L’altro giorno davanti alla tv sono incappato nel borioso sgambettare del mio sindaco fra una ridda di ruspe, nuvole di polvere, cumuli di macerie, vigili urbani in tenuta d’assalto e giornalisti assiepati ad immortalare in uno storico fermo immagine la prima cosa seria presieduta dal sindaco di Roma (forse l’unica); finalmente veniva raso al suolo quell’orribile scempio che erano le ville dei Casamonica e con queste sprofondavano colpevoli amnesie ed anni di connivenze, di una dinastia di balordi che ha messo sotto scacco l’intera città integrandosi alla perfezione con quella fetida melma popolata di soggetti dediti al traffico di stupefacenti, allo strozzinaggio ed ai furti, illustri sconosciuti al fisco ma allo stesso tempo ben noti alle forze dell’ordine.
Chi legge queste poche righe potrebbe immaginare che l’incipit altro non sia che la prefazione ad una trattazione antologica di quelle che piacciono tanto ai pentastellati, racconti mitologici di una narrazione epica sorretta da una logica fideistica, che porta a considerare il grillino di turno alla stregua di un novello Alberto da Giussano con l’elsa della spada ben stretta nella mano e lo scudo (non crociato) a proteggerne la verginea coscienza dai numerosi e reiterati assalti di politici di malaffare, di radical chic ed un popolino beota affamato d’illusioni (il riferimento al leggendario condottiero non è casuale).
Ovvio non è così, nella rassegnata consapevolezza di in un immobilismo perseverante ho semplicemente salutato con piacere il primo “tangibile” provvedimento del sindaco, la protogrillina Raggi. Per Roma serviva il candidato perfetto, che rappresentasse il concreto esempio di quello che di li a poco sarebbe potuto accadere su larga scala. Gli ingredienti c’erano tutti: donna, onesta, quel giusto connubio di chic (per ingraziarsi l’intellighenzia radical) e populismo (per raccattare i voti dei comunisti veri) , moralmente ineccepibile, avvocato e competente (assioma non scontato) insomma, la Casaleggio & co. aveva calato il proprio asso.
Così anch’io “ob torto collo” come tanti altri miei concittadini abbacinati dal mantra dell’onestà a tutti i costi (anche se il dubbio che governare con la paura di sbagliare equivale a non governare ce l’avevo) quando è salita sullo scranno capitolino, memore dei proclami della vigilia sono rimasto con lo sguardo rivolto ad ovest in attesa di sentirmi sferzare il volto da questo nuovo ponentino, ho aspettato, Dio solo sa quanto e desiderato che qualcosa in questa meravigliosa ma sprofondata città cambiasse , invece nulla, nulla di nulla, quel vento che doveva cambiare Roma, che avrebbe dovuto spazzare via anni ed anni di malagestio non si è mai levato, non una foglia si è mossa, e così in questa sterile immobilità le erboree appendici sono rimaste avviluppate ai loro rami rinsecchendo, poco dopo volteggiando pigramente nell’aria ferma, copiose ed indisturbate si sono stese sui marciapiedi e sulle strade, i nostri passi frettolosi e distratti le hanno calpestate, queste immobili ed ingiallite testimoni della vita che frenetica gli scorreva sopra, pian piano, giorno dopo giorno, mese dopo mese si sono spostate trovando riparo nella rassicurante oscurità dei tombini, tutt’al più profanata da qualche pantegana curiosa o da qualche Gabbiano, pennuto autoctono romano, sempre più simile per dimensioni e dieta ad un uccello preistorico. Le più ardite hanno guadagnato il ciglio della strada cercando casa nei canali di scolo, nessuno le ha mosse, la proverbiale paciosa indolenza romana non ci ha fatto caso, allo stesso modo in cui coviamo con interi quartieri od aree dismesse che attraversarle equivale entrare in una frattura spazio temporale per essere proiettati in una dimensione aliena, nessuno ci fa caso, per poi correre e gridare quando ci scappa il morto.
Quand’ecco che all’improvviso questa immobilità viene corrotta dal picchiettio regolare della pioggia, finalmente un po’ d’acqua pensano i romani, non ha provveduto il sindaco ci pensa il buon Dio a dare una pulita alle strade. E’ notorio che l’acqua sia più dispettosa di una scimmia e che abbia l’inveterata capacità di infilarsi in ogni pertugio, peccato però che tutti i pertugi e le caditoie fossero abitati ormai da tempo dalle foglie, a Roma non si sfratta nessuno tantomeno gli agresti e silenziosi inquilini, c’è chi addirittura vagheggia di slanci di operosità delle ditte manutentrici al punto che oltre alle strade l’asfalto sia stato posto su tombini e tutto quanto serve per il deflusso delle acque, fatto sta che l’acqua non ha potuto defluire ed allegramente ha cominciato ad invadere le strade portandosi via le auto, i passanti, i cassonetti muti testimoni dell’impossibilità di fare la raccolta porta a porta, inghiottendo tutto quello che ne ostacolava il corso impetuoso, creando buche dove poi finivano i cittadini di una città onesta, che divenivano voragini dove poi sparivano le auto di una città onesta ed infine crollavano gli alberi sulle teste dei passanti e sulle auto della città onesta.
Dispiace dirlo, ma l’onestà non basta. L’onestà è necessaria, preziosa e vitale, ma non basta. Ci vuole anche capacità di governo, propensione all’ascolto, ma soprattutto coraggio, quello che la Raggi non ha, a cominciare dalla scelta di non candidare la capitale alle olimpiadi, lei, sempre troppo preoccupata a prendere le distanze e differenziarsi da chi c’era prima, come se ogni azione possa portare a paragoni con il passato.
Finora il mandato di Virginia Raggi è stato un’altalena continua tra incertezze, rifiuti, errori e dinieghi, aveva promesso ascolto e innovazione, ma l’ascolto non si fa chiudendo le porte ad ogni critica o ergendosi al di sopra di tutto e tutti; tacciando chiunque la critichi di essere un radical chic, l’innovazione non può andare di pari passo con l’immobilismo.
Figlia prediletta del leader Grillo, che fin dal vaffaday ha avuto nel mirino la stampa, nemico come la sindaca dell’informazione libera ed avverso ad ogni critica. Il leader populista che nel blog pubblica un listino per le interviste, che vanno da mille euro a domanda con un minimo di 5 domande, uno che non ha mai condotto un confronto pubblico, uno che fa comizi a pagamento, mascherandoli (per quelli che ci abboccano) da spettacoli di varietà, uno che caccia gli oppositori interni, uno che si associa con una Holding per profetizzare una democrazia diretta che nemmeno la più inquietante rilettura del bispensiero orweliano può immaginare, il casaleggio pensiero che prevede vi sia una linea di sangue fra coloro che sono chiamati a decidere le sorti ed il pensiero della triste messinscena marionettistica grillina.
Cara Virginia, la misura è ormai colma, Roma è sicuramente una città paziente, ma segnali di insofferenza e di profondo disagio arrivano da ogni parte, la caduta verticale dei consensi, le vicende giudiziarie, l’unica difesa efficacie cha hai ricevuto è quella di tuo marito quando ti ha sollevato dalle accuse di portare con te borse da migliaia di euro chiarendo che il prezioso manufatto era nato dalle sapienti mani di un umile artigiano di piazza di Spagna. Serve altro, serve di più, non gli annunci ad effetto all’indomani dell’ennesima crisi, bandi, milioni di euro, tanto ne conosciamo già la sorte o vanno deserti o saranno poi bloccati, bilanci non approvati, tu sempre con l’indice puntato all’indietro ed intanto Roma sprofonda sempre più, ora siamo all’85esima posizione fra le città dove si vive meglio arretrando in un solo anno di ben 18 posizioni!
Concludo con una nota di speranza, non tutto è perso e lo faccio nel solco del clima natalizio ormai incipiente. Dopo anni in cui Piazza Venezia è stata popolata da alberi di Natale che hanno creato imbarazzo e reso la Capitale oggetto di inevitabile scherno (con migliaia di euro buttati) per quest’anno le aspettative sono davvero di primordine, al grido di “ Spelacchio is back” verrà l’8 dicembre acceso il primo albero romano targato Netflix, finalmente il gap fra Roma e Milano sarà colmato, Buon Natale a tutti.
Stefano Ceci