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18/01/2019
L’autentica “rivoluzione” sturziana
Ispirarsi al pensiero di don Luigi Sturzo significa assumere uno sguardo proiettato all’osservazione critica della realtà attuale.

Il sacerdote siciliano rappresenta una pietra miliare nell’evoluzione del pensiero politico del Novecento; erede della grande tradizione cattolica volle essere, innanzitutto, uomo di una fede praticata in modo integrale ma anche “uomo di pensiero e di azione”. Ciò lo rese un protagonista scomodo, subendo atti di ostracismo tanto all’interno della chiesa quanto nelle vicende politiche. Avversato dalla classe dirigente liberale; osteggiato dal fascismo in quanto “prete intrigante”, esiliato ed emarginato. Così come emarginata per lunghi anni è stata la sua grande lezione morale, politica ed economica.

Un doppio esilio quello di don Sturzo: scriveva Dario Antiseri nel 1995, di fronte a questa “tacita interdizione” che ha coinvolto, sia pure con diverso grado di responsabilità, la cultura laica e quella cattolica: “Io non mi capacito di come, quando la sinistra ha innalzato Gramsci a più grande intellettuale del secolo, i cattolici non gli abbiano contrapposto un uomo come Sturzo”.

Per comprendere il valore di don Sturzo e delle sue battaglie è necessario ripercorrere alcune delle tappe significative di un itinerario umano e politico connesso con le vicende più importanti del Paese.

Sulla base del grande lavoro iniziale che riceve un impulso straordinario dalla Rerum Novarum, dopo la Grande Guerra, Sturzo fonda nel 1919 il Partito Popolare come forza in contrapposizione sia al Liberalismo sia al Socialismo che si appella alla lotta di classe. Il partito che costituisce, secondo Chabod “l’avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo”, si presentava ispirandosi ai “saldi principi del Cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia” ma esso non doveva qualificarsi su basi religiose; doveva essere, per usare le parole di Sturzo “aconfessionale”. In tal senso il sacerdote siciliano afferma: “Non possiamo trasformarci da partito politico in ordinamento di Chiesa […] né possiamo avvalorare della forza della Chiesa la nostra azione politica […]. E’ superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico: i due termini sono antitetici; il Cattolicesimo è religione, è universalità, il partito è politica, è divisione […]”. Sturzo rifiuta le opposte tentazioni del machiavellismo e del clericalismo, afferma piuttosto l’autonomia e la laicità della politica.

Questa è l’autentica “rivoluzione” sturziana, il taglio netto tra clericalismo e cattolicesimo sociale, la rivendicazione perfino orgogliosa da parte di un sacerdote dell’autonomia dei cattolici nella società civile.

Sul solco di un pensiero così autenticamente innovativo, nasce appunto, il Partito Popolare Italiano; l’appello ai liberi e forti, all’insegna del “programma morale, sociale e politico, patrimonio delle genti cristiane”, rappresentando un metodo nuovo a fronte dell’antico “trasformismo” italiano. Piero Gobetti, a tal proposito, definirà Sturzo con l’appellativo di “messianico del riformismo”.

Oggi, per la prima volta, la politica italiana può ispirarsi alla eredità di questo grande maestro che ha spaziato nel primo mezzo secolo del Novecento da protagonista, nel pensiero e nell’azione, conoscendo la crisi dello stato liberale e l’avvento del fascismo, passando attraverso il contatto con le democrazie anglosassoni e poi mettendo in evidenza, con una dura contestazione da polemista, i difetti della rinata democrazia italiana. Una contestazione sempre rivolta al centralismo con la preoccupazione per le istituzioni che devono servire l’uomo e garantirne libertà e dignità.  La politica, quindi, come dovere morale e atto d’amore gratuito.

In occasione del centenario della nascita del Partito Popolare Italiano, ci accorgiamo di quanto possa essere ancora attuale il pensiero sturziano, e di come oggi più che mai, dovrebbe rappresentare il rilancio di una Politica unicamente proiettata a valorizzare la persona, a ridare dignità al lavoro, a creare momenti di confronto e crescita in un tessuto sociale fortemente impoverito. Una società priva di punti di riferimento valoriali, abbandonata, e ciò potrebbe apparire inevitabile, ad una deriva antropologica che preclude uno sguardo di prospettiva verso il futuro, che non aiuta una coesione sociale, e continua a creare divari tra Nord e Sud alimentando, inoltre, una desertificazione umana e culturale. Riprendere il progetto politico di don Luigi Sturzo significa per i cattolici assumersi la responsabilità di ritornare ad essere protagonisti nella vita sociale e politica del Paese, riappropriandosi della propria identità, della propria cultura, dei valori per ridare dignità ad una politica sempre più consapevole, in modo che il pensiero diventi azione e l’azione sia esclusivamente rivolta al perseguimento del Bene comune.

Vincenzo Massara

 




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