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03/04/2021
Dopo la pandemia: essenzialità del lavoro e delle relazioni
il Cardinale Gualtiero Bassetti ha voluto celebrare il rito del lunedì santo con il Movimento Cristiano Lavoratori

Denso di significato il rito del lunedì santo che il Cardinale Gualtiero Bassetti ha voluto celebrare con il Movimento Cristiano Lavoratori. Un importante segno di attenzione verso questa organizzazione, ma anche l’indicazione della gravità e essenzialità della questione del lavoro, nel pieno della pandemia sulla quale, si auspica, dispieghi i suoi effetti, al più presto, la campagna vaccinale. Parole incisive quelle pronunciate: “La situazione in cui ci troviamo è davvero drammatica, a causa dell’emergenza sanitaria e della crisi del lavoro”. Preoccupazione per la “disoccupazione giovanile”, per “l’allargarsi delle disuguaglianze”, per lo “sviluppo dell’intero sistema nazionale” ed una sintesi efficace: “al popolo non può mancare né l’Eucaristia, né il pane”.

Qualche giorno prima, nella solennità di San Giuseppe, la Commissione  episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, aveva elaborato un documento nel quale, oltre ad evidenziare  “la terribile prova della pandemia [che] ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico”, si  indicava la necessità di attivare, oltre gli interventi di carattere sanitario, “tutte le reti di protezione”: “Il vaccino sociale della pandemia - si leggeva - è rappresentato dalla rete di legami di solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi che realizzano nel concreto il principio di sussidiarietà anche in momenti così difficili”. 

L’interessante documento aggiungeva un elemento di valutazione fondamentale sulla condizione che si è determinata: “La pandemia ci ha permesso di sperimentare quanto siamo tutti legati ed interdipendenti. Siamo chiamati ad impegnarci per il bene comune: esso è indissolubilmente legato con la salvezza, cioè il nostro stesso destino personale”.
Permangono tuttora vaste preoccupazioni circa gli effetti sociali a motivo dell’incremento della quota di popolazione in “povertà assoluta”, più che raddoppiata negli ultimi dieci anni (dal 4,2 per cento nel 2010, al 9,4 nel 2020) e per i contraccolpi psicologici del confinamento (l’Università Cattolica di Roma ha evidenziato come il 38 per cento ha manifestato chiari segni di disagio). Soprattutto, come ha scritto Carla Collicelli su Avvenire dell’11 marzo di quest’anno, c’è un aspetto di assoluto rilievo: “Al di là della necessaria prudenza per quanto riguarda i contatti fisici in una crisi pandemica, non va dimenticato che la vita umana è fatta di relazioni e che le relazioni sono la linfa della crescita, dello sviluppo e dell’equilibrio psico-fisico delle persone e delle comunità, ed hanno bisogno di condivisione, scambio ravvicinato e dialogo profondo”.

Proprio a questo aspetto ha dedicato a gennaio di quest’anno un saggio illuminate (“Dopo la pandemia. Rigenerare la società con le relazioni”) il professor Pierpaolo Donati. “La qualità più bella e unica di ‘essere umani’ nella vita - scrive - è quella di andare incontro all’altro”. Dopo questa affermazione, il libro denuncia un aspetto sfuggito ai media e cioè che “tutte le proposte fatte per superare la pandemia sono state di carattere sanitario ed economico, senza mai chiedersi quali riflessi potevano avere sulle relazioni umane e sociali”. Questa dimenticanza che il professor Donati fa risalire ai limiti della “matrice culturale ereditata dalla modernità”, “ha un fondamento teologico che propone una visione individualistica e soggettivistica dei valori ultimi”. Per tale ragione la pandemia “offre una grande opportunità se la consideriamo come una svolta storica che impone di andare alle radici dei problemi”. Occorrerebbe, però, osserva l’autore “cambiare decisamente strada”: “Il cosiddetto sviluppo sostenibile, l’economia circolare, il Green Deal, la lotta alla povertà e alla disuguaglianza, e così via, suonano come obbiettivi vuoti se non sono sostenuti da una nuova matrice culturale relazionale”, di conseguenza “pensare di raggiungere questi obbiettivi all’interno di un progetto di neomodernizzazione tecnologica (5G, intelligenze artificiali, robotica, ecc.) fa semplicemente sorridere”. “La pandemia - precisa il professore di sociologia che è anche membro della Pontificia Accademia di Scienze Sociali - ha avuto l’effetto di accelerare la digitalizzazione della società”, con “il rischio che la macchina della digitalizzazione delle relazioni prenda il sopravvento sul soggetto umano”, “riducendo la relazione a comunicazione”. Nel lavoro agile, nella didattica a distanza, la relazione ridotta a connessioni digitali perde il suo essenziale carattere educativo, mentre, ridotta a comunicazione, la rende del tutto contingente.

Questo blocco del relazionismo operato dal Covid 19 deve comunque rappresentare una sfida per chiarire quale sarà il destino delle relazioni umane e sociali dopo la pandemia. La prospettiva indicata da Pierpaolo Donati è quella di “avviare un altro modello di sviluppo sociale, in cui la cultura delle relazioni dovrebbe essere oggetto di una premura fondamentale”; occorre una “relazione appropriata”, cioè “una conversione verso l’Altro e verso il mondo”, “maturare una visione trascendente della vita”, andando oltre “il presente” per “guadare più avanti, oltre il piccolo mondo delle cose quotidiane”. Donati conclude specificando che “la matrice teologica cristiana delle origini è l’unica ad essere intrinsecamente e sostanzialmente relazionale”, comportando “una visione della vita in cui la relazione - a partire da quella con Dio - è l’elemento fondamentale che decide del nostro destino”. La modernità ed in particolare l’epidemia, secondo Donati, ha inteso occultare il mistero della relazione, ma “se vogliamo riscoprire tutta la ricchezza della nostra umanità dobbiamo invertire la rotta e comprendere che le relazioni umane e sociali sono invece proprio quelle risorse che, se intese e usate in modo appropriato, ci fanno vivere bene ed essere felici”.

Queste considerazioni di ampio respiro confermano le preoccupazioni, espresse recentemente anche da Aldo Maria Valli, circa i rischi di un approccio che ha caratterizzato un certo atteggiamento da assumere di fronte al Covid 19 e cioè “l’assolutizzazione della Salute come valore  e della scienza come fede”; o verso l’idea che si è diffusa, denunciata da Giorgio Agamden che prospetta la scissione dell’“unità della nostra esperienza vitale, che è sempre inseparabilmente insieme corporea e spirituale, in una entità puramente biologica  da una parte  (la nuda vita) e in una vita affettiva e culturale dall’altra”; o, infine, rispetto alla  riduzione dei rapporti interpersonali nei quali, come ha scritto Giulio Sapelli, “tutte le azioni dovrebbero essere solo economicamente orientate: transazioni inderogabili tra individui, invece che relazioni tra persone”.

La tradizione e l’esperienza odierna del cattolicesimo sociale e la visione operativa degli enti intermedi che vi si ricollegano hanno un ruolo fondamentale nella necessità della ricostruzione del rapporto relazionale, dopo i drammi della pandemia. La difesa del lavoro che Papa Francesco definisce “vocazione dell’uomo” e la valorizzazione del suo carattere per la persona costituiscono la prospettiva che attiene a queste realtà sociali, al solo servizio di una umanità costituita da uomini e donne che adempiono al “compito affidato dal Creatore… per coltivare e custodire la terra e completare in questo modo l’opera della Creazione”.

Pietro Giubilo




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