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14/12/2018
Il calcio alla lattina dell’attuale governo
Se anche a maggio prossimo dovessero prevalere i partiti sovranisti, la reazione della nuova Commissione potrebbe essere molto più dura

La strategia del governo M5s e Lega è oramai acclarata da tempo. Tirare a campare senza sanzioni fino alle elezioni europee: nella speranza che col voto del prossimo maggio la Commissione guidata da Junker andrà a casa e verrà sostituita da una di sovranisti. Insomma i nostri condottieri stanno tenendo in ostaggio un intero Paese per meri ritorni elettorali. Il problema però è che se anche a maggio prossimo dovessero prevalere i partiti sovranisti, la reazione della nuova Commissione potrebbe essere molto più dura nei confronti del nostro paese, come già emerso finora con le posizioni politiche che hanno assunto i governi di Austria, Olanda, Ungheria e Paesi Baltici. Ma per ora mettiamo da parte questa eventualità ed occupiamoci della strategia del governo a brevissimo termine. Anche qui l’intento è noto. Per fare il pieno elettorale a maggio avrebbero bisogno di una manovra economica espansiva che consentisse di mantenere le promesse elettorali. I margini di intervento però sono molto risicati visti gli impegni presi con Bruxelles in estate dal Ministro Tria e la congiuntura economica mondiale che volge al ristagno. Da qui è nato un contenzioso tra il governo italiano e la Commissione poiché la manovra genera uno squilibrio di bilancio senza innescare crescita economica: sottostimando nel contempo l’effetto dell’aumento dello spread e dei tassi d’interesse. E quel ch’è peggio, il tutto viene messo in atto per distribuire sussidi di disoccupazione che non generano nuovi posti di lavoro e finestre al pre-pensionamento che mettono ancora più in crisi il nostro sistema previdenziale. Finora i costi di questa strategia sono stati ingenti principalmente per due ragioni.

La prima è stata l’aumento del costo del servizio del nostro debito pubblico: stando ai calcoli della Banca d’Italia, infatti, la maggiore spesa per interessi sarà di almeno 1.5 mld di euro per quest’anno, 5 mld per l’anno prossimo e 9 mld nel 2020. La seconda, invece, è l’aumento già in atto del costo dei futuri prestiti per le famiglie e le imprese. I mercati, infatti, e non tanto la Commissione Europea, hanno finora messo in discussione le fondamenta della manovra visto che le previsioni di crescita del Pil dell’1.5% per il 2019 sono del tutto infondate. Pertanto con gli attuali chiari di luna c’è il rischio concreto che l’economia italiana il prossimo anno arresti del tutto la sua crescita. Generando meno occupazione, più sussidi di disoccupazione da pagare e di conseguenza più tasse, più deficit e più debito pubblico. Che in fin dei conti sono gli effetti collaterali della manovra che la Commissione Europea contesta al nostro governo. Non sono quindi tanto i numeri della manovra a spaventare Bruxelles ma l’intento del governo di scalciare in avanti la lattina fino alle prossime elezioni europee lasciando la manovra invariata. Nella speranza che a maggio si formi nel parlamento europeo una maggioranza sovranista-populista che provochi la deflagrazione dell’Unione Europea dall’interno. Una speranza per noi vana visto che se anche ci sarà una nuova Commissione, il rafforzamento dei partiti euroscettici difficilmente potrà riuscire a cambiare le regole fiscali in Europa visto che le decisioni finali dipenderanno sempre e comunque dal Consiglio degli Stati.

Insomma una partita persa sin dal fischio d’inizio. Visto che il voler imporre a Bruxelles una manovra espansiva, in presenza di un debito pubblico elevato, potrebbe provocare l’effetto opposto rispetto a quello desiderato. Vediamo perché. Prima che si esplichino gli effetti espansivi sperati sulla domanda aggregata (consumi delle famiglie + investimenti delle imprese), una manovra economica che faccia aumentare deficit e debito provoca instabilità nei mercati finanziari via aumento dello spread e dei tassi d’interesse ed aumenta il rischio di fallimento per il nostro paese. Meglio quindi trovare subito un accordo accettando il consiglio spassionato del Primo Ministro greco Alexis Tsipras : “È meglio che facciate oggi quel che comunque vi faranno fare domani”. La base di partenza potrebbe essere quella di tornare ad un rapporto deficit/Pil per il 2019 al 2% come concordato con la Commissione dal Ministro Tria in estate. Riducendo i programmi di spesa per il prossimo anno di circa 7 mld di euro: con tagli che per ragioni politiche dovranno essere distribuiti tra il reddito di cittadinanza del M5s e la quota 100 sulle pensioni della Lega. Altre alternative all’orizzonte non ci sono. Così facendo ci sarebbe una riduzione verso valori fisiologici dello spread ed un ritorno graduale alla normalità del funzionamento dei mercati finanziari. Visto che su questo accordo già ci hanno scommesso i mercati con una virata dello spread a quota 280 o giù di lì, sarebbe un grave errore scalciare di nuovo in avanti la lattina.

Marco Boleo

 

 




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