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20/12/2018
Spirano i venti freddi della recessione e non abbiamo nulla da indossare
la recessione mondiale sta arrivando e noi che abbiamo praticato sempre misure fiscali pro-cicliche non abbiamo risorse per fronteggiarla

Alla fine come pronosticato anche su questo blog l’accordo con la Commissione Europea è faticosamente arrivato. In zona Cesarini. Ora però si dovrà cercare di evitare l’esercizio provvisorio. Ma se questo dovesse avvenire con una manovra raffazzonata sarebbe meglio sforare la data del 31 dicembre prossimo venturo per fare le cose perbene. Il deficit è stato portato al 2.04% ed è stata introdotta la vendita per 18 mld di euro di immobili pubblici per far quadrare i conti. Diciamo subito che con la scelta di questo numeretto s’è cercato di praticare un illusione finanziaria. La cifra, infatti, seppur inferiore di 0.36 rispetto alla precedente le assomiglia molto. Nel contempo però, la manovra dovrà essere riscritta al Senato, per ridimensionare di almeno 4 miliardi le spese previste per il 2019 da ciascuno dei due provvedimenti pivot del M5s (reddito di cittadinanza) e della Lega (quota 100 per le pensioni). Totale 8 miliardi di euro stimati alla buona da parte nostra. S’è trattato di una gara contro il tempo, che ci ha consentito di uscire dall’incubo della procedura d’infrazione per debito eccessivo, che avrebbe fatto correre al nostro Paese seri rischi nei mercati finanziari via innalzamento dello spread.

Nei giorni scorsi “i nostri” hanno cercato di difendere la quota deficit/Pil al 2.4% alludendo al fatto che in Europa per la Commissione esistevano figli: la Francia e figliastri: l’Italia. Ma la situazione dei cugini transalpini è completamente diversa. Una cosa vera però c’è: la Francia ha sforato ripetutamente il tetto del 3% del deficit, come abbiamo fatto del resto anche noi, ma non risponde al vero che agli odiati cugini l'abbiano lasciato fare senza sanzioni. La Francia, infatti, è stata sottoposta a procedura d’infrazione per deficit eccessivo nell'aprile del 2009 quando il disavanzo toccò l'8,3%. Il bilancio fu allora oggetto di raccomandazioni e monitoraggio da parte di Bruxelles. Per la cronaca la procedura d’infrazione s’è conclusa solo lo scorso 18 giugno e solo nel momento in cui la traiettoria di rientro del deficit nominale e di quello strutturale ha raggiunto l’obiettivo. A onor del vero anche l'Italia ha già avuto a che fare con la procedura d’infrazione nello stesso 2009 e con un deficit pari al 5,5% del Pil. Tutto si è concluso nel nostro caso nel 2012 quando il rapporto tornò sotto il 3%. Come funziona la regola del debito? Il Fiscal Compact prevede per i Paesi con un rapporto debito/Pil  superiore al 60% (uno dei parametri di Maastricht) una riduzione pari a 1/20 all'anno della media dei tre esercizi finanziari precedenti. La regola si può soddisfare anche se la riduzione avverrà nel triennio successivo in base alle previsioni della Commissione. Il risultato alla fine del triennio rappresenterà l'obiettivo di medio termine. Ai fini del calcolo si considera l'output gap (differenza fra Pil potenziale e Pil effettivo con il primo ad indicare la ricchezza prodotta nel caso tutti i fattori produttivi venissero impiegati) che determina il saldo strutturale. In che modo? Sottraendo all'indebitamento netto l'output gap (il vuoto di Pil) moltiplicato per l’elasticità delle entrate fiscali e della spesa pubblica rispetto all’andamento dell’economia. Da questo calcolo sono escluse le misure una tantum. Per intenderci tipo quelle che vuole mettere in campo Macron per assecondare le richieste dei gilet gialli. Tutte queste regole, in apparenza cervellotiche, consentono ai governi ampi margini di flessibilità. Visto che: in presenza di un ciclo economico negativo la regola verrà soddisfatta secondo il criterio del triennio precedente non incorrendo in sanzioni; mentre se viceversa il ciclo è favorevole e la riduzione non è avvenuta negli anni precedenti, basterà applicare il criterio previsionale sul triennio successivo. Sul nostro paese pendeva la procedura d'infrazione per tre ragioni: i) il debito non si è ridotto di quanto concordato; ii) il disavanzo strutturale è previsto in crescita nel triennio che verrà e iii) il disavanzo strutturale nel triennio precedente non si è ridotto secondo quanto previsto dall'obiettivo di medio termine ricordato in precedenza.

Anche la stessa Francia è a rischio procedura negli anni a venire se il disavanzo previsto per il 2019 sarà replicato nel 2020. A meno che, ma la regola vale per tutti, Italia compresa, non sorgano contingenze impreviste. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo ma non va dimenticato che il sentiero che dovremmo percorrere è strettissimo. La recessione mondiale, infatti, sta arrivando e noi che abbiamo praticato sempre misure fiscali pro-cicliche non abbiamo risorse da mettere in campo per fronteggiarla. Ma dalle dichiarazioni dei nostri governanti dopo il sospirato accordo con Bruxelles vedo che di tutto ciò non c’è preoccupazione alcuna. Hanno fissato, infatti, un tasso di crescita del Pil per il 2019 all’1% che difficilmente si verificherà. Mossa avventata ma fatta coscientemente. Il loro obiettivo è puntato sulla scadenza elettorale di maggio e ci potranno arrivare senza molti scossoni distribuendo alcuni contentini elettorali. Poi per i mesi a venire si vedrà.

Marco Boleo
 




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