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12/07/2021
Dentro e oltre la legge Zan
Il senso di questa vicenda non si risolve nel solo vantaggio derivante da un esito parlamentare

Mentre si avvicina l’inizio di quella che viene definita la “roulette russa”, cioè il probabile voto segreto per l’approvazione in Senato della legge Zan, è importante cercare di valutare, per chi si ispira al cattolicesimo sociale, il senso che tutta la vicenda va assumendo.

Si tratta di un tema che non può che interessare tutti i cattolici. Mai come in questa giorni di contrasto su principi decisivi, è apparsa del tutto inadeguata quella surrettizia divisione tra “cattolici del sociale” e “cattolici dell’etica” che tende, invero, ad annullare l’intrinseca correlazione tra i due aspetti, uniti nei contenuti della Dottrina sociale della Chiesa. In questo dualismo c’è la presunzione di ridurre il momento spirituale all’intimo della coscienza e l’aspetto temporale ai soli canoni del sociologismo.

Tranne qualche voce isolata, tutta la Chiesa ha assunto, pur nei differenti ruoli, un atteggiamento analogo. Si è dato ampio risalto alla nota verbale della Santa Sede che, a suo tempo, come ha scritto il teologo Giuseppe Lorizio, ha segnalato “al Governo italiano le lesioni che alcune norme previste dal cosiddetto ddl Zan minacciano di portare alle libertà che l’Italia, con i patti conosciuti come Concordato, assicura anche alla Chiesa”. Tale passo ha posto argomenti che la Cei aveva in precedenza già indicato, sia  con la nota del 10 giugno del 2020 con la quale si osservava come in tema di omofobia non serviva una legge che rischiava di colpire il diritto a esprimere libere opinioni, sia con la presa di posizione della Presidenza del 28 aprile di quest’anno che rilevava  come “una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve  perseguire l’obiettivo  con l’intolleranza , mettendo in questione la realtà della differenza fra uomo e donna”.

L’aver sollevato soprattutto il tema della libertà d’opinione da parte della Chiesa significa porre una questione che va oltre la difesa di principi specifici inerenti la fede, ma riguarda elementi essenziali dell’ordine civile. I cattolici sono oggi di fronte ad una società complessa, non hanno più un partito di riferimento come al tempo della DC e a maggior ragione possono esprimersi ed intervenire sulla condizione della società. Siamo andati oltre la società secolarizzata e, come ha recentemente affermato Papa Francesco, le diseguaglianze e le povertà possono mettere in crisi la democrazia. E perché tacere se vi siano rischi di privazione della libertà di espressione? Queste preoccupazioni sono state raccolte da autorevoli giuristi da Cesare Mirabelli a Natalino Irti, fino a Carlo Cardia che è stato membro della commissione paritetica sulla revisione del Concordato.

Importante e significativa la presa di posizione di 70 associazioni (tra le quali anche il Movimento Cristiano Lavoratori) con un appello ai senatori e la richiesta di un incontro con i capi gruppo del Senato che ha denunciato i “sette punti illiberali” contenuti nel disegno di legge. Ma nessun segnale è giunto dal partito del primo firmatario della legge. La logica di partito che aveva condizionato, nell’interesse della stabilità politica, con l’esclusione di Fanfani, la voce dei cattolici democristiani ai tempi delle leggi sul divorzio e sull’aborto, si ripresenta oggi sotto la forma del silenzio degli ex DC dentro la sinistra, forse in vista della elezione del Capo dello Stato ed è significativo che Stefano Fassina (“il gender va tolto dal testo”) mostri più coraggio di Franceschini. Con l’aggravante che siamo di fronte ad un tema di eticità democratica.

Sulla questione posta dalla Chiesa e dai cattolici ci si sarebbe aspettati una apertura al confronto ed una disponibilità ad un accordo che, intervenendo sul testo, sanasse queste fondate preoccupazioni. E’ significativo di uno scenario politico che presenta novità, la disponibilità della Lega ad una mediazione e la contrapposta indisponibilità del PD.

La posizione più intransigente al suo interno l’ha assunta proprio il segretario Enrico Letta. Qualcuno, non senza ragione, ha ricordato quanto diversi fossero l’atteggiamento ed il coraggio di Togliatti - sempre rimproverato dai radicali - nell’accettare i Patti del Laterano nella Costituzione. Superficiale è il giudizio che valuta quella storica decisione come dettata da opportunismo politico. Nel diniego del neosegretario, invece, c’è, con tutta probabilità, la decisione di aderire al vento nuovo dei diritti e del relativismo etico, il solo ambito nel quale sembra muoversi a suo agio. Una linea che non ha un retroterra storico e culturale se non quella che Augsto Del Noce indicava come la “totale… avversione di Gramsci alla religione cattolica”, rilevando a tal proposito come “la categoria prima del suo pensiero è infatti quella della modernità, come esclusione del richiamo a qualsiasi realtà trascendente”. Potrebbe non essere casuale che proprio in questi giorni Enrico Letta abbia reso noto la sua lontana parentela con l’intellettuale torinese.

L’esito di questo scontro, salvo improbabili ripensamenti dell’ultimo minuto, può rappresentare una momentanea vittoria politica dell’uno o dell’altro “fronte”.

Il senso di questa vicenda, tuttavia, non si risolve nel solo vantaggio derivante da un esito parlamentare. E’ paradossale, come ha osservato Alessandro De Angelis di Huffpost, che alla richiesta di dialogo “le barricate le abbia erette un segretario cattolico”. Beppe Fioroni ricorda che il PD nacque “come partito di centrosinistra per unire quelle culture che il Novecento aveva diviso”. Nostalgia dossettiana. Ma il tempo ha messo da parte l’influente pensiero del “monaco principe”. Al suo posto ci sono gli influencer. Ma all’orizzonte si profila un’altra partita.

Pietro Giubilo




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