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18/02/2019
Discontinuità invocata ed esibita
Il Paese allo stato dell’arte avrebbe bisogno di una legge che disciplini lo spoil system.

Nel linguaggio della politica, ma non solo, si sta imponendo il termine “discontinuità”. Un autentico tormentone, dopo gli altrettanto fortunati “cambiamento” e “rottamazione”. Ma in piena continuità, procedendo all’indietro nel tempo, con  “l’antipolitica” che ha segnato la nostra vita pubblica dal 1994 ad oggi. Cioè dalla stagione del primo Berlusconi sino alla meteora renziana, per approdare all’affermazione del nazionalismo salviniano e del populismo grillino.

Del resto, chi ritiene di impersonare la discontinuità per mandato elettorale, come è stato nel caso di Berlusconi, Renzi e la coppia Salvini Di Maio, è evidente che coltivi l’ambizione di rimodellare il contesto nel quale si ritrova a esercitare il proprio potere decisionale. E se questo perimetro è lo Stato, è altrettanto chiaro che l’ambizione può facilmente debordare nella sindrome dell’uomo solo al comando e può far perdere la consapevolezza dei limiti del proprio mandato. A dire il vero è proprio su questo aspetto che, più di altri, si misura la vocazione democratica di un leader politico. E perciò lasciamo ai lettori il giudizio sull’operato dei quattro leader. Un giudizio politico che non può prescindere dalle loro scelte.

Oggi, intanto, è tutto un fiorire di discontinuità invocata ed esibita. E perfino esercitata come strumento di una lotta politica sempre più muscolare. La vediamo così applicata ai settori più disparati della vita pubblica. E’ stata infatti evocata dai due vicepremier italiani per motivare la necessità dell’azzeramento dei vertici di Bankitalia, accusati di non aver vigilato in occasione delle crisi bancarie che hanno impoverito moltissimi risparmiatori. La discontinuità è stata un caposaldo del rinnovo dei vertici prima, e delle direzioni giornalistiche poi, della Rai. Il colosso dell’informazione pubblica, infatti, è stato oggetto di un poderoso spoil system che ha coinvolto tutti gli organi della Rai, ma anche le intere strutture informative per allinearle nei contenuti e negli indirizzi al nuovo pensiero forte manifestato dalle urne del 4 marzo. Per non parlare della Consob, organismo di vigilanza delle Borse, che per primo è stato messo sotto pressione da parte dei Cinquestelle e che ha registrato le dimissioni immediate e spontanee di Mario Nava. Dopo molti mesi di vacatio, alla guida della Consob è stato destinato per volontà governativa Paolo Savona, uomo simbolo del nuovo corso sovranista e anti europeo.  Per non parlare delle “attenzioni”  riservate dal governo gialloverde ai vertici dell’Inps, da sempre considerati non sufficientemente allineati rispetto alle due riforme principe del governo: il reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni. Infine potremmo citare anche il caso della presidenza dell’Istat, per la quale è stato evocato il grimaldello della discontinuità. Ricordati i casi più clamorosi, siamo in attesa che si apra un nuovo fronte. A chi toccherà farsi da parte lo sapremo presto. Tutto questo è accaduto nell’arco degli otto mesi che ci dividono dalla nascita del governo Conte.

Di sicuro possiamo dire che la politica è sempre molto abile nell’individuare la foglia di fico con la quale giustificare il desiderio, se non la necessità, di occupare i gangli principali della vita pubblica. Si dice che il limite sia costituito dalla legge, ma come sappiamo, non mancano esempi più o meno recenti, di forzature e di torsioni anche legislative. Una cartina di tornasole sarà proprio il futuro dei vertici di Bankitalia. Organismo di cui si decanta l’indipendenza, ma che sembra destinato, nella prassi, a una sottomissione (per culpa in vigilando) alla volontà del governo. Staremo a vedere.

In linea generale possiamo dire che, senza voler togliere il lavoro ai costituzionalisti e agli amministrativisti che certamente avranno motivo per rimproverarci, il Paese allo stato dell’arte avrebbe bisogno di una legge che disciplini lo spoil system. Possiamo solo immaginare le obiezioni a norma di legge. Probabilmente ci verrebbe detto che è meglio lasciare tutto così com’è. Perché non si sa mai quali pulsioni e torsioni autoritarie possano essere messe in moto da un processo legislativo. Giusto. Ma per fare un paragone forse calzante: è meglio vivere con una legge sul conflitto d’interessi o senza? E’ meglio vivere alla giornata applicando per via traverse lo spoil system, o definirne limiti e prerogative con una legge? In coerenza, ovviamente, con il dettato costituzionale?

Di sicuro così non va. Si costruiscono intere campagne elettorali sul principio del ritiro della politica dall’occupazione  degli spazi pubblici (emblematico il caso della Rai…), ma poi si applica nei fatti una sistematica occupazione. Ecco un caso di ipocrisia pubblica da rimuovere. E usiamo il termine ipocrisia che evoca di fatto una dimensione morale, perché lo ritroviamo spesso nella retorica pubblica dei nuovi governanti. Ipocrisia per ipocrisia… Dalla padella del politicamente corretto stiamo cadendo nella brace dell’ipocritamente scorretto.

Domenico Delle Foglie

 




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