PRIMO PIANO
09/11/2018
Prescrizione, luci e ombre Forse, la soluzione migliore sarebbe quello di procedere ad una corretta revisione dell’istituto, rispettando gli equilibri e la ragionevole durata del processo Ultimamente si sente molto parlare di prescrizione, soprattutto a seguito delle varie modifiche legislative e delle varie proposte che si sono susseguite nei mesi. Questo tema delicato è stato oggetto di un importantissimo dibattito giurisprudenziale, tra Corte di Giustizia e Corte Costituzionale e probabilmente proprio da qui è nata tutta la questione in esame, ossia il noto caso “Taricco”. Tuttavia, prima di affrontare nel particolare le vicende legislative degli ultimi tempi, è necessaria una breve premessa sull’istituto. La prescrizione del reato (artt. 157-161 c.p.) determina l’estinzione dello stesso sul presupposto del trascorrere di un determinato periodo di tempo (estinzione del reato e delle pene). La ratio di questo istituto risiede nel fatto che, a distanza di molto tempo, viene meno l’interesse dello Stato sia a punire un comportamento penalmente rilevante, sia a tentare il reinserimento sociale del reo. Essa risponde anche alla fondamentale esigenza di rispettare la ragionevole durata del processo, senza la quale i processi potrebbero non finire mai. Tuttavia, nell’ottica di valorizzare i diritti fondamentali dell’uomo e di garantire il diritto costituzionale alla difesa in giudizio, la stessa ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 157 c.p. nella parte in cui non consentiva la rinunciabilità alla prescrizione da parte del reo (sent. n. 275/1990). Con l’entrata in vigore della l.n. 251/2005 (cosiddetta legge ex Cirielli) il modo in cui calcolare la prescrizione è profondamente mutato. In particolare, mentre in precedenza si determinava la durata della prescrizione in scaglioni, a seconda della fascia a cui apparteneva la pena massima dell’illecito contestato al reo (fissando, per es., la prescrizione in 10 anni, per i delitti puniti, nel massimo, con la pena della reclusione non inferiore a 5 anni), con tale legge, si fa direttamente riferimento alla pena massima, senza la necessità di un ulteriore passaggio logico, perché l’entità della pena corrisponde automaticamente al tempo necessario perché si prescriva il reato a cui afferisce. Ultima modifica sull’istituto si è avuta con la riforma Orlando, legge 103/2017 che modifica completamente la tanto criticata legge ex Cirielli del 2005 e stabilisce che d’ora in avanti la prescrizione venga sospesa per un periodo massimo di 18 mesi sia dopo la condanna in primo grado sia dopo la condanna in appello. Tale riforma della prescrizione del reato va a modificare e integrare gli articoli dal 158 al 161 del Codice penale. In particolare, la novità più importante è l’introduzione dei commi 2 e 3 all’articolo 159, che regolano la nuova sospensione della prescrizione dopo le sentenze di condanna. Ciò premesso, come precedentemente accennato, l’Italia è stata al centro di un noto dibattito sul caso Taricco. In particolare, nel 2015 la Corte di Giustizia, sollecitata da un giudice italiano che si trovava a dover giudicare su alcuni casi di frodi IVA, aveva ritenuto che la legislazione italiana in materia di prescrizione impedisse di tutelare in maniera adeguata gli interessi finanziari dell’Unione europea, che in parte venivano lesi nei casi di specie (l’IVA, infatti, finanzia in gran parte il bilancio italiano, ma in piccola parte anche il bilancio dell’UE). La Corte di giustizia aveva stabilito che siccome le regole italiane sulla prescrizione conducevano a una impunità di fatto nei casi in questione, quelle regole andavano disapplicate al ricorrere di determinate condizioni. Quella sentenza aveva generato però parecchi problemi: le circostanze della disapplicazione erano infatti indicate in maniera tale da lasciare un margine di interpretazione assai ampio per il giudice del caso concreto, che era chiamato a valutare se l’applicazione delle norme sulla prescrizione conducesse all’impunità in “un numero considerevole di casi di frode grave”. Da qui è iniziato un complesso dialogo con la Corte Costituzionale ove la stessa, con ordinanza n.24 del 2017 aveva addirittura affermato che avrebbe attuato i cd.”contro limiti” se la Corte di Giustizia non avesse smesso di chiedere la cessazione della prescrizione, essendo quest’ultima un istituto fondamentale nell’ordinamento Italiano. La vicenda è giunta finalmente a conclusione con la sentenza n. 115 del 2018, avvenuto lo scorso 31 maggio, ove la Corte costituzionale chiude definitivamente il caso Taricco e sugella la vittoria della strategia diplomatica messa in atto a tutela dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale interno, e in particolare del principio di legalità in materia penale. E’ chiaro, quindi, l’importanza non solo nazionale ma anche a livello sovranazionale che ha questo istituto. Ed arriviamo a questi ultimi giorni che hanno visto la nascita di una nuova prospettiva legislativa portata dal Movimento 5 stelle, la quale prevede l’interruzione della prescrizione dopo l’emanazione della sentenza di primo grado. Tuttavia, l’emendamento che blocca la prescrizione dopo il primo grado di giudizio è stato ritirato, ma, il Movimento 5 Stelle ha annunciato che sarà presto ripresentato all’interno di un nuovo testo. Ciò posto, diversi esponenti della Lega hanno protestato contro la proposta del Movimento 5 Stelle e contro il metodo con cui è stata introdotta. L’avvocato Giulia Bongiorno, ministro della Pubblica amministrazione e avvocato protagonista di impegni garantisti, l’ha definita una “bomba atomica” pronta a scoppiare sul processo penale. Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e stretto consigliere del leader della Lega Matteo Salvini, ha detto che nella forma in cui è stata introdotta nella legge, la riforma della prescrizione si discosta dal contratto di governo e dovrà
quindi essere ridiscussa. Giorgetti ha anche accusato il Movimento di aver deciso di introdurre l’emendamento guardando ai “sondaggi” e facendosi influenzare dai “giornalisti”. Chi è contrario alla riforma, come le associazioni di avvocati e molti giuristi, sostiene che il particolare funzionamento della prescrizione in Italia è uno strumento necessario proprio per difendere gli imputati dall’eccessiva lunghezza dei processi e delle indagini. Inoltre, non bisogna dimenticare che l’Italia è stata più volte condannata dalla Corte di Strasburgo, ossia la Corte EDU, per la violazione dell’art.6 CEDU che prevede il rispetto della ragionevole durata del processo, poiché l’Italia è uno dei Paesi ove i giudici impiegano più tempo a concludere un processo penale: non solo i processi sono più lunghi che nel resto d’Europa, ma anche la fase delle indagini. Secondo i critici, bloccare la prescrizione porterebbe ad ulteriori allungamenti dei tempi della giustizia, mentre, i fautori dell’emendamento invece sostengono che i tempi si ridurranno, poiché gli avvocati non avranno più convenienza a usare tattiche dilatorie: sarebbe però allora l’accusa a non avere fretta di concludere, dopo il primo grado. L’obiezione più forte è che la prescrizione verrebbe annullata anche per gli imputati che venissero assolti in primo grado, mettendoli a rischio poi di attendere anni prima di un giudizio definitivo senza poter neanche contare sulla prescrizione. Nonostante ciò, sembra che il Movimento non sia intenzionato ad arretrare, ma anzi voglia arrivare fino in fondo alla vicenda ed uscirne vittoriosa. Da quanto esposto, si evidenzia la grande contraddizione tipica del nostro Paese, infatti, con i Giudici di Lussemburgo (caso Taricco) abbiamo “lottato” per mantenere vivo un istituto fondamentale per il nostro ordinamento, essendo stato evidenziato come la prescrizione abbia natura sostanziale e non processuale e perciò non soggetta a cambiamento, adesso si propongono emendamenti per bloccare la prescrizione, inoltre, i Giudici di Strasburgo, ossia la Corte Edu, ci denunciano da anni per la lunghezza dei processi! E allora, cosa fare in un quadro così confuso e contraddittorio? Sicuramente, la soluzione proposta dal Movimento 5 Stelle non appare soddisfacente, in quanto, non solo aumenterebbe in modo esponenziale la durata dei processi ed il numero degli stessi, ma verrebbero alterati ancor di più i rapporti con l’Unione europea. Per cui, forse, la soluzione migliore sarebbe quello di procedere ad una corretta revisione dell’istituto, rispettando gli equilibri e la ragionevole durata del processo, ma al contempo evitare che lo stesso istituto venga utilizzato in modo inadeguato. Non si può che aspettare e vedere quale sarà la prossima mossa. Michele Cutolo
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