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05/02/2019
La recessione รจ arrivata
Qualsiasi rallentamento delle economie mondiali che si ripercuote sulla nostra industria manifatturiera rende il nostro sistema economico vulnerabile

La recessione tecnica o non tecnica che sia è arrivata. Eravamo stati facili profeti mesi fa su questo blog. Semplice la previsione, visto che il nostro paese è inserito in un modello centro-periferia: quando il centro rallenta è facile pensare che questo accadrà prima o poi anche da noi. Per la precisione: noi entriamo in recessione con uno sfasamento temporale rispetto ai paesi del centro e con un peggioramento dell’occupazione che si manifesta anch’esso sfasato. Le cause naturalmente sono poco legate alla politica economica messa in campo dall’attuale governo giallo-verde. Visto che le radici della recessione hanno natura strutturale e non congiunturale. La nostra insomma è una recessione che dipende dalla struttura produttiva e amministrativa che abbiamo. Vediamone le ragioni. Qualsiasi rallentamento delle economie mondiali che si ripercuote sulla nostra industria manifatturiera rende il nostro sistema economico vulnerabile. Molti ancora pensano che siamo ancora nel novero del sistema produttivo mondiale. Sbagliato! Al pari degli altri paesi avanzati siamo un’economia terziaria visto che la maggior parte degli occupati è impiegata nei servizi. Pertanto il valore aggiunto manifatturiero è solo il 20% del totale ed integrato con quello tedesco al quale forniamo in prevalenza semilavorati e macchinari. Il problema è il restante 80%, formato da imprese non innovative, spesso di piccole dimensioni (quattro addetti in media e contemplando solo quelle manifatturiere nove), spesso con produttività marginale prossima allo zero. Stando così le cose non ci si può che aspettare una debolezza strutturale. Un siffatto sistema produttivo poi si porta seco una domanda di manodopera poco qualificata visto che in assenza di una produzione ’altamente qualificata’ non si ha una domanda di lavoro con elevata formazione.

In questo scenario l’unica industria dei servizi con qualche dinamica è quella delle attività amministrative di supporto alle imprese. Visto che il valore aggiunto dei servizi professionali e scientifici altamente qualificati ristagna e quello dei servizi finanziari non si è mai ripreso dalla grande recessione del 2008. Il commercio all’ingrosso e al dettaglio non va. Come può crescere un’economia in questo modo? Al primo starnuto nel settore che produce ‘beni commerciabili’, l’unico dinamico, viene giù tutto l’edificio produttivo. Cosa bisognerebbe fare? Lo abbiamo scritto più volte. Razionalizzare la spesa pubblica e quella pensionistica in particolare allo scopo di ridurre il peso fiscale sulle imprese ed i lavoratori. Scommettere sull’istruzione e la formazione. Per citare solo alcuni degli interventi. Cosa ha fatto l’attuale governo? A prima vista il contrario. Seguendo un cliché collaudato dai precedenti governi ha puntato tutto sul breve periodo: concentrandosi sull’equità ed accantonando l’efficienza. Reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni sono interventi di cortissimo respiro che aiutano chi è in difficoltà e riparano ai torti della Fornero ma lo fanno mettendo i conti a rischio e aumentando gli squilibri previdenziali tra generazioni. Il nostro sistema pensionistico (contributivo o retributivo che sia), com’è noto, è un sistema ‘paygo’: paga quel che può. Visto che le risorse per pagare le pensioni le prende dalla fiscalità generale o meglio dai contributi previdenziali versati da chi lavora e non dai contributi capitalizzati.

In altre parole quello che il reddito da lavoro disponibile (da cui le pensioni vengono ricavate) è in grado di concedere. Naturalmente questo reddito varia di periodo in periodo, essendo legato alla congiuntura. Aggiungendo al reddito da lavoro quello ottenuto dal capitale abbiamo il PIL che a partire dal 2008 in Italia ha avuto una diminuzione del 10%. Gli shock economici, in questo caso di natura finanziaria, sono una realtà dei fatti con la quale bisogna convivere: nella quale non bisogna perdere di vista lo ‘scambio’ tra l’equità e l’efficienza. Se il Pil si riduce le pensioni vanno ridotte almeno proporzionalmente per salvaguardare una equità generazionale e per garantire una efficienza al sistema produttivo (non riducendole bisogna aumentare la tassazione sui fattori produttivi: lavoro e capitale). Siccome il Pil pro-capite è diminuito di circa il 10% dal 2008 ad oggi bisognerebbe tagliare le pensioni di altrettanto, almeno nell'aggregato. Non facendolo si continuerà a sacrificare l’efficienza sull’altare dell’equità per le generazioni presenti a scapito di quelle future minando la riproducibilità del sistema economico italiano. L’attuale governo sta facendo proprio questo. Quota 100 elimina il torto (parole del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte) perpetrato dalla legge Fornero sulla generazione dei ‘baby boomer’ ma lo scarica su quella degli ‘X’, dei ‘millennials’ e sulle capacità di crescita strutturale del nostro sistema economico. 

Marco Boleo

 

 

 

 




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