La partecipazione al voto per la scelta del segretario del Pd, enfatizzata, forse, oltremisura, costituisce, comunque, una buona notizia, poiché è una dimostrazione di impegno personale per la politica, di cui senz’altro c’è bisogno.
Meno chiare sono le ragioni fondamentali sulle quali agirà il nuovo segretario, essendo difficile definire l’ubi consistam politico di Zingaretti.
Nel tratteggiarne il carattere, Stefano Cappellini su Repubblica, dieci giorni prima delle primarie ne ricordava l’epiteto con il quale l’irriverente politica romana lo definiva - “er saponetta” - e Tommaso Labate sul Corsera, all’indomani del voto trionfale, riandava alla “vecchia definizione dell’ex direttore dell’Unità Peppino Calderola”: “si coricava dalemiano per poi svegliarsi veltroniano, salvo la sera dopo, fare il contrario”.
Più nobilmente, questi aspetti del carattere del nuovo segretario afferiscono alla sua capacità di mediare che lo aiuterà, contribuendo ad evitare quella condizione di lotta interna della quale si è sempre lamentato Renzi; ma non sarà certo l’assicurazione dell’ex premier a garantirlo, visti i precedenti (“Enrico stai sereno”), ma l’ormai scarso peso politico interno di quest’ultimo.
La capacità di mediazione servirà a recuperare le varie anime, collaterali e fuoruscite, anche a costo di mettere, ancora una volta, a latere il simbolo del partito; ma questo richiamo e questa condizione non arriveranno a garantire alla sinistra la maggioranza, oggi necessaria, con il sistema proporzionale, per il governo nazionale. Anche per tornare a vincere nelle Regioni. Segnalano - per adesso a sinistra - solo un inizio di ritorno di opinione verso posizioni moderate e ragionevoli, dopo la stagione strillata del “rottamatore”.
Ed allora, il percorso vincente di Zingaretti si basa su una “profezia” che lui ha indicato nell’ultima intervista al Corsera: “siamo alla vigilia di un generale e rapido sommovimento della geografia politica italiana”, poiché, precisa, i 5 Stelle sono destinati a “disarticolarsi” e “la polarizzazione sarà tra un campo democratico e la risorgente destra illiberale, xenofoba e razzista”.
A ben vedere, più che una profezia, difficile da avverarsi, si tratta di uno schema vecchio, una sorta di richiamo ancestrale nei riguardi del “pericolo” – più o meno “fascista” - per la democrazia, ritenendo che ciò possa esercitare un appello nei riguardi di quella parte di elettorato grillino, già di sinistra, ed ora a disagio nel governo con la Lega. Insieme a tutto ciò che riguarda diritti, ambientalismo e nuovi valori, questo nuovo frontismo verrà messo in campo da Zingaretti, per riprendersi quel “popolo perduto” di cui parla un libro-intervista – recensito ampiamente su Avvenire - di Mario Tronti, intellettuale e senatore con una lunga militanza nel Pci e che, curiosamente, venne definito, con altri che parteciparono ad un incontro di Norcia del 2013, un “marxista ratzingeriano”.
Ma la vera ragione che ha aperto il divario della sinistra con il suo popolo è stata la rinuncia a porre come centrale il problema del lavoro. Invero, il nuovo segretario, fino ad oggi, ha parlato poco di “lavoro”, cioè della questione sociale fondamentale che sarà il vero banco di prova per il futuro del governo e della stesse forze politiche. La riproposizione congiunta, di “buoni sentimenti” e di un fronte “antirazzista”, che emerge dagli impegni di Zingaretti, sarà in grado di compiere il “miracolo”, di riportare il Pd - o quello che sarà - alla maggioranza e al governo? Difficile.
Ma il “futuro” di Zingaretti presenta anche un’altra questione che la vittoria a mani basse ha messo, per ora, in ombra: il suo ruolo di Governatore della Regione Lazio. E’ una scelta - speciosamente motivata - che potrebbe segnare un limite per la nuova segreteria. L’impresa del neosegretario è, per certi aspetti, titanica. Sarebbe stato inimmaginabile, non dico per un Togliatti o un Berlinguer, ai tempi del PCI, ma anche per un Veltroni, per un Bersani, o per lo stesso Renzi fare il sindaco o il presidente di regione e, nello stesso tempo, guidare la politica nazionale del Pd. Senza contare che questi ultimi tre avevano avuto, in precedenza, la loro esperienza amministrativa confortata da ampie maggioranze. Zingaretti, notoriamente, può contare su maggioranze variabili in Consiglio regionale, solo per la compiacenza dei 5 stelle, dei giochi interni a Forza Italia o per la disponibilità di qualche transfuga della Lega.
La storia della sinistra si è sempre accompagnata ad una idea forte: dall’antifascismo combattente di Togliatti, alla questione morale di Berlinguer, dalla sinistra europea di D’Alema, alla fusione con il cattolicesimo progressista di Rutelli e Veltroni, fino al tentato lib-lab di Renzi. Resta, per ora, un mistero, oltre l’accorato appello alla sopravvivenza, l’idea di fondo - se c’è - del neo segretario, chiamato a riscattare la sinistra.
Pietro Giubilo
Vice Presidente della Fondazione Italiana Europa Popolare