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12/04/2021
Erdogan e l’Europa a modo suo
Grave l’“incidente” diplomatico, ma ciò che dovrebbe maggiormente preoccupare sono sia la modalità con la quale la Turchia si pone nel quadro geopolitico del Vecchio Continente e nel Mediterraneo sia l’assetto istituzionale dell’Europa

Il grave sgarbo commesso dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan nei confronti della Presidente Ursula von der Leyen ha avuto un grande rilievo sui media. Tuttavia si è molto insistito nell’interpretarlo come “una conferma del maschilismo di ispirazione islamista di Erdogan”. Anche Avvenire ha posto in evidenza tale aspetto, richiamando a conferma, come hanno fatto molti altri, l’annullamento della “firma della Turchia alla Convenzione di Istanbul sui diritti delle donne”, recentemente avvenuta. Sempre sotto il profilo della scarsa signorilità è entrato nel mirino dei media, seppur con minor asprezza, anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, per non aver eccepito la evidente inadeguatezza del protocollo.

Non vi è dubbio che questi elementi abbiano caratterizzato l’“incidente” diplomatico, tuttavia ciò che dovrebbe maggiormente preoccupare, sono sia la modalità con la quale la Turchia si pone di fronte al quadro geopolitico del Vecchio Continente e nel Mediterraneo, sia l’assetto istituzionale dell’Europa, il peso specifico delle sue articolazioni istituzionali e la sua politica estera. 

La “missione” dei due leader europei, appariva, in qualche modo necessaria, seppur minimale, indirizzata a trattare un ulteriore impegno finanziario di Bruxelles verso Ankara per convincere il presidente turco a trattenere nel suo Paese l’ingente numero di profughi in fuga dai territori siriani, anche nella previsione di una ripresa della conflittualità in quell’area, del resto mai spentasi. Tentare di bloccare con i soldi gli effetti negativi di un conflitto, cedendo ad un ricatto del “Sultano”, non è il massimo, ma è un esempio dell’attuale realistico, ma modesto, ruolo della politica estera europea. 

Già questo aspetto mostra le due facce della questione che la rivista Limes ha definito del “Turco alle porte”. In Siria si combatte da anni una guerra causata dalla dittatura di Assad, ma anche dall’azione degli islamisti e dai disegni sauditi, dagli intrighi delle potenze occidentali ed anche dal nuovo spazio della Russia. La Turchia è assai influente in quell’area ed ha approfittato della guerra civile per combattere i Curdi e, più recentemente, per reclutare quelle forze combattenti antigovernative che, organizzate allo scopo, le hanno concesso di mettere piede in Libia a sostegno del Governo di Accordo Nazionale.  A ben vedere - ed è la seconda faccia - in questi giochi la grande assente è l’Europa, nonostante l’enorme influenza di questi eventi sull’assetto geopolitico del Mediterraneo, il “grande lago” di quell’Hearthland nel quale ancora si decidono, in buona parte, le sorti del mondo. I fenomeni emigratori nella rotta dei Balcani, ma non solo, sono in gran parte alimentati da questi conflitti, rispetto ai quali l’Europa si è mostrata assente o protagonista di azzardate iniziative, tragicamente negative nelle conseguenze, come nel caso dell’intervento voluto dalla Francia in Libia nel 2011. Per le quali l’Italia ne sopporta ancora il peso, pur tentando di uscirne fuori.

La Turchia di Erdogan che per anni ci siamo illusi di tenere a bagnomaria, non avviando, nel concreto, la procedura per l’ammissione nell’Unione Europea, si sta ritagliando margini di Influenza sempre maggiori sulla scena internazionale. Per certi aspetti, come ha sottolineato Germano Dottori, professore di studi strategici della Luiss-Guido Carli, essa rappresenta sul piano internazionale “una sfida complessa… ragiona in termini di potenza, piega l’economia alle logiche della geopolitica e non il contrario”; si ipotizza che voglia “destabilizzare l’Alleanza Atlantica e comprometterne la coesione”, ricordando le importanti forniture di sistemi di difesa dalla Russia, fino a tentare nei riguardi della Ue “la disgregazione dello spazio comunitario, previo arresto dello stesso processo di integrazione europea”. Questo espansionismo di Ankara è visto con diffidenza da Washington, senza, tuttavia, una adeguata risposta politica da parte della Ue che appare, in qualche modo, condizionata. 

A voler giudicare, sottilizzando, ma non eccessivamente, sul diverso trattamento nei riguardi del Presidente del Consiglio europeo rispetto alla Presidente della Commissione, il gesto di Erdogan indica un privilegio verso l’organismo intergovernativo, rispetto a quello federale, come a dire che il rapporto preferenziale è nei riguardi delle nazioni e non verso l’Europa integrata.

Del resto anche nella politica balcanica, Ankara tende a concludere le proprie intese con un approccio bilaterale. Lo testimonia il rapporto con la Serbia, uno dei partner più stretti, grazie alle buone relazioni con il Presidente Aleksandar Vucic e gli stessi rapporti politici ed economici con Albania, Bosnia, Kosovo e Macedonia del Nord. Questo spazio di “indipendenza” - rispetto ad un passato che la vedeva alla ricerca di un promozione nei riguardi delle istituzioni transatlantiche e multinazionali - si esprime anche nello sforzo di assicurarsi, come abbiamo già accennato, una certa autonomia nei sistemi di armamento, rispetto alla stessa NATO e con una pur prudente, ma avviata, partnership con Russia ed Iran. 

La vicenda della mancata poltrona, quindi, se non vuole esaurirsi in sterili polemiche da cortile, soffermandosi ad esaltare la mancanza di galateo e l’inadeguato comportamento personale, dovrebbe aprire gli occhi sulla necessità di compiere passi avanti sulla strada della integrazione politica dell’Europa. Sono ormai evidenti i limiti dell’approccio intergovernativo che, purtroppo, è ancora prioritario nelle istituzioni comunitarie; emerge, soprattutto, in modo plastico, la necessità di una politica estera e di difesa comuni (a questo proposito: che fine ha fatto il successore della signora Federica Mogherini?).

Vi è infine da non sottovalutare l’atteggiamento dell’Europa nei riguardi di quello che è stato definito “l’intrinseco autoritarismo dello stato turco” e, più in generale la questione del rispetto dei diritti civili.

Su tali decisive questioni, particolarmente significativa è stata l’espressione usata dal Presidente del consiglio Mario Draghi (“mi è dispiaciuto per l’umiliazione che Von der Leyen ha dovuto subire”, con una frecciata diretta contro “questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono”), confermando quell’aspetto di concretezza, senza condizionamenti, nella postura politica del premier italiano, con la capacità e la forza di non fare sconti a nessuno sull’essenziale tema della democrazia. Mentre alcune “campane” europee hanno tentato di minimizzare lo “sgarbo” avvenuto ad Ankara, una piena condivisione con il premier italiano è stata significativamente espressa dal presidente del Ppe Manfred Weber: “Draghi ha ragione, sotto Erdogan la Turchia si è allontanata dallo stato di diritto, dalla democrazia e dalle libertà fondamentali… non è un Paese libero per tutti i suoi cittadini”.

Non possiamo, poi, non osservare come il rilievo dell’Italia sul carattere non democratico del regime del “sultano”, sia avvenuto contemporaneamente alla nostra iniziativa verso la Libia. La prima uscita di politica estera di Draghi si dipana nei riguardi di un nord Africa che ha visto l’espansione di Ankara. C’è da sperare che sia l’inizio di una nostra rinnovata inclinazione volta ad ottenere una maggiore influenza nell’ex colonia. Potrebbe essere l’avvio di una “missione” da svolgere in un’area teatro di un recente ritrarsi della politica statunitense e di conclamata inadeguatezza europea.

Come dire, Mario Draghi sembra muoversi nella logica del superamento di quello stato di “sospensione nel vuoto” che l’Occidente, nel suo insieme, mostra nella sfera geopolitica europea. E’ il modo con il quale indicare la via ricostruttiva di una Europa, secondo la migliore tradizione storico-politica?

Certamente non come la desidererebbero altri, Erdogan compreso.  

Pietro Giubilo




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