C’era il IV Governo De Gasperi (31.05.1947 - 23.05.1948), con la coalizione politica: DC - PLI - PSLI - PRI. Le elezioni del 18 aprile 1948 costituirono un banco di prova per quei partiti che avevano la possibilità di diversificare la propria efficienza organizzativa e soprattutto di misurare il consenso in termini di voti.
Il risultato elettorale consegnò alla DC, con la vittoria, anche la guida del Paese, e ne confermò la sua natura di partito di massa, messa indubbio dai socialcomunisti che avevano sottovalutato la presa della DC sull'elettorato. Ogni associazione legata al partito cattolico da un rapporto di 'collateralismo' mobilitò i propri iscritti per rafforzarne il consenso elettorale e anche per misurare le proprie capacità attraverso il numero di preferenze accordate ai propri candidati inseriti nelle liste del partito. L'Associazione dei Lavoratori e l’Azione Cattolica, da questo punto di vista, ebbero sempre un riscontro positivo: i loro candidati risultarono quasi tutti eletti con un buon numero di preferenze sia in occasione delle elezioni politiche e, in seguito, anche delle amministrative. Le politiche del 1948 rappresentarono quindi una sorta di 'prima occasione' per i movimenti ed un banco di prova per l'intera struttura organizzativa, un forte livello centrale sostenuto da un'articolata struttura periferica (circoli, nuclei aziendali).
Tutti gli iscritti dell'Azione Cattolica Italiana, erano circa un milione, tutti quelli della Democrazia Cristiana e tanti simpatizzanti di matrice culturale laica, si adoperarono in campo aperto per la conquista del voto in favore della DC di De Gasperi e dei partiti democratici di stampo occidentale. Ogni particella della penisola fu toccata dalla propaganda, dai comizi, dai manifesti, dai giornali parlanti, dai partiti fra loro in competizione. Gli attivisti comunisti del Fronte Popolare e alcuni ex partigiani con la testa colma di idee rivoluzionarie non tolleravano la presenza degli oratori e gli attacchi degli avversari. Molte piazze della nostra regione, l'Emilia-Romagna, erano proibite agli oratori democristiani e socialdemocratici e le risse e le discussioni erano un fatto quotidiano. Per fermare e immobilizzare le folle nelle piazze o nei crocicchi delle strade, gli oratori dovevano essere bravi ragionatori e possedere l'arte oratoria insieme ad un timbro di voce stentoreo e una buona mimica. Solo così si era graditi alla gente. Chi attaccava la propria buona dose di manifesti produceva pure la colla con la farina, prima che fosse scoperta quella di pesce, e come scoiattoli tutti salivano sulle scale per affiggere, nella parte più alta delle facciate delle case, i variopinti manifesti. Più in alto si riusciva a porli, maggiore era la forza con cui il messaggio giungeva ai cittadini. Eravamo avvantaggiati rispetto agli avversari politici perché le nostre scale, provenendo da alcune chiese - servivano per gli addobbi durante le festività religiose - erano più alte, perciò i nostri manifesti erano i più visibili. Allora non c'era la televisione, tanto meno gli spot e i dibattiti televisivi, pertanto i manifesti, se erano indovinati, convincenti e anche un po' graffianti, potevano aumentare di molto i consensi elettorali.
La vittoria della DC con il 48,5% di consensi - e la conquista così della maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati, sul Fronte Popolare, che aveva raggiunto il 31% - rappresentò allora per tutti noi la fine di un incubo e la certezza di poter vivere in uno Stato libero senza la paura di avventure comuniste. Le scene di gioia da parte nostra furono infinite. Molti comunisti si lasciarono invece andare a reazioni isteriche. Si raccontava che alcuni, presi dallo sconforto e dalla rabbia per la sconfitta, all'annuncio definitivo dei risultati elettorali avessero sfasciato i propri apparecchi radio. Comunque l'atmosfera politica di quel periodo rimase tesa ed infuocata al punto che, quando avvenne l'attentato a Palmiro Togliatti - da parte di Antonio Pallante, un giovane squilibrato, quasi davanti al palazzo di Montecitorio - il 14 luglio in Emilia-Romagna ci furono, come in un clima prerivoluzionario, parecchi disordini e sopraffazioni. I giovani, impegnati attivamente pochi mesi prima nella vittoriosa campagna elettorale, sapevano di essere tenuti sotto osservazione da alcuni comunisti duri e convinti ancora di fare la lotta non a degli avversari, ma a dei nemici. Durante lo sciopero generale del 14 luglio decisero per due notti di non dormire a casa loro. Allora nessuno aveva inventato il cosiddetto consociativismo o l'"inciucio". Si dovrebbero leggere, pertanto, con maggiore attenzione storica i fatti e la realtà politica della difficile vita democratica del dopoguerra.
Molti giovani avevano tenuto conto del ruolo decisivo giocato in quella sede dagli uomini della Democrazia Cristiana, dai quali si ebbero anche dei validi supporti con quei pensatori rappresentativi del filone sociale nell'esperienza cattolica democratica, un po' in contrapposizione al filone liberaldemocratico. I maestri erano Maritain, Mounier, Peguy, cioè tutta quella cultura che esprimeva una concezione del sistema democratico in senso personalistico e comunitario. Inoltre, non venne meno un interesse particolare per la dottrina sociale cristiana - dalla «Rerum Novarum» al codice di Malines, dal codice di Camaldoli alle «Idee ricostruttive» della Democrazia Cristiana - e per la sua concreta traduzione operativa da parte degli esponenti del cattolicesimo politico.
Eravamo un popolo di emigranti in cerca di fortuna lungo le vie del mondo e ora siamo diventati la meta degli infelici di tanti angoli della terra, che scappano dalla fame e dalla povertà.
Eravamo un Paese stremato dalla guerra che avevamo perso, e oggi i soldati spesso e volentieri s'imbarcano armati di tutto punto per sovvenire alle popolazioni e nelle situazioni calde del pianeta a cercare di portare un po’ di pace e serenità.
Eravamo una nazione che cercava di diventare più unita e coesa dalle Alpi alla Sicilia, nonostante oggi assistiamo a fermenti di disgregazione e a spinte di frammentazione.
Eravamo una terra ricca di fede e di opere, oggi siamo un Paese fortemente secolarizzato, in cui la fede cattolica fa fatica non solo ad affermarsi ma anche semplicemente ad essere colta e visibile, e le opere che dalla fede nascono vanno riducendosi o cambiano di volto.
Eravamo, forse, l'unica nazione del mondo dove c'era al governo il partito dei cattolici. Oggi quel partito è stato spazzato via, e nella politica i cattolici ricoprono un ruolo minoritario nei numeri e, quel che è peggio, insufficiente nei contenuti.
In conclusione, il 1948 va sempre ricordato come un tempo opportuno per la costruzione del futuro ricco di grandi e nobili aspirazioni da cui trarre auspici per l’onore alla memoria, lo stimolo a vivere nella concretezza del quotidiano con il respiro della libertà, della pace e della giustizia.
Gilberto Minghetti