Il prossimo 17 aprile saremo chiamati a pronunciarci sul cosiddetto referendum sulle trivelle, in cui ci verrà chiesto se vogliamo che alla scadenza delle concessioni per l'estrazione di idrocarburi nelle acque italiane (entro 12 miglia dalle nostre coste) sia fermata l'estrazione nonostante nei giacimenti ci siano ancora idrocarburi. Il referendum è stato promosso da alcune regioni - Veneto, Liguria, Marche, Campania, Calabria, Puglia, Molise, Basilicata e Sardegna.
L'importanza del referendum va oltre il quesito stesso, perché rimette in gioco alcuni punti fondamentali. Il primo è la centralità dei cittadini, o meglio delle persone, e delle comunità locali. Purtroppo, per molti fattori, non siamo più abituati ad avere la possibilità di partecipare alla cosa pubblica, di dibattere in maniera pacata e seria su temi rilevanti. Il deficit democratico che in questi anni stiamo attraversano sta lasciando ferite profonde che segnano il nostro modo di vivere la comunità, di essere corresponsabili della "res publica". Questo referendum può essere l'occasione per ripartire attraverso un tema rilevante come quello in oggetto. Altro fattore importante è che in questo referendum siamo chiamati a pensare al nostro futuro. Anche questo, per quanto assurdo possa sembrare, è un elemento di novità perché le difficoltà che stiamo attraversando fanno sì che lo sguardo non riesca ad andare oltre al nostro presente. Occorre invece che ci riappropriamo innanzitutto del nostro futuro, che ricominciamo a pensare non solo all'oggi ma anche al domani, che incominciamo a rispondere alle sfide del presente attraverso una prospettiva sul futuro.
In sè il referendum ha una portata limitata perché riguarda il futuro delle concessioni (non ha effetti sull'immediato) e coinvolge uno spazio che non va oltre le 12 miglia, però è un ottimo termine di paragone per capire quali sono le nostre priorità e quali sono le nostre prospettive. Le ragioni del sì e quelle del no (oltre che dell'astensionismo) si confrontano sull'impatto economico, su quello ambientale, sui posti di lavoro. Che questo avvenga è senza dubbio un bene, perché proprio attraverso un sincero paragone che è possibile fare un'opera seria di discernimento che abbatta i muri ideologici che su temi come questi sono particolarmente spessi. Allo stesso modo è un'occasione per molti di confrontarsi partendo da quella splendida enciclica che è la "Laudato sì" di Papa Francesco. Visto che da moltissime parti si è alzato il plauso per l'enciclica di Papa Bergoglio, è giunto il momento di capire se sono stati facili osanna di circostanza, oppure un reale desiderio di fare chiarezza su temi tanto delicati quanto polarizzati, attraverso un serio confronto con quanto il Santo Padre ci indica. È necessario confrontarsi su quanto sia ragionevole correre il rischio di danni ambientali che potrebbero deturpare i nostri mari, a fronte di un vantaggio che non incide davvero sul nostro fabbisogno energetico. Allo stesso modo occorre chiedersi se sono più "costosi" i danni economici derivanti dai danni ambientali, rispetto ai guadagni sulle concessioni, e che ripercussioni avrebbero sull'occupazione in particolare sul turismo, sulla pesca e sull'indotto.
Sono tutte questioni importanti e delle quali tener conto, ma forse dovremmo iniziare a giudicare partendo da una diversa prospettiva. Forse sarebbe il caso di partire dai beni comuni, dalla presa di coscienza che i beni della terra non sono infiniti, che le nostre scelte di oggi avranno un impatto dirompente sulle generazioni future. Ed allo stesso tempo fare un salto di qualità rendendoci conto che non siamo chiamati a difendere l'ambiente, ma a custodirlo, che è una cosa diversa. Custodire non significa solamente proteggere, salvaguardare, ma far crescere. Il fascino della prospettiva cristiana sul Creato è proprio la consapevolezza di dover partecipare attivamente ad abbellire il creato, a rendere più bello il mondo che ci circonda, sapendo che ci è stato dato, ma che non ci appartiene. Non si tratta di essere naïf, ma di assumersi le proprie responsabilità e di avere il coraggio di fare scelte difficili e di scommettere sul futuro. Questo referendum più che un sì sulle trivelle, ci chiede un sì sulla nostra capacità di reinventarci, di sapere utilizzare altre forme di energia, di saper guardare in una prospettiva unitaria (la sola possibile) il destino dell'uomo è quello dell'ambiente. È un sì per scommettere, ancora una volta, sulla persona.
Giovanni GUT