Il premio Nobel Paul Krugman in un libro dal titolo: "Il silenzio dell'economia. Una politica economica per un epoca di aspettative deboli" metteva in guardia dal possibile avvento di un epoca di "aspettative al ribasso" in cui l'unica vera preoccupazione sarebbe stata quella di ridurre il debito pubblico e di mettere sotto controllo l'inflazione. Nella quale nessuno si sarebbe battuto per un incremento dell'occupabilità, per una redistribuzione più equa della ricchezza e per un aumento del reddito reale, il cui livello era fermo da tempo.
Se guardiamo a quanto accaduto negli ultimi dieci anni in Italia ed in molte altre nazioni non possiamo che dar ragione all'economista americano. A rafforzare questi timori è giunta in ultimo l'indagine della Banca d'Italia sui bilanci delle famiglie che presenta le statistiche sui redditi medi delle famiglie italiane nel 2002 e nel 2012.
È ormai un dato di fatto che gli effetti della grande recessione sono stati molto pesanti per i giovani che più degli altri sono rimasti disoccupati e non riescono a trovare una nuova occupazione o che non sono mai entrati nel mercato del lavoro. Ricevendo un salario d’ingresso molto più basso rispetto a quello percepito dai loro genitori. Sui giovani insomma è ricaduto l’intero peso dell’aggiustamento reso necessario dall’apertura dei mercati e dall’impossibilità di ricorrere alle svalutazioni competitive. In altre parole gli sforzi per far fronte alla terza fase della globalizzazione e all’adozione dell'euro li hanno compiuti quasi esclusivamente i giovani. La condizione economico-sociale dei giovani oggi, con una suggestiva metafora, l'ha rappresentata Mons. Fabiano Longoni, Direttore dell'Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, in occasione del suo lucido intervento al XII Congresso nazionale del Mcl celebratosi a Roma dal 21 al 23 marzo scorsi. Essi loro malgrado si trovano ad essere come i "Prigioni", le statue scolpite da Michelangelo per la tomba di Papa Giulio II: sono corpi che sembrano avere vita, senza però riuscire ad emergere dal marmo. Fuor di metafora i giovani non riescono ad emergere nella realtà socio-economica italiana a causa dei troppi vincoli cui sono sottoposti. La politica, secondo Mons. Longoni, dovrebbe assumersi il compito di liberare le forze che ci sono nelle giovani generazioni. Finora però sono stati messi in campo degli interventi che hanno inciso poco.
Cosa si dovrebbe fare? A nostro avviso bisognerebbe spostare almeno un 1% del Pil (17 miliardi di euro), nell'arco di due anni, dai percettori di pensione ai giovani che si affacciano sul mercato del lavoro attraverso una imposta di solidarietà generazionale. A lanciare per primo questa interessante proposta, quasi un anno fa (giugno 2013), è stato il professor Luciano Monti, docente di politica economica presso l'Università Luiss di Roma. Da allora è stato pubblicato anche un libro (Monti L., Teoria e principi di Politica Economica Intergenerazionale. Le basi per un progetto europeo, Luiss University Press, Roma, 2013) e meglio articolata la proposta ("Serve un'imposta di solidarietà generazionale", gennaio 2014 su sbilanciamoci.info). Bisognerebbe introdurre una tassa temporanea (per due anni anche per mettersi al riparo dall'incostituzionalità) sulle pensioni i cui proventi dovrebbero essere utilizzati per finanziare gli interventi necessari al rilancio dell'occupazione giovanile. In questo modo si attiverebbe una sorta di prestito grazie al quale una generazione, forzatamente inoccupata, diventa produttiva e contribuisce ad assicurare la sostenibilità dell'intero sistema previdenziale.
Insomma questo prelievo "forzoso" non rappresenterebbe solo una mera redistribuzione tra giovani e pensionati, ma la condizione necessaria per assicurare sostenibilità al sistema del welfare ed ai futuri interventi di politica economica. Un modo per far crescere la torta da dividere attraverso uno scambio di ingredienti tra generazioni.
Marco Boleo