PRIMO PIANO
19/12/2018
La legge di Penelope
La vicenda conferma la fragilità del patto Lega-M5S e la debolezza politica di un accordo tra diversi che non può portare nulla di buono al Paese

La legge di bilancio arriverà presto in Senato. Questa è l’unica notizia certa in un tira e molla governativo che ha molti precedenti, è vero, ma nessuno a così alta probabilità di rottura con l’Europa. Piaccia o no, l’accordo con Bruxelles – che non ha ancora risposto sulle correzioni del governo – sarà effimero. Anche l’iter previsto per approvare il provvedimento legislativo non è chiaro, per quanto sembra tramontata l’ipotesi del maxi emendamento. Dunque si passerà per la commissione parlamentare, con tutti i rischi del caso, ma almeno la dignità del Parlamento è salva.

Vista sotto questa prospettiva la vicenda conferma la fragilità del patto Lega-M5S e la debolezza politica di un accordo tra diversi che non può portare nulla di buono al Paese. Le accuse del Pd di aver mortificato il dibattito parlamentare sono condivisibili, ma rappresentano il rischio minore di una politica di bilancio velleitaria e dal passo incerto. La sensazione che l’iter ci riservi altre sorprese è forte, dovendosi votare tra Natale e Capodanno.

Quel che conta, direte, sono i contenuti. Anche sotto questo profilo la manovra sembra più la tela di Penelope che non un programma di cambiamento. La pace fiscale sicuramente non è quella grandiosa novità nei rapporti tra Stato e Cittadino che ci si attendeva. Lo stop all’aumento dell’Iva era semplicemente doveroso, se davvero si voleva lasciare al Paese un margine di ripresa. L’avvio del reddito di cittadinanza e della flat tax, il taglio delle pensioni d’oro e quota 100 per la riforma Fornero sono i punti principali della legge ma sono anche le misure più incerte uscite dal Consiglio dei ministri che ha esaminato più e più volte le coperture.

La misura più controversa è quella che servirà a ridurre il contenzioso: si potranno inoltre sanare le liti con il fisco pagando senza sanzioni o interessi il 20 per cento del non dichiarato in 5 anni in caso di vittoria del contribuente in secondo grado o il 50 per cento in caso di vittoria in primo grado. In arrivo anche il condono delle mini cartelle sotto i mille euro dal 2000 al 2010. «Nessun condono» per il premier, bontà sua.«Noi le chiamiamo definizioni agevolate» ha detto Conte. Una foglia di fico lessicale: si condona, e anche a buon mercato.

Da febbraio 2019 scatterà la quota 100: potrà andare in pensione chi ha 62 anni e 38 anni di contributi; a beneficiare della misura dovrebbero essere 400mila persone. E’ il punto dirimente della politica della Lega. Per contro, il reddito e le pensioni di cittadinanza, tanto care ai grillini, partiranno nei primi tre mesi del nuovo anno. Il contributo da 780 euro verrà caricato sul bancomat e ci sarà un monitoraggio degli acquisti. Altri punti delicati sono il taglio delle pensioni d’oro (sopra i 4.500 euro netti al mese) e la flat tax del 15% per i lavoratori autonomi. Riguarderanno pochi, pochissimi rispetto agli annunci della campagna elettorale.

Bisognerà vedere adesso che cosa dice la Commissione europea. Quando, a metà ottobre, Bruxelles ha contestato la manovra, Salvini ha replicato «Per l’Italia decidono gli italiani, non rompeteci le scatole, lasciateci lavorare». Da allora, è stato un continuo taglia e cuci, con un obiettivo solo: scrivere una legge di bilancio che consentisse contemporaneamente di non perdere la faccia con gli elettori di Lega e M5S e di non farsi disarcionare dallo spread. Due obiettivi verosimilmente alternativi. Alla fine, Conte ha optato per la Realpolitik o, per dirla più chiaramente, per la propria sopravvivenza.

Stefano Giordano

 




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet