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19/05/2025
La Macroeconomia di Trump
Nel precedente articolo sulla ‘Trumpeconomia 2.0’ avevo accennato alla teoria macroeconomica errata seguita dal Presidente degli Usa. Ora la vediamo nel dettaglio. La conoscenza di nozioni elementari di macroeconomia consente, infatti,

Nel precedente articolo sulla ‘Trumpeconomia 2.0’ avevo accennato alla teoria macroeconomica errata seguita dal Presidente degli Usa. Ora la vediamo nel dettaglio. La conoscenza di nozioni elementari di
macroeconomia consente, infatti, di capire che la politica economica annunciata e attuata nei primi ‘100 giorni’ dal Presidente Trump non risolve i problemi degli Stati Uniti. A dire il vero sono giunti nel
frattempo anche i dati sulla diminuzione del Pil dello 0.3% a ribadirlo ma di questo per ora non mi occupo. Nella retorica del Tycon, la Trumpeconomia avrebbe dovuto contribuire a sbrogliare il problema dello
squilibrio esterno, ovvero del disavanzo della bilancia dei pagamenti di parte corrente (commerciale). Quest’ultima è in cronico e crescente disavanzo a partire dai primi anni ‘970. Nel 2024 il deficit in questione ha sfiorato 1 trilione di dollari. Coi disavanzi di bilancio (G - T), spesa pubblica meno tasse, che sono stati finanziati da una posizione debitoria netta verso l’estero esplosa a partire dagli anni 2000 da 01 a 24 trilioni di dollari. La macroeconomia elementare ci dice che il disavanzo della bilancia dei pagamenti di parte corrente degli Stati Uniti, come di qualsivoglia altro Paese con caratteristiche strutturali simili, dipende da due fattori di natura basilare: 1) la carente propensione al risparmio; e 2) la scarsa competitività di prezzo delle merci. Riguardo al punto 1) nel caso i consumi siano superiori al reddito, infatti, il risparmio sarà negativo e ci sarà un deficit della bilancia dei pagamenti commerciale (NX < 0). Il che significa che gli investimenti vengono finanziati attraverso risparmi provenienti dall’estero e questo si verifica solo se c’è un disavanzo della bilancia dei pagamenti corrente: importazioni > delle esportazioni. I manuali di macro insegnano che la ricerca dell’equilibrio esterno di qualsivoglia sistema economico senza
pregiudicarne l’equilibrio interno dovrebbe orientarsi alla restrizione fiscale (G - T) < 0, ottenendo la riduzione domanda aggregata (consumi + investimenti) unita al deprezzamento controllato del tasso di cambio. Il Presidente Trump, invece, ha escluso di intraprendere questo percorso verso l’aggiustamento dei conti con l’estero. Decidendo di utilizzare gli strumenti dell’autarchia e del protezionismo di stampo peronista. Nel primo caso mettendo in campo trasferimenti pubblici e detassazione in favore delle imprese nazionali anche se inefficienti per aumentare artificialmente la loro competitività. Nel secondo, invece, servendosi di dazi doganali e di divieti di importazione imposti alle merci straniere: cinesi ed europee in particolare. Misure che sono inefficaci nel riequilibrare i conti con l’estero senza l’adozione di cambiamenti macroeconomici strutturali. Trump dichiara di voler porre fine alle guerre calde, ma ignora la lezione impartita tra gli altri nel 1945 dall’economista Albert O. Hirschman in un suo celebre libro: ‘The postwar economic order. National reconstruction and international cooperation’. Un potente antidoto ai conflitti è costituito dal commercio internazionale, che porta benefici a tutte le nazioni e le allontana dalla guerra. Il
ricorso al protezionismo e all’autarchia, invece, è un segno evidente di debolezza economica in questo caso degli Usa. Insomma oltre a frammentare il commercio internazionale peggiorerà la condizione
dell’economia americana e gli ultimi dati diffusi lo testimoniano. Il Nobel 1999 dell’Economia Robert Mundell nel 1962, padre della Macroeconomia Internazionale, era stato chiaro: “l’impiego della politica monetaria dovrebbe essere riservato al perseguimento di quel livello della bilancia dei pagamenti ritenuto ottimale, mentre la politica fiscale dovrebbe essere rivolta al mantenimento della stabilità interna”. Gli Stati Uniti, indipendentemente dai pensieri e dai voleri di Trump, se vogliono mantenere il pieno impiego delle risorse e riequilibrare i conti con l’estero, devono diminuire il tasso di interesse lasciando deprezzare il tasso di cambio per riequilibrare le partite correnti e fare una restrizione fiscale (riduzione della necessità con l’afflusso di capitali di finanziare il deficit di bilancio) per mantenere la piena occupazione. Ogni altra misura, in particolare le tariffe, è completamente inutile e soprattutto dannosa per gli Usa e per gli altri paesi.




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