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30/09/2022
I problemi fiscali nel Regno Unito
Vista la gravità della situazione, il FMI ha lanciato un attacco pungente al piano del Regno Unito di attuare 45 miliardi di sterline di tagli fiscali finanziati in deficit.

Quanto sta accadendo nel Regno Unito da un certo punto di vista è un monito importante per il nuovo governo di centrodestra che sta per nascere in Italia, che deve togliersi subito dalla testa le fantasie sovraniste mostrate durante la campagna elettorale, dell’introduzione di una flat tax finanziata in deficit, oppure di una Italexit in salsa Belpaese ancora nella testa di molti elettori, se non vorrà vedere una reazione dei mercati ancora più aggressiva di quella che è stata riservata al Regno Unito. Ma come? Il Regno Unito dopo la Brexit non si trova nel migliore dei mondi possibili, nel quale si possono utilizzare a piacimento le politiche monetarie e fiscali e fare della sterlina quello che si vuole non avendo la Bce, la Commissione Europea ed i paesi frugali a mettere i bastoni tra le ruote. No. Il Regno Unito malgrado la possibilità di avere una autonomia nella politica economica deve stare attento a come si muove. Ma cosa sta accadendo? A seguito della presentazione del mini-budget da 65 miliardi di sterline, finanziato con uno scostamento di bilancio, da parte del Cancelliere dello scacchiere Kwasi Kwarteng in cui sono compresi corposi tagli delle tasse per rilanciare la crescita e bonus per aiutare le famiglie e le imprese a far fronte al rincaro della bolletta energetica vi è stato il crollo della quotazione della sterlina, un aumento dei costi finanziari ed il timore di una crisi valutaria. Ora c’è da chiedersi se una nazione con un tasso di cambio flessibile possa avere una crisi valutaria ed in caso affermativo quali sono i canali che potrebbero alimentarla.

Nel caso del Regno Unito e di tutte le altre piccole economie aperte sono due: la situazione patrimoniale e la politica fiscale che viene attuata. Nel caso una nazione abbia ingenti passività esterne denominate in valuta estera, infatti, un deprezzamento della valuta nazionale (in questo caso la sterlina)  comporta un trasferimento di reddito a favore degli stranieri facendo aumentare il valore del debito estero netto espresso in valuta nazionale. Il che  peggiora i bilanci, creando una spirale di svalutazione che mostra una dinamica propria. Ma questo non sembra essere il caso del Regno Unito. L'altro canale  che può portare ad una crisi valutaria dipende dalla politica fiscale attuata dal Governo. Nel caso quest’ultimo attui una politica fiscale incompatibile con la stabilità del tasso di cambio di lungo periodo potrebbe indurre i mercati finanziari a credere che il Governo non possa o non intenda onorare il debito pubblico e quindi la Banca d’Inghilterra sarà costretta a monetizzarlo per consentirgli di continuare a finanziare i disavanzi di bilancio. La conseguente perdita delle riserve estere innesca le aspettative dei mercati che tengono in considerazione tali politiche, i tassi d’interesse aumentano e la crisi valutaria si autorealizza. Anche se tali crisi sono dette autorealizzantesi, in ultima analisi è sempre il governo che ne è responsabile, perché crea e tollera debolezze economiche interne che offrono su un piatto d’argento l’attacco speculativo al tasso di cambio. E noi ne sappiamo qualcosa con quello che accadde nel 1992 (uniti nel destino alla stessa sterlina ed alla corona svedese).

Ma i bene informati ci ricordano che la Banca d'Inghilterra è indipendente e difficilmente monetizzerà il debito in modo permanente anche se molte volte ha inizialmente monetizzato il deficit su richiesta del Tesoro. E allora cos’è che ha causato la caduta della sterlina? Il problema non è che il pacchetto di stimolo varato dal Cancelliere Kwasi Kwarteng sia di per sé inflazionistico, ma che, in questo momento, non ha una logica. E in una piccola economia aperta come quella del Regno Unito ciò comporta un premio di rischio più ampio sulle sue attività finanziarie: valuta in calo, rendimenti in rialzo. Il meccanismo è la spiacevole aritmetica monetarista di Thomas Sargent e Neil Wallace teorizzata nel 1981 prendendo spunto dalle politiche monetarie e fiscali dicotomiche praticate dall’Amministrazione Reagan. Lo stimolo del Tesoro del Regno Unito non coordinato con l’autorità monetaria fa sì che la BoE aumenti ulteriormente i tassi. Il Governo risponde all'aumento dei costi del servizio del debito che ne derivano con deficit ancora maggiori ma in questo modo la politica monetaria restrittiva perde di efficacia contro l'inflazione. Molte persone pensano che la politica monetaria e quella fiscale siano completamente separabili ma in realtà non lo sono. Tra loro, infatti, c’è un intreccio tramite i costi del servizio del debito del governo. In altre parole la politica monetaria di una Banca Centrale funziona solo se l'autorità fiscale (Il Tesoro) promette credibilmente di non consentire al debito di aumentare senza limiti.

Ricapitolando. Una forte tendenza all'aumento dei tassi d’interesse a lungo termine e la valuta che scende è un segno distintivo di situazioni in cui le autorità monetarie e fiscali hanno perso la credibilità nei confronti dei mercati. Ed è quanto sta accadendo attualmente in Inghilterra. Il FMI vista la gravità della situazione ha lanciato un attacco pungente al piano del Regno Unito di attuare 45 miliardi di sterline di tagli fiscali finanziati in deficit, esortando il governo a ‘riesaminare’ il piano e avvertendo che il pacchetto ‘non mirato’ minaccia di alimentare una inflazione fuori controllo. L’Istituzione sovranazionale di Washington ha affermato che stava ‘monitorando da vicino’ gli sviluppi nel Regno Unito ed è stato ‘impegnato con le autorità’ dopo che il cancelliere Kwasi Kwarteng aveva annunciato i tagli alle tasse la scorsa settimana, provocando un crollo nel valore della sterlina e un aumento dei costi finanziari del paese. ‘Date le elevate pressioni inflazionistiche in molti paesi, incluso il Regno Unito, non raccomandiamo pacchetti fiscali grandi e non mirati in questo momento’. ‘È importante che la politica fiscale non funzioni in modo trasversale alla politica monetaria’. Più chiaro di così! Gli inglesi non hanno una Commissione Europea o una Bce che gli detta le linee guida sul da farsi ed allora ha dovuto spiegarglielo il FMI. Va ricordato ai sovranisti che la riconquistata sovranità consente dei margini di manovra ma che i costi derivanti dalle proprie scelte di policy bisogna pagarseli da soli.

Nel frattempo mercoledì 28 settembre la Bank of England è intervenuta sul mercato secondario acquistando 5 miliardi di sterline di Titoli di Stato inglesi (5 miliardi al giorno per i prossimi 13 giorni feriali per un totale di 65 mld) per impedire che la perdita di prezzo costringa i fondi pensione a vendere massivamente le posizioni innescando una spirale verso il basso. Se non ci fosse stato alcun intervento, i rendimenti dei Titoli sarebbero potuti salire fino al 7-8% dal 4,5% e in quella situazione circa il 90% dei fondi pensione del Regno Unito avrebbe esaurito le garanzie. Ma perché i Gilts (si chiamano così i Bot e BTP inglesi) perdono prezzo? Beh, fondamentalmente perché la Federal Reserve e la BCE (ma il fenomeno è meno rilevante) continua ad alzare i tassi e attrarre capitali verso investimenti denominati in dollari, abbandonando i titoli inglesi. La stessa cosa sta succedendo a molti paesi emergenti e proprio qui sta il bello: il Regno Unito ormai si comporta come un paese emergente, ovvero un paese il cui equilibrio finanziario dipende direttamente e immediatamente dagli investimenti esteri che vanno e vengono a seconda delle condizioni monetarie e finanziarie che trovano. Un grosso Burkina Faso, insomma. Ecco, ora provate a immaginare cosa sarebbe successo ai titoli del Belpaese se non fossimo protetti dallo scudo dell’euro.

 Marco Boleo




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