I tratti salienti del Rapporto Draghi
A cura della redazione di Eupop
Questa settimana in Europa in molti stanno discutendo di un importante Rapporto sulla competitività pubblicato col coordinamento di Mario Draghi, il leggendario ex Presidente della Banca Centrale Europea e Primo Ministro italiano. Qualche anticipazione l’avevamo già data anche su questo blog. I rapporti: - Parte A con lo schema di riferimento e - Parte B con gli argomenti settoriali più tecnici - sono una lettura affascinante, densa ed imprenscindibile. È un documento completo sia nel contenuto che dal punto di vista editoriale. La sua ampiezza non si limita, infatti, solo ai contenuti, ma si distingue anche per la chiarezza espositiva: insomma sia per com’è scritto che per le spiegazioni grafiche che aiutano a rendere più chiaro il contenuto. Il suo messaggio di fondo è che l’Europa deve adeguarsi, deve investire su nuove tecnologie, sulla decarbonizzazione e su nuovi equilibri geopolitici. Detto in altre parole va conseguita un’indipendenza energetica e militare. In soldoni servono interventi pubblici che facciano da volano a quelli privati. Il problema che il rapporto affronta è che: "... la crescita economica dell'Unione Europea (UE) è stata costantemente più lenta rispetto a quella degli Stati Uniti negli ultimi due decenni, mentre la Cina ha rapidamente recuperato terreno. Il divario UE-USA nel livello del Pil a prezzi del 2015 si è gradualmente ampliato da poco più del 15% nel 2002 al 30% nel 2023, mentre sulla base della parità del potere d'acquisto (PPA), un tasso di cambio unico di riferimento, è emerso un divario del 12%. La divergenza si è ampliata meno su base pro-capite poiché gli Stati Uniti hanno vissuto una crescita demografica più rapida, ma è comunque significativo: in termini della PPA, è aumentato dal 31% nel 2002 al 34% di oggi." La produzione complessiva dipende da molte variabili, tra cui la dimensione complessiva della forza lavoro e la quantità di ore lavorate dalle persone. L'Europa ha una crescita demografica più lenta e gli europei lavorano meno ore degli americani, ma ciò che preoccupa Draghi e il suo team è il fatto che "circa il 70% del divario nel Pil pro-capite con gli Stati Uniti a parità del potere d'acquisto è spiegato dalla minore produttività nell'UE. Una crescita della produttività più lenta è stata a sua volta associata a una crescita del reddito più lenta e ad una domanda interna più debole in Europa: su base pro-capite, il reddito disponibile reale è cresciuto quasi il doppio negli Stati Uniti rispetto all'UE a partire dal 2000". Il divario tra la produttività del lavoro europea e quella statunitense non è un fenomeno nuovo. La divergenza era già evidente alla fine del XIX secolo. Si è ampliato al massimo negli anni '940. La notevole crescita dell'Europa dopo il 1945 ha contribuito a ridurre il divario a un minimo del 90 percento nel 2000. La cosa preoccupante è che tra il 2000 e il 2010 il divario si è nuovamente ampliato al 20 percento e da allora non c'è stata alcuna riconvergenza. Da una lettura in diagonale del Rapporto che consiste nel leggere coscienziosamente la prima riga di un paragrafo e, senza concentrarsi su nessuna parola in particolare, guardare dal lato sinistro in diagonale verso l’angolo destro, non si resta convinti che Draghi affronti davvero la questione storica della tempistica di questo schema: ovvero convergenza 1945-2000, divergenza 2000-2010 e sviluppo parallelo dal 2010. Cosa è successo negli anni 2000 e come si sta ora livellando l'Europa? Ma, tralasciando queste spinose questioni, il rapporto Draghi offre molto materiale per spiegare il fatto che la produttività europea è più bassa e non sta tornando a convergere con quella degli Stati Uniti. Quando cerchiamo di spiegare la produttività del lavoro, un posto ovvio in cui guardare sono gli investimenti. I lavoratori dotati di più capitale tendono a essere più produttivi. Il rapporto Draghi fornisce dati sorprendenti su come gli investimenti come quota del Pil in Europa siano diminuiti negli ultimi cinquant'anni. Ciò è molto sorprendente e dipinge chiaramente un quadro desolante per l'UE. Sembrerebbe suggerire che dovremmo aspettarci un'ulteriore divergenza UE-USA negli anni a venire, deteriorando ulteriormente lo status quo che si è stabilizzato dal 2010. L'UE può evitare un futuro oscuro di ulteriore divergenza? Data la ferocia della competizione tra Stati Uniti e Cina e le questioni evidenziate nei report settoriali, nulla può essere promesso con certezza. Ma il rapporto Draghi evidenzia alcune vie ovvie attraverso cui l'Europa potrebbe cercare di contrastare le pressioni che determinano un'ulteriore divergenza. Come evidenzia il rapporto Draghi, esiste una forte e chiara correlazione tra tenore di vita, innovazione, intensità di spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S) e produttività del lavoro. Come tradurre questo in un grande balzo in avanti nella produttività dell'UE? Un punto sollevato dal rapporto Draghi è quello di evidenziare il fatto che la spesa dell'UE a sostegno della R&S è dispersa piuttosto che concentrata come negli Stati Uniti. La sfida fondamentale per l'Europa è quella di combinare la sua forte posizione nella ricerca di base con un'ondata di investimenti. Ed è qui che il rapporto Draghi diventa veramente radicale. Ecco il paragrafo che definisce il messaggio di fondo del Rapporto: “Queste esigenze di investimento sono enormi e senza precedenti da una prospettiva storica. Le esigenze di investimento di 750-800 miliardi di euro (annuali) per l'UE corrispondono al 4,4%-4,7% del Pil dell'UE (al livello del 2023). Per fare un paragone, gli investimenti nell'ambito del Piano Marshall dal 1948 al 1952 ammontavano all'1%-2% del Pil. Per realizzare un aumento così massiccio degli investimenti nell'UE, la quota del Pil dovrebbe passare dall'attuale valore del 22% a circa il 27%, invertendo un declino pluridecennale nella maggior parte delle grandi economie dell'UE. L'Europa non ha avuto tassi di investimento simili dal dopoguerra, quando forti investimenti privati hanno portato a una rinnovata base di capitale, in un periodo in cui gli investimenti pubblici e la spesa sociale erano notevolmente inferiori.” Come realizzare questo balzo in avanti dovrebbe essere la preoccupazione assillante della politica europea sia a Bruxelles che a livello nazionale. Ma c’è già chi si è opposto al prestito comune europeo attraverso il quale si dovrebbero reperire le risorse finanziarie per realizzare l’aumento della spesa per gli investimenti. Dicendo che c’è un problema di spesa dovuto alla burocrazia e non a mancanza di risorse. Quello che si rischia alla fine è un compromesso al ribasso col quale verranno implementate le proposte secondarie del rapporto e non quelle imprescindibili.