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19/02/2019
Italia senza politica estera
La più evidente manchevolezza dimostrata in politica estera dall’attuale governo riguarda il rapporto con l’Europa

In una raccolta di scritti inediti, pubblicata nel 2014 ( “Dall’Eden alla Terza Guerra Mondiale”), Amintore Fanfani ricordava l’apporto dell’Italia nell’evitare che degenerasse  la vicenda di Cuba che, nell’ottobre del 1962,  aveva portato il mondo sull’orlo di un grave conflitto missilistico tra Mosca e Washington. All’Italia , ricorda, pervennero  riconoscimenti sia da pare di Kennedy che di Krusciov . Si trattò di uno dei tanti episodi nei quali si distinse una politica estera italiana volta ad affermare una logica di inserimento positivo nei problemi e nelle crisi internazionali che, altrimenti, si sarebbero sviluppate secondo logiche di “potenza” e non di carattere diplomatico.  Esemplare, in questa direzione, fu anche l’azione di politica estera di Aldo Moro che, nei primi anni ’70, svolse  quella Ostpolitik che ebbe un significativo risultato nella Conferenza di Helsinki per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa che pose le basi del dialogo est-ovest. Non mancarono in quegli anni, per la capacità di iniziativa di Roma, frizioni con i paesi alleati occidentali: per tutte vale ricordare l’atteggiamento scettico e preoccupato del segretario di Stato Kissinger. Come non ricordare lo spirito costruttivo, favorito dall’Italia, del vertice NATO-Russia del 2002 a Pratica di Mare, annullato anni dopo dalle vicende ucraine.   Del resto, assai spesso , per tutelare un interesse nazionale, sia in sede diplomatica che economica , l’Italia aveva sfidato il potere di intervento di consolidate realtà internazionali , come negli anni ’50 , per iniziativa di Enrico Mattei che, sempre, era stato coperto dall’azione del governo, - esemplare sul piano politico il dissociarsi dell’Italia dall’impresa anglofrancese di Suez -  rispetto alle lamentele degli stati interessati a mantenere lo status quo del sistema di approvvigionamento delle risorse energetiche sul mercato mondiale. Come non ricordare, infine, l’atteggiamento di Craxi nella vicenda Sigonella, ove l’Italia giunse alla soluzione del problema, con la necessità di tutelare la mediazione egiziana, rispetto alla quale gli USA avrebbero preferito intervenire con la forza.

Questa lunga premessa,  per comprendere come la storia dell’Italia del secondo dopoguerra - pensiamo alla costruzione europea , ma si può risalire fino a tutta la fase risorgimentale -  sia stata sostenuta dalla capacità di creare relazioni internazionali forti, nelle quali,  tuttavia,  il rispetto della collocazione  non impediva la eventualità  di inserire una propria visione ed una possibilità autonoma di intervento, non disgiunta da  una forte tutela degli interessi politici, economici e commerciali del Paese.

Cosa resta, oggi, di questa storia e di questa capacità? Purtroppo ben poco. Soprattutto in questa ultima fase, assistiamo ad un andamento schizofrenico della nostra politica a livello europeo e internazionale.

Cominciamo dai rapporti atlantici. Di fronte alle difficoltà di un dialogo costruttivo con i paesi europei più influenti, l’Italia è parsa orientata  – forse per l’ appeal del suo premier con Trump -  verso  un rapporto forte con Washington, quasi ipotizzando la possibilità di trovare oltre Atlantico comprensione per quelle politiche “sovraniste” del Paese che, invece,  hanno reso diffidenti le istituzioni europee. Puerile illusione,  poiché non vi è dubbio che, stante la  logica bilaterale  dell’attuale presidente americano, una posizione italiana schiacciata su Washington  acuirebbe il nostro isolamento in Europa, mentre si trarrebbero scarsi  vantaggi,  in quanto, sostanzialmente, l’ “american first” di Trump non concede spazi davvero convenienti a  rapporti bilaterali. Oltretutto, anche questa possibilità è entrata in una evidente contraddizione, in quanto non schierarsi nello scontro tra la posizione dittatoriale di  Maduro  e quella di Guaidò, imposto dai 5 stelle ma inopportunamente accettato dalla Lega,  espone l’Italia su di un crinale  di disimpegno, gradito al dittatore venezuelano ma,  giustamente, irritante per gli USA.  

Comunque,  la più evidente manchevolezza dimostrata in politica estera dall’attuale governo riguarda il rapporto con l’Europa. Il tentativo di collegarsi con i cosiddetti paesi di Visegrad, interessati peraltro a difendere soprattutto un loro spazio geopolitico,  si è dimostrato non approdare a nulla di concreto per l’Italia. La questione principale sulla quale misurare la nostra capacità nei rapporti interstatuali  riguarda il ruolo del nostro Paese rispetto all’  asse politico  tra Parigi e Berlino  che, pur vivendo una fase sostanzialmente residuale, rappresenta,  ancora, il polo sul quale gravita una stanca politica europea. Parigi, in sofferenza per una inadeguata guida presidenziale, ha richiesto ed ottenuto da una svogliata Germania, di confermare questo rapporto che, ricordiamo, nacque all’indomani del fallimento – per responsabilità francese -  del vero disegno politico europeo, quella CED che  avrebbe creato le condizioni per una reale politica estera e di difesa comuni.  Si tratta di un asse che oggi contribuisce solo a servire l’ombra di quella che è stata l’idea di fondo dell’ambiziosa politica internazionale della Francia, cioè quella “grandeur” che l’autorizza a procedere a tutela dei suoi interessi,  tentando di  sottrarsi al lento ma inesorabile declino del Paese.  L’intervento in Libia di Sarkozy, a suo tempo, ma anche le iniziative di Macron ne sono  esempi evidenti  , così come le logiche, sostanzialmente nazionaliste,  con le quali Parigi si fa spazio negli interessi economici transnazionali. Questo “asse” non aiuta a  far avanzare l’unità politica di tutta l’Europa,  sola via da percorrere per dare un futuro al disegno europeista. Occorrerebbe , in sede politica, convincere Berlino a essere protagonista di un rilancio complessivo politico dell’Europa. Parafrasando Thomas Mann è necessaria  una Germania europea e non un’Europa franco-tedesca. Questo potrebbe essere  lo spazio di una iniziativa italiana.    Di fronte a questa possibile prospettiva, invece,  si sono mostrati inadeguati tutti gli ultimi governi  sia chi si è schierato in polemica con  Berlino, sia quelli in conflitto con Parigi, sia chi ha tentato di aggiungersi ( Renzi a  Ventotene nel 2016) in un rapporto tanto consolidato, quanto confinato in una logica  chiusa. Questa condizione che l’Italia subisce in assenza di una strategia tesa verso un assetto diverso del percorso europeo,  non autorizza di certo la cervellotica  iniziativa di Di  Maio di creare un ponte con le opposizioni dei gilet gialli, iniziativa che mostra un carattere sedizioso, inaccettabile nel consesso  europeo.  Preoccupa, a questo punto, l’inasprimento dei rapporti con l’Europa, giunto alle  intollerabili  offese nei riguardi del premier Conte, espresse da  Verhofstadt, responsabile del gruppo liberale, perché mostra una sgradevole scarsa considerazione dell’Italia da parte di una posizione politica che intenderebbe far parte della maggioranza che uscirà dalle elezioni di maggio.   

L’Italia è il Paese che più sta soffrendo per la declinante prospettiva politica dell’Europa.   Come abbiamo rilevato all’inizio,  la storia ci ha insegnato che l’Italia si sviluppa  nella misura in cui riesce a ricavare un suo spazio nei rapporti internazionali che comporterebbe un disegno politico, strategie e scelte di campo .

Oggi non esprimiamo nulla di tutto ciò. E’ privo di efficacia  cavalcare i sovranismi, che poi finiscono per essere  utili solo a loro stessi; non siamo in grado di  realizzare una strategia che significa tessere relazioni con sviluppi a medio termine, né riusciamo ad effettuare scelte che non siano  velleitarie e, al contempo, contraddittorie. I 5 stelle mostrano di essere inadatti alla costruzione di rapporti internazionali per inadeguatezza della loro classe dirigente. La Lega soffre per una esperienza che si è sviluppata positivamente solo in ambito regionale, ma è scarsa o inesistente a livello internazionale.

Da molti invocata, giustamente lontana dal troppo audace protagonismo  di Napolitano, l’iniziativa dell’attuale Capo dello Stato tende a ricomporre una condizione lacerata, ma non può sostituire gli errori di politica estera del governo e il percorso eversivo avviato. Le elezioni europee del prossimo maggio sono chiamate a chiarire  il futuro dell’Italia in Europa, fuori da velleitarismi e sconfitte.

Pietro Giubilo

Vice  Presidente  Fondazione Italiana Europa Popolare 

 

 

 

 

 

 

 

 




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