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27/11/2018
Il Governo del vero cambiamento
il seppur tardivo ripensamento del ministro Savona, che paventa una vera e propria crisi di governo, inchioda Conte, Di Maio e Salvini alle rispettive responsabilità

La legge di bilancio è l’atto politico più importante di un governo, quello con cui decide cosa fare delle risorse pubbliche, cosa e come orientare nella crescita della comunità. La politica economica è, dal Dopoguerra in poi, il banco di prova di tutti gli esecutivi, il terreno su cui edificare e demolire, insomma lo scettro del potere di una democrazia. Le difficoltà in cui si sta dibattendo il governo Conte, quindi, sono tutt’altro che il “cammino stretto” di Padoan. Il governo Gentiloni ereditò dal governo Renzi una situazione difficile ma la affrontò in una logica di continuità con tutti i governi precedenti, compreso quelli di Berlusconi. Questa continuità consiste nella collocazione europea del nostro Paese, ovverossia nel rispetto degli accordi internazionali che vengono sottoscritti dallo Stato e non dai governi. Non diversamente da quando, pur alternandosi i governi, veniva ribadita la scelta atlantica del Paese. Allora l'atlantismo era un fatto strategico. Oggi l'Europeismo si fonda su un patto finanziario e, in ultima analisi, fiscale. Ciò perché allora ci si trovava in uno scenario di guerra sospesa, mentre oggi siamo in un quadro di pace obbligata.

Ma non è tutto. Il presidente del Consiglio e i suoi ministri sono sempre pro tempore, ma non lo è lo Stato che risponde dei propri accordi e soprattutto del proprio debito indipendentemente dalle scelte politiche, legittimamente mutevoli. Il colossale malinteso – diciamo pure la bufala, o la fake news – in cui si dibatte il governo Conte è precisamente quello della discontinuità: può esistere una discontinuità politica ma non istituzionale e quest’ultima non riguarda solo gli aspetti giuridici, ma investe anche gli accordi economico-finanziari che hanno consentito al Paese di mantenersi nell’area Euro e nell’avvantaggiarsi del fatto di essere inserito nell’Unione europea, percependo fondi e inserendosi nei mercati. L’integrazione a porte girevoli, da usare per entrare e uscire dall’Unione come da un bar, non esiste. Come si ricorda tanto spesso nel Mcl, la casa comune europea è frutto di una lunga tessitura dei partiti popolari e socialisti che nessuno può mettere in discussione senza lacerare il contratto sociale che ci vede italiani ed europei al tempo stesso.

Per queste ragioni, il seppur tardivo ripensamento del ministro Savona, che paventa una vera e propria crisi di governo, inchioda Conte, Di Maio e Salvini alle rispettive responsabilità. Quelle del M5S sono di vagheggiare uno strappo insano, dissimulato ma insistente, dall’Unione europea, cavalcando il malcontento popolare per una crisi economica sempre più lunga e dolorosa. Quelle della Lega sono di aver giocato col fuoco troppo a lungo, per mero interesse elettorale, snaturando la proposta politica del centrodestra in chiave populista. La debolezza del messaggio politico di Salvini si coglie nel limite intrinseco del sovranismo: sono proprio gli alleati della Lega in Europa, in primis gli ungheresi, a scaricare l'alleato non appena le sue scelte mettono a repentaglio le altrui sostanze.

La legge di bilancio in discussione è la summa di queste contraddizioni: un partito populista di sinistra, che liscia il pelo a disoccupati e precari, promettendo l’impossibile e cercando di trasformarlo in provvedimenti legislativi che sono fragili sul piano giuridico e inconsistenti su quello finanziario; un partito populista di destra, convinto di poter far cassa con misure securitarie e di non pagar dazio se lo spread va alle stelle e i mutui s’infiammano. In mezzo, un notaio che è premier solo di nome.

In questo scenario, i supplementari concessi alla manovra per limare la spesa corrente a favore degli investimenti sembrano insufficienti. Cioè non crediamo che il governo riesca a partorire il topolino dopo aver avuto mesi per cercare una soluzione che fosse di vero “cambiamento” e che si è rivelata al contrario una grande “lottizzazione” alla vecchia maniera, con la differenza che il pentapartito si divideva il consenso a colpi di favori corporativi, mentre il governo del sedicente cambiamento sta scontentando tutte le componenti produttive. La freddezza di sindacati e Confindustria verso l’esecutivo è sintomo di una politica cui non viene riconosciuta alcuna capacità di innescare quella ripresa che tutto il Paese agogna, l’unico cambiamento che consentirebbe di soddisfare le legittime richieste occupazionali dei giovani e la tutela del risparmio richiamato recentemente anche dal presidente Mattarella. Francamente, non sappiamo cosa augurarci ma ci sentiamo empatici con il ministro Savona: va cambiato il governo, non solo la manovra. Quello sì che sarebbe un vero cambiamento.

Stefano Giordano




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