ex repubblica di Macedonia; per quanto riguarda Montenegro e Serbia i negoziati sono stati avviati da lungo tempo, rispettivamente nel 2010 e 2012, e sono in stallo; mentre la Bosnia Erzegovina e il Kosovo non possono considerarsi ancora candidati all’adesione. Ha pesato sull’attuale Commissione europea una condizione di difficoltà, espressa, a suo tempo, dalle dichiarazioni di Junker del 2014, secondo le quali nella legislatura non si sarebbero verificate nuove adesioni. Probabilmente il Presidente della Commissione, avendo presente le problematiche che hanno condizionato l’attuale assetto della Ue – non ultima la questione della Brexit - ha ritenuto che non era possibile aggiungere elementi ulteriori, soprattutto per la complessità nella quale si trovano i paesi balcanici con riferimento alle questioni immigratorie e della sicurezza.
Tuttavia, anche il quadro attuale, non deve indurre al pessimismo in quanto il processo di stabilizzazione e di associazione va avanti e ad esso hanno aderito tutti e sei paesi dell’area. Esso prevede, complessivamente, una cooperazione economica e la creazione di aree di libero scambio e una verifica del rispetto dei diritti umani e dei principi democratici e la lotta alla criminalità – diffusa nell’area o permeabile dall’esterno - con verifiche a livello ministeriali. Si è dato vita anche ad un organismo proprio che promuove la cooperazione tra i Parlamenti locali e il Parlamento europeo. Queste iniziative hanno portato risultati importanti nel campo dell’assistenza finanziaria con una destinazione di risorse tra il 2014 e il 2010 di 11 miliardi di euro; misure commerciali con liberalizzazioni degli scambi, senza dazi per quanto attiene l’ambito dei prodotti originali. Di particolare valore il programma di intervento per la realizzazione di reti infrastrutturali finalizzate alla integrazione con i paesi europei.
Su quest’ultimo aspetto desidererei richiamare l’attenzione poiché ad esso ritengo che debba essere data una importanza eccezionale, direi decisiva.
Assistiamo, infatti, da alcuni anni ad una politica della Cina nei Balcani con investimenti miliardari. Questa strategia ha avuto il suo momento di sintesi a dicembre del 2014 con l’incontro tra il premier cinese e sedici leader nazionali provenienti dalla regione. Già in quell’anno l’interscambio commerciale è stato di oltre 50 miliardi di dollari. Ma l’attenzione di Pechino è, appunto, rivolta in particolare a energia e infrastrutture. L’acquisizione del porto del Pireo e gli investimenti rivolti a ridurre il tempo di percorrenza delle merci verso Belgrado in particolare mostrano una attenzione geopolitica non rivolta solo al mercato.
Ma c’’è un aspetto ulteriore che vorrei porre in rilievo. La “nuova via della seta” di Pechino è oggi una sollecitazione verso quella globalizzazione che tende – anche attraverso finanza, commerci e connessioni informatiche – a ridurre identità e storia e le stesse differenze culturali e spirituali che, invece, costituiscono una ricchezza e una peculiarità di ciascun popolo. Vorrei ricordare positivamente l’esempio che Papa Francesco richiama, con riferimento alla società globale, tra la sfera e il poliedro, ritenendo quest’ultimo superiore in quanto mantiene le originalità.
E’ evidente allora che, pur nelle more di una stasi nelle trattative per l’integrazione di questi Paesi con l’Unione, si deve ampliare l’impegno dell’Europa a costruire una rete che integri, già sul piano delle connessioni, l’Europa balcanica. Non mi sembra di esagerare dicendo che sin dai tempi dell’Impero romano i collegamenti fisici – le strade - sono stati il mezzo per la costruzione di una civiltà comune, segnando anche la possibilità di un destino comune oltre che di trasmettere interessi comuni.
Non mi sentirei soddisfatto del mio intervento se mi fermassi a questo punto.
C’è un aspetto che, come rappresentante di una organizzazione collegata con la pastorale sociale della Chiesa, mi interessa porre in rilievo e riguarda proprio la Nazione che ci ospita.
Ritengo che, per lo sviluppo democratico e il progresso verso l’integrazione europea, la missione della Chiesa cattolica, come delle altre confessioni religiose, sia importante. Esso non è limitato alla sola, dimensione cultuale, ma si estende ai problemi esistenziali nel concreto delle relazioni comunitarie e nell’intento di dare risposte idonee ai problemi della vita sociale. Ricordo il Simposio internazionale svoltosi nel 1999 proprio qui a Tirana sul tema “Il cristianesimo nei secoli”.
L’Albania è esempio di come lo sviluppo della democrazia e l’affermazione della libertà religiosa siano due percorsi che corrono paralleli. L’Albania ha oggi una disciplina della libertà religiosa – che è un baluardo contro tutti i totalitarismi – assolutamente nuova e discontinua rispetto al passato. Nello stesso tempo vi è un apprezzabile avvicinamento all’Europa che va sottolineata. Oltre agli elementi complessivi precedentemente citati desidero ricordare i primi decisivi passi compiuti da questo Paese in direzione dell’Europa e della democrazia. Infatti, dopo la fine del regime comunista a febbraio del 1991, nell’anno successivo venne siglato un accordo con la Comunità Economica Europea per scambi e cooperazione economica e commerciale. Nello stesso 1991, l’Albania aderì a quella importante istituzione - la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE – nel 1995 diventata Organizzazione) - frutto della iniziativa italiana, del Presidente Moro in particolare, nell’incontro di Helsinki del 1973 che avviò il dialogo tra est e ovest. Nel febbraio del 1992 Tirana ratificò la Convenzione Internazionale dei diritti dell’Infanzia e nell’ottobre dell’anno precedente aveva sottoscritto il Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici, sancito dalle organizzazioni internazionali nel 1966.
Questi passi importanti hanno preparato l’approvazione, nel 1999, della Costituzione albanese come atto finale di un percorso democratico che rendono questo Paese elemento di certezza per la crescita complessiva dell’Europa democratica. Il mio augurio è che questo patrimonio si consolidi e si rafforzi anche rispetto alle tensioni che si sono svolte nelle settimane scorse.
Infatti l’integrazione europea, oltre che tutelare gli interessi e lo sviluppo economico del Continente nel suo complesso, deve essere apportatrice della difesa e dell’implementazione della sua condizione sociale, in una visione nella quale la convivenza tra i popoli europei si coniuga con il cammino verso l’uguaglianza della loro condizione sociale e con la salvaguardia della identità e del contributo di ogni singola nazione.
La storia anche drammatica di queste terre ci ha insegnato che il cammino dei popoli è difficile, pieno di contraddizioni, attraversato da ombre e luci. Confidiamo che, nel disegno provvidenziale, prevalgano le ragioni della pace, dello sviluppo e della democrazia.
Sergio Silvani
Presidente dell’Ente Formazione Addestramento Lavoratori