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19/09/2018
Draghi e la fine del QE
Nella conferenza stampa del 13 settembre scorso il Presidente della BCE Mario Draghi ha ribadito le azioni di politica monetaria dell’Istituzione di Francoforte sul Meno per i mesi a venire

Nella conferenza stampa del 13 settembre scorso il Presidente della BCE Mario Draghi, rispondendo alle consuete domande dei giornalisti, ha ribadito le azioni di politica monetaria dell’Istituzione di Francoforte sul Meno per i mesi a venire. Molti a chiedere chiarimenti sulla fine del Quantitative Easing (QE), qualcuno sulle crisi di alcuni paesi emergenti (Turchia ed Argentina), altri sulle prospettive dell’economia italiana e dintorni senza gli acquisti di attività.

La BCE, come annunciato negli scorsi mesi, ridurrà gli acquisti mensili di titoli del debito sovrano e di obbligazioni fino alla fine di dicembre. Ma il Presidente ha voluto subito chiarire, nelle prime risposte, che questo non significa affatto che la politica monetaria della BCE smetterà di essere accomodante (espansiva): “[L’operazione di allentamento quantitativo] rimarrà molto significativa, attraverso la nostra politica di reinvestimento [vendita dei titoli] e attraverso la nostra ‘forward guidance’ (politica di annunci per condizionare le aspettative di mercato) e [la manovra dei] tassi di interesse. Il mandato della BCE è quello di garantire la stabilità dell’inflazione a medio termine con un valore obiettivo del 2% e non quello di assicurare che i disavanzi pubblici vengano finanziati in tutte le condizioni.

Il QE è stato, nella strategia di Draghi, una delle frecce a disposizione nella sua faretra per far uscire le economie dell’Eurozona dalla trappola della deflazione. “Stiamo osservando la convergenza del tasso di inflazione al nostro obiettivo. Siamo fiduciosi che ciò stia accadendo, la fiducia si basa innanzitutto sulla nostra politica monetaria, che rimane accomodante e in secondo luogo, sulla forza sottostante dell'economia”. Le condizioni del mercato del lavoro sono in costante miglioramento e gli ultimi dati sull’occupazione lo testimoniano: dal 2013 sono stati creati 9,2 milioni di posti di lavoro nell'Eurozona e si è avuta anche una crescita nei salari che contribuirà in maniera endogena all’inflazione verso il 2% (ora siamo ad 1,7%) anche in assenza di una politica monetaria espansiva. Questo andamento - secondo Draghi – testimonia che la politica monetaria espansiva praticata a Francoforte è in linea con gli obiettivi del mandato. A chi ha provato, invece, a chiedergli su come verranno attuate le politiche di reinvestimento dei titoli che la BCE ha nel bilancio, ha detto solo che del problema non se ne era discusso nel direttorio e che verrà affrontato in uno dei prossimi due incontri. Riguardo all'aumento dell’incertezza in alcuni mercati emergenti – per il Presidente - questo è sicuramente uno dei fattori che aumenta i timori sui mercati mondiali. Ma, detto questo, finora gli ‘effetti tracimazione’ dalla Turchia e dall'Argentina verso altri Paesi non ci sono stati. Ancora una volta, come avvenuto qualche anno fa, i Paesi più vulnerabili al contagio si sono dimostrati quelli che hanno i fondamentali economici più deboli: vale a dire un elevato disavanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, un’elevata inflazione ed un deficit di bilancio fuori controllo. Finora, almeno nel complesso, il contagio è rimasto circoscritto a qualche Paese.

Attualmente tre sono le fonti d’incertezza: 1) la vulnerabilità dei mercati dei Paesi emergenti; 2) il cambiamento della politica monetaria negli USA; 3) il protezionismo, e poco si sa su come potranno influenzare la stabilità e la crescita delle economie mondiali. A ciò si aggiunga che i livelli del debito in tutto il mondo rimangono elevati, e che in alcune parti di esso sono aumentati. Per quanto riguarda l'Eurozona, tuttavia, le cose sono leggermente diverse, visto che il debito privato (indebitamento di imprese e famiglie) è effettivamente diminuito. Mentre il debito pubblico rimane elevato ed è per questo che Il Presidente non si stanca mai di ripetere che i Paesi in cui il debito pubblico è elevato dovrebbero essere i primi a praticare politiche di bilancio che generino un avanzo di bilancio primario. Altrimenti, se ci sarà una nuova crisi, non avranno alcuno spazio per praticare delle politiche fiscali anti-cicliche.

In cima a questa lista abbiamo l’Italia dove le dichiarazioni di alcuni membri del Governo e delle forze politiche che lo sostengono negli ultimi mesi sono cambiate molte volte. Quello che stanno aspettando a Francoforte sul Meno sono però i fatti: in primis la presentazione del Documento di Economia e Finanza (DEF) e la discussione parlamentare. Solo successivamente i risparmiatori, i mercati dei capitali e gli investitori formuleranno la loro opinione e prenderanno le loro decisioni. Purtroppo finora molte parole pronunciate a vanvera hanno creato qualche danno: i tassi di interesse sono aumentati a danno di famiglie e imprese. Ma per fortuna non vi sono state ricadute negative in altri Paesi dell'area dell’Eurozona. È rimasto, almeno finora, tutto circoscritto in Italia. Per ora la BCE si fida delle dichiarazioni del Primo Ministro, del Ministro dell'Economia e di quello degli Affari Esteri che hanno ripetuto in coro che l'Italia rispetterà le regole.

Insomma per riassumere all’osso il pensiero di Draghi: se tutti i Paesi in Europa faranno la loro parte, rispettando le regole di bilancio, la BCE di certo non si farà da parte nemmeno con la fine del QE continuando ad utilizzare la leva della politica monetaria per garantire stabilità e crescita.

Marco Boleo
 




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