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09/05/2022
L’originalità del pensiero e dell’azione politica di Aldo Moro
Basta un rapido soffermarsi sull’attuale temperie internazionale per comprendere quanto indispensabile sia riandare alla sua lezione.

La democrazia integrale a fondamento della sovranità dello Stato quale custode delle condizioni di piena espressione della libertà dei corpi intermedi e la sovranità piena, in un contesto planetario multipolare che tende alla costruzione della pace, come qualità della democrazia. L’originalità del pensiero e dell’azione politici di Aldo Moro, padre costituente e artefice del popolarismo cattolico come creatore di storia, sta dentro la convergenza ideale e operativa di queste due consapevolezze. Una convergenza che si “apre all’oltre” nella sua peculiare capacità di coniugare la vision di politica interna con la mission in politica estera, pensando nei tempi del “mondo cristallizzato negli equilibri di Jalta” tanto la “democrazia dell’alternanza” quanto quella che papa Francesco chiama “la globalizzazione del poliedro”. Nel quarantaquattresimo anniversario del suo martirio, in un momento storico che ci pone di fronte alla dimensione profetica del suo magistero, quindi, oggi come non mai, occorre liberare la memoria dello statista pugliese dalla reclusione storiografica nei soli 55 giorni della sua prigionia nel covo delle Brigate Rosse. Un’esigenza che autorevoli voci hanno periodicamente riproposto e che oggi è davvero indispensabile.

 

Il soft power dell’Italia euromediterranea

“Contiamo nel mondo e non tanto come potenza o potenza militare, ma come un Paese di grande tradizione e cultura e di straordinario sviluppo economico e sociale. E se l’Italia, superando talune interne debolezze e incertezze, svilupperà ancora di più, secondo il suo genio, la sua capacità creativa, la politica estera del Paese conseguirà altri successi, significherà una presenza più incisiva, opererà con crescente influenza nella storia del mondo. Non tutto dunque dipende da chi immagina e realizza la politica internazionale dell’Italia, ma molto risulta da quel che il Paese è nel suo insieme”. Questo passaggio del Discorso di replica a conclusione del dibattito sulla politica estera alla Camera dei Deputati, 23 ottobre 1969, ben evidenzia come e quanto avesse presente la potenzialità progressiva, oltre l’appiattimento sullo stato delle cose e le prassi ancillari nel quadro delle alleanze internazionali, di quello che è stato chiamato soft power italiano. Un “potere morbido” da esercitarsi nella realistica sintesi tra atlantismo non ideologicamente occidentalista e un europeismo che non dimentica mai la collocazione mediterranea. Quest’ultimo, ben restituito da una sua celebre espressione: “Nessuno è chiamato a scegliere tra l'essere in Europa ed essere nel Mediterraneo, poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo". Nel suo importante discorso alle Nazioni Unite, 6 ottobre 1971, specificò ancor meglio: “La regola aurea della politica estera di altri tempi voleva che i nemici dei nostri vicini fossero nostri amici. Tale regola è oggi sostituita in misura crescente dal principio: i nostri vicini devono essere nostri amici. Si osserva in effetti, con sempre maggiore frequenza ed in tutti i continenti, il costituirsi di stretti legami di cooperazione e di unione fra popoli vicini. (…) Vorrei qui ricordare le relazioni amichevoli che, con spirito costruttivo, l’Italia intrattiene, senza eccezioni, con tutti i Paesi con cui ha frontiere comuni o che, bagnati dal Mediterraneo, partecipano di uno stesso patrimonio di storia, di cultura e di interessi”. Basta un rapido soffermarsi sull’attuale temperie internazionale per comprendere quanto indispensabile sia riandare alla sua lezione.

 

Oltre lo stato di necessità

La medesima forza (auto)critica e tensione a un compimento della democrazia, secondo le stesse linee ideali e una capacità di mutuo riconoscimento come sfida della/nella maturazione, Aldo Moro la applicava alle vicende interne. Anche qui traguardando a una piena sovranità. Illuminante è un passaggio, spesso strumentalizzato negli anni della mai veramente nata Seconda Repubblica, della sua ultima intervista rilasciata a Eugenio Scalfari e pubblicata postuma, nell’ottobre 1978, su “La Repubblica”. Il professore che si è sempre interpretato come “in prestito alla politica”, ma non per questo incline al riduzionismo della dimensione politica, vi evidenziava come “Non è affatto un bene che il mio partito sia il pilastro essenziale di sostegno della democrazia italiana. Noi governiamo da trent’anni questo Paese. Lo governiamo in stato di necessità, perché non c’è mai stata la possibilità reale di ricambio che non sconvolgesse gli assetti istituzionali ed internazionali. Quando noi parliamo di “spirito di servizio” so bene che molti dei nostri avversari non ci prendono sul serio. Pensano che sia una scusa comoda per non cedere nemmeno un grammo di potere che abbiamo. So anche che per molti del mio partito questo stato di necessità è diventato un alibi alla pigrizia e qualche volta all’uso personale del potere. Sono fenomeni gravi ma marginali. Resta il fatto che la nostra democrazia è zoppa fino a quando lo stato di necessità durerà. Fino a quando la Democrazia cristiana sarà inchiodata al suo ruolo di unico partito di governo”. Bene farebbero a ripensare queste parole gli interpreti di una via italiana all’europopolarismo come mero concorso a rettivi argini frontisti rispetto a forze della cui maturazione non ci si sente meramente responsabili.

 

Tessere la tela del futuro, l’orizzonte del “bene comune”

La Weltanschauung morotea, che consegna un compito a tutti quanti non abbiano ceduto all’archiviazione del primato della politica, ben è riassunta in un passo di un suo editoriale scritto per “Il Giorno” alla vigilia della Pasqua 1977: “Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino; ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile, nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo. La pace civile corrisponde puntualmente a questa grande vicenda del libero progresso umano, nella quale rispetto e riconoscimento emergono spontanei, mentre si lavora, ciascuno a proprio modo, a escludere cose mediocri per fare posto a cose grandi”. Fare posto a cose grandi, liberando Aldo Moro dalla memoria cronachistica del sequestro e della sua barbara uccisione, passa dal recuperarne la lezione e la sua evidente attualità.

 

Marco Margrita




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