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14/04/2021
La riforma fiscale in Italia
dopo quasi cinquant’anni serve una riforma strutturale

Dopo le dichiarazioni di Mario Draghi contenute nel suo discorso programmatico al Parlamento, per la riforma fiscale si potevano percorrere due strade: 1) l’istituzione di una commissione di esperti come era nelle intenzioni del Premier; 2) lasciare al parlamento l’elaborazione delle ipotesi di riforma. Alla fine si è scelta la seconda strada. Una decisione saggia visto il lavoro svolto fin qui dalle Commissioni Finanze dei due rami del parlamento e di cui vi daremo un rapido resoconto. L’Italia com’è noto è un Paese che per fare una riforma fiscale si prende molto tempo. Da quella del Ministro delle Finanze, Quintino Sella, dopo l’Unità d’Italia (necessaria ad incrementare le entrate per ripianare i debiti contratti dalle singole entità che formarono l’Italia) che è stata in vigore fino agli anni ‘70 del secolo scorso, si è iniziato a ragionare ad una nuova riforma con l’insediamento della Commissione Cosciani (Cesare) nel 1962, che ha visto i suoi frutti nel 1974.

Ora dopo quasi cinquant’anni serve una riforma strutturale. Per ragionare su cosa cambiare del sistema fiscale in essere, però, occorrerebbe innanzitutto mettersi d’accordo sugli obiettivi che un siffatto sistema dovrebbe conseguire. Per alcuni, infatti, la tassazione dovrebbe preoccuparsi di una distribuzione più equa possibile del Pil prodotto. Mentre per altri dovrebbe favorire la crescita dello stesso Pil. Chi ha ragione? Le statistiche ci dicono che il sistema di tassazione in essere nel nostro Paese con la sua progressività è abbastanza equo visto che contribuisce a ridurre l’indice del Gini - con cui si misura la diseguaglianza della distribuzione dei redditi - di ben quattro punti passando dai redditi di mercato a quelli disponibili dopo la tassazione. Quello che manca, invece, è la redistribuzione sul lato della spesa pubblica. Le proposte di riforma discusse nelle audizioni di fronte alle Commissioni di Camera e Senato contemplano per correggere questa stortura l’introduzione dell’assegno unico. Quest’ultimo dovrebbe essere il ‘deus ex machina’ per innescare di fatto la riforma fiscale, offrendo due indicazioni di metodo e di merito: la semplificazione, ed una possibile divisione dei compiti fra i meccanismi di spesa, a cui spetterebbe la redistribuzione, e la fiscalità, che dovrebbe concentrarsi sulla crescita del Pil (della torta). In altre parole, in questo schema la redistribuzione non sarebbe ottenuta solo sul lato delle entrate fiscali, come avviene attualmente, ma anche sul lato della spesa pubblica; col vantaggio di potersi basare sul nucleo familiare e sulla situazione patrimoniale e non solo reddituale.

L’introduzione del l’assegno unico punta a contrastare tre fenomeni negativi: I) la denatalità che porta ad un invecchiamento della popolazione; II) l’iniquità nel trattamento dei figli a seconda della tipologia di lavoro svolta dai genitori (i figli dei lavoratori autonomi e di quelli che hanno basse retribuzioni non ricevono alcun sostegno) e III) la complessità visto che gli strumenti di supporto alla famiglia col sistema attuale sono molteplici, disomogenei e complessi.

Quello che serve attualmente all’Italia è un cambio di passo dal lato della crescita economica. Usciremo dalla pandemia con elevati livelli di debito pubblico che dovranno essere resi sostenibili attraverso la crescita economica. Da vent’anni l’Italia cresce di un punto percentuale in meno rispetto agli altri Paesi europei. Alla luce della situazione attuale non possiamo più permettercelo. Bisogna indirizzare la riforma fiscale verso la crescita. Riducendo la fiscalità sul fattore capitale e su quello lavoro. Attirando investimenti esteri ed aumentando il tasso di partecipazione al mercato del lavoro, specialmente da parte delle donne che è di tredici punti percentuali più basso rispetto alla media europea. Il problema però è che la legge di Bilancio 2021 ha destinato una cifra modesta per la riforma fiscale: tra i due ed i tre miliardi di euro. Pertanto in alcune audizioni si è indicato come finanziamento della riduzione della tassazione sul lavoro e sul capitale, la lotta all’evasione fiscale (finora eroica), l’aumento delle imposte sui consumi e di quelle sui patrimoni, seguendo indicazioni che provengono da tempo dalla Commissione europea, dall’Ocse e dal FMI.

Marco Boleo




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