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26/05/2015
Ripartire da una visione sussidiaria e solidale della comunità
la discussione intorno al reddito di cittadinanza dirà molto del tipo di società che vogliamo

C'è molto di più che un parere su uno strumento di sostegno al reddito nelle parole pronunciate da Mons. Bregantini durante un'audizione alla Commissione Lavoro del Senato. L'arcivescovo - già Presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace - riferendosi al reddito di cittadinanza, e più in generale agli ammortizzatori sociali, ha affermato che "bisogna fare in modo che ci siano iniziative di sostegno per chi perde il lavoro, ma sempre finalizzate ad accompagnare, in modo che non si precipiti nel buco nero della povertà". In queste parole non c'è solamente un chiaro rifiuto di ogni forma di assistenzialismo, ma c'è una visione della società che ha come scopo quello di valorizzare la persona e quindi di far cresce armoniosamente tutta la comunità. Mons. Bregantini ha voluto sottolineare: "Accompagnare: la parola che il Papa ha detto a noi vescovi, la diciamo alla società".

Accompagnare è un verbo molto forte nella Chiesa, è un verbo che non si usa con leggerezza, visto che Dio stesso nell'incarnazione si è fatto compagno all'uomo, come scrive nel prologo del suo Vangelo San Giovanni e come si recita ogni giorno nella preghiera dell'Angelus. Accompagnare significa farsi prossimi, sostenere, senza ledere la libertà. È un verbo che tiene uniti i principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa: il principio personalistico, il principio della sussidiarietà e il principio della solidarietà. Concepire gli ammortizzatori sociali come degli strumenti per aiutare, o meglio accompagnare, la persona nel suo percorso per uscire dalle sabbie mobili della povertà, significa promuovere una forma di società in cui tutti si assumono le proprie responsabilità e un cui tutti devono poter svolgere il proprio compito.
La lotta alla povertà, e in questo caso specifico alla disoccupazione, è certamente un dovere primario delle istituzioni pubbliche, ma non è un loro diritto esclusivo. Pur nel rispetto dei ruoli e delle competenze, anche le forze sociali - a partire dalle associazioni che vivono nel mondo del lavoro - hanno il diritto e il dovere di mettersi in gioco. Se c'è una lezione che possiamo trarre dai tanti problemi che la Garanzia Giovani sta incontrando, soprattutto dal sostanziale fallimento a raggiungere i giovani NEET ai quali il programma è principalmente rivolto, è quella che senza un ampio coinvolgimento di tutte le forze presenti nella società non è possibile affrontare tematiche così delicate come la disoccupazione giovanile. Bene ha fatto Mons. Bregantini a legare qualsiasi idea di ammortizzatore sociale a percorsi di aiuto nella ricerca dell'occupazione, alla riqualificazione attraverso la formazione, all'individuazione di forme di lavoro che possano far ripartire coloro sono senza lavoro, che hanno perso la fiducia e che rischiano di cadere nell'abisso della rassegnazione.

Sono anni che si parla di implementare delle efficaci politiche attive del lavoro, ma ancora poco è stato fatto. Uno dei problemi è che da noi le politiche attive e passive del lavoro vengono viste in modo separato, quasi a tifare per l'una o per l'altra,  senza rendersi conto che sono unite. Siamo in questa situazione perché non si guarda al soggetto, ma alla struttura, come se il problema non fosse quello di rispondere a un desiderio e a un bisogno della persona, ma fosse quello di sistemare un apparato. È necessario uscire da un equivoco: credere che l'unico rapporto all'interno della società, l'unico rapporto qualificante, sia quello tra lo Stato e l'individuo. Dove l'individuo è una persona senza alcun tipo di legame, un soggetto che in natura non esiste. Così facendo non solo di perde tutta quella grande ricchezza che il nostro Paese porta con sé e che è il nostro vero vantaggio competitivo, ma si risponde a qualcuno che non esiste, a qualcosa che non c'è, con tutte le ovvie conseguenze che impietosamente i dati dell'ISTAT mettono in evidenza. Occorre ripartire da una visione veramente sussidiaria e solidale della comunità, che si poggia sul desiderio della persona di realizzare la propria vita, che scommette sulla libertà, che si fonda sulla partecipazione di persone libere alla vita sociale, economica politica, una visione in cui le persone non sono sudditi da tener a bada con qualche briciola, ma sono protagoniste.

Non si parte da un anno zero, ci sono tantissime iniziative che giorno dopo giorno, magari senza tanto clamore, si fanno prossime e cercano di accompagnare in questo percorso di riscatto. Tra queste c'è Pronto Lavoro, un progetto portato avanti dal Mcl, in particolare dai giovani, che ha lo scopo di sostenere le persone, soprattutto i giovani, che trovano difficoltà nel ricerca del lavoro e che sono ai margini. Occorre, così, valorizzare tutte queste iniziative, e invece di mortificarle, come tanto spesso avviene, di coinvolgere e di permettere loro di essere pienamente responsabili. La discussione intorno al reddito di cittadinanza, se è come verrà attuato, dirà molto del tipo di società che vogliamo, perché si tratta di una discussione intorno a chi siamo, prima ancora che su quali strumenti mettere in campo per contrastare la povertà. E a questa discussione nessuno può sottrarsi dal dare il proprio contributo.

Giovanni GUT
 




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