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22/01/2021
La lezione del congresso dei Cristiano Democratici Uniti
dall’esperienza dei cristiano democratici tedeschi può giungere un importante esempio e la speranza di successo

Buone notizie e motivi di speranza giungono dal recente congresso della CDU non solo per la Germania. In un tempo che vede la vasta crisi della politica e della rappresentanza, il lungo e intenso confronto all’interno di questo partito ha dimostrato che non si è persa l’idea del ruolo e della missione delle forze politiche, come elemento fondamentale di partecipazione, elaborazione di programmi, selezione della classe politica e della stessa governabilità.

Si sono viste, come è giusto che sia, diverse proposte di guida politica, ispirate da tagli culturali che, pur collegati al comune denominatore della ispirazione sociale cristiana, hanno contribuito ad elaborare un piattaforma complessiva vasta e ricca di contenuti. Si sono confrontati Armin Laschet, che poi è risultato eletto presidente, il più vicino alle posizioni di Angela Merkel e che, senza emarginare la fondamentale visione dell’economia sociale di mercato, ha rappresentato la linea più attenta alle influenze liberali.  Ha perso di stretta misura Friedrich Merz, definito “critico del merkelismo” e su “posizioni più conservatrici”, in sostanza più attento agli aspetti sociali in assonanza con l’altro partito “gemello”, la CSU; terzo è finito Norbert Roettgen il più impegnato su innovazione e ambiente, ma, certamente, non secondo una visione progressista, anche perché il filone culturale dell’ambientalismo in Germania non presenta solo le opzioni ideologiche dei “verdi”.

La CDU è l’unica forza politica di centro, robustamente sopravvissuta in Europa alla grande stagione dei partiti democratico cristiani, la cui forza elettorale contribuisce in modo determinante al suo omologo europeo (PPE) essendo ancora la posizione più consistente nel quadro del Parlamento di Bruxelles. E’ di fatto la garanzia che il cammino dell’Europa proceda secondo le linee fondamentali impostate sin dagli anni ’50, in grado di contenere nazionalismi o velleitarie politiche terzaforziste. Il popolarismo, poi, lo dimostrano le vicende elettorali tedesche, è l’argine ai sovranismi, suscitati dagli effetti di una globalizzazione non controllata portatrice di diseguaglianze e di difficoltà dell’economia reale, con le relative ricadute sui ceti medi e popolari.

Come è noto, a questo “miracolo tedesco”, contribuisce non solo una cultura politica di forte vocazione social cristiana ed europeista, ma anche una struttura di partito che assicura un rapporto permanente con l’ambito sociale delle diverse categorie del lavoro, dei sindacati, dell’associazionismo culturale. Una costante attenzione ai corpi intermedi. Non possiamo dimenticare, peraltro, che, nel Paese, è esistente un legame tra le realtà aziendali e produttive e le rappresentanze dei lavoratori che offre una piattaforma di base di collaborazione, di partecipazione, di responsabilità. E’ il risultato della lunga stagione di governo del popolarismo.

Sono questi gli elementi che, insieme ad altre componenti, consentono il permanere di quella stabilità sociale, che permette, oggi, di affrontare le enormi difficoltà che la pandemia sta producendo, con il suo bagaglio di vere e proprie tragedie sanitarie, sociali ed economiche.

L’Italia vive una condizione di grande difficoltà che è sotto gli occhi di tutti. La politica con le sue fragilità sta intaccando l’ancoraggio istituzionale, portando il Paese in un tempo di grande incertezza. Di fronte a questo preoccupante scenario, i movimenti di ispirazione cristiana, nella separatezza dei ruoli, possono dare un doveroso contributo per far riprendere al Paese la strada della buona politica che richiede chiarezza e profondità di idee, proposte che colgano le attese di chi soffre socialmente ma ha ancora la volontà di impegnarsi, una  esperienza diretta nel campo delle marginalità  e reti di rappresentanza, in grado di offrire alternative, prima di tutto concettuali e propositive, al diffondersi del vicolo cieco dei trasformismi, degli opportunismi e delle velleità  che piegano quella che Paolo VI chiamava “la più alta forma di carità” ad interessi forti ma non sociali, a personalismi senza trasparenza e futuro, a manovre lontane dalla valutazione popolare.

Dall’esperienza dei cristiano democratici tedeschi può giungere un importante esempio e la speranza di successo.

Pietro Giubilo




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